Al netto della passione calcistica, proviamo ad immaginare per un attimo uno scenario distopico. Una partita di calcio, tifosi che in trasferta vengono fermati dalla polizia mentre camminano nel centro di una città straniera. Identificati, picchiati, arrestati, insultati. In fine espulsi e rimpatriati col divieto di recarsi allo stadio, nonostante il regolare biglietto in tasca.
Immaginiamo che tutto ciò avvenga in una città olandese. L’Olanda: patria, nei lontani anni ’70/’80, di libertà, di sballo, di trasgressioni tossiche e sessuali. Da tre giorni ad Amsterdam, nel 1988, tornai a Napoli in uno stato di estasi oniroide e satiresca.
Immaginiamo che tutto questo riveli il volto di un’Europa che si trasforma, silenziosamente ma con rapida escalation, in una macchina sempre più severa di controllo sociale.
Immaginiamolo… Ma in realtà è proprio sotto questa lente che va letta la vicenda dei centottanta tifosi del Napoli fermati l’altro ieri sera nel centro di Eindhoven, nei Paesi Bassi, dalla polizia locale.
Una vicenda che a prescindere da ogni valutazione sul tifo ultras pone interrogativi profondi e sempre più drammatici sui diritti civili, sulla libera circolazione delle persone – le merci, ovviamente, nel regno del capitalismo neoliberista non vanno mai bloccate, anzi… – e sulle discriminazioni attive che stanno crescendo nel cuore dell’Unione Europea.
Le autorità olandesi giustificano l’operazione come “fermo preventivo per evitare disordini” prima della partita Psv Eindhoven‑Napoli. Affermando tuttavia che non si erano registrati né scontri né risse. Nonostante ciò i tifosi -sostengono ancora le autorità – avrebbero ignorato l’ordine di lasciare il centro città e sarebbero stati arrestati in virtù del regolamento comunale sugli “assembramenti”.
Eppure come testimoniano alcuni degli interessati, «volevamo solo una birra» ma «siamo stati trattati come criminali», pur dopo aver speso soldi per biglietti e viaggio.
D’altra parte, come ha dichiarato l’avvocato Emilio Coppola, legale dei tifosi del Napoli fermati ed espulsi:
«Ieri sera in un parcheggio nei pressi del centro cittadino di Eindhoven, dei tifosi del Napoli sono stati circondati dalle forze dell’ordine e privati di tantissime libertà individuali senza che sia stato ravvisato alcun tipo di reato. Si punisce l’atmosfera, come si legge dalla nota della Questura di Eindhoven, ovvero il fatto che ci fosse questo raggruppamento dei tifosi del Napoli. Sono stati individuati ed identificati all’interno di questo parcheggio, successivamente sono stati spostati in Questura, schedati e fotosegnalati, ricevendo un provvedimento.
Il Sindaco di Eindhoven, attraverso un ordinanza, aveva vietato raggruppamenti in giro per la città e, per questo motivo, i tifosi hanno ricevuto un’espulsione dal Comune di 24h con annullamento del biglietto della partita. Mi dicono di un clima teso in città: tutti i napoletani che camminano per strada vengono fermati, identificati, schedati e, in alcuni casi, stanno ricevendo il medesimo trattamento. È normale trattare così dei cittadini che fanno parte dell’area Schengen? Credo assolutamente di no. Credo che le autorità competenti, sportive e politiche, debbano intervenire per tutelare quello che, a mio avviso, è stato un vero e proprio abuso.
Non si può pensare che delle persone con regolare biglietto, che hanno investito delle risorse economiche in viaggio ed alloggio debbano essere allontanate dalla città senza un reale motivo. Il problema è capire se un’ordinanza del Sindaco possa essere applicata in questo modo.
Credo che ci sia una violazione forte della libertà individuale. Ritengo che i napoletani abbiamo fatto un po’ da cavia a delle novità dal punto di vista del diritto comunitario: credo che la questione vada denunciata ai massimi livelli. Spero che le istituzioni nazionali intervengano per come sono stati trattati dei cittadini italiani».
È questa dunque la ragione per cui queste misure vanno denunciate con forza e definite per quello che sono: arresti preventivi in violazione delle più elementari libertà individuali.
Il fulcro della questione è pertanto uno. Questi tifosi non hanno commesso reati accertati che si siano poi trasformati in scontri, devastazioni o aggressioni. Eppure sono stati fermati, trattenuti, interrogati, multati, addirittura marchiati con numeri identificativi – una prassi da lager nazista – ed espulsi dal centro cittadino e dallo stadio.
Si tratta di un “arresto” con pretesa preventiva – come dicevamo – perché, come sostengono le autorità, si voleva «evitare che si verificassero disordini». Ma questo obbiettivo può essere invocato praticamente sempre, per qualsiasi evento pubblico.
La giurisprudenza europea tuttavia segnala che la privazione della libertà individuale in via preventiva è ammessa solo in casi molto circoscritti e purché con adeguati controlli giudiziari.
Quando viceversa uno Stato trasferisce la misura sulla massa invocando quale alibi “un gruppo numeroso”, “una certa atmosfera”, la “zona ad alto rischio” piomba lo spettro della coercizione, del divieto della libertà di movimento e della libertà di circolazione, fondamentali in un’Europa che si presume libera e “democratica”.
In questo caso, i tifosi sono stati espulsi, rimpatriati, privati dell’accesso ai loro biglietti e alla partita, senza che fosse loro contestato alcun fatto concreto.
Ci chiediamo pertanto se ci si possa ancora considerare – di fronte a misure tanto repressive e tipiche di quest’Europa oramai deragliata a destra – in piena vigenza dei normali diritti “democratici”.
Se al cospetto di governi che adottano come misure securitarie il divieto di assembramento per oltre 5 persone ad esempio, ritenendole pericolose per l’ordine pubblico – nel Ddl 1660 del dicastero Meloni dispositivi repressivi simili sono già previsti – ci si possa ritenere ancora una democrazia. Vedo giusto qualche problema di costituzionalità, in proposito.
E infine ci domandiamo se sia accettabile che si pregiudichi una o più persone soltanto per il fatto che appartenga ad un gruppo, venga da una certa regione, da un certo club, da un certo Sud.
Se la risposta è negativa, allora questa vicenda assume un valore simbolico altissimo. Il contenimento delle libertà, la sospensione del diritto alla mobilità, la punizione e la repressione cautelativa costituiscono un assurdo giuridico. Oltreché a sfondo razziale.
L’Area Schengen – con la sua abolizione dei controlli alle frontiere interne e con la garanzia che “libertà di movimento” sia notazione concreta e non soltanto retorica – era uno dei pilastri dell’integrazione europea.
Ecco perché appare gravissimo che cittadini di questo continente (tifosi italiani, o meglio napoletani che viaggiano in Olanda) vengano fermati, espulsi, privati della partita e del soggiorno in città. Si mette in forse, con simili atteggiamenti, la stessa impalcatura teorica e culturale di quegli accordi.
Un fermo “preventivo” per ragioni di ordine pubblico può essere giustificato, ma solo in casi strettamente individualizzati e previo severo accertamento; non certo come misura generalizzata estendibile ad interi gruppi distinti in base all’origine o all’appartenenza sportiva.
La risoluzione del Parliamentary Assembly of the Council of Europe sottolinea che la libertà di circolazione “non può essere sostituita da una punizione indiretta” per opinioni o posizioni politico‑sociali.
Pertanto, se si accettasse che tifosi del Sud – meglio, “del Napoli” – possano essere trattati in modo tanto discriminatorio, si aprirebbe la strada ad un razzismo e ad un classismo ratificato per consuetudine e convenzione. Insomma una sorta di “fate attenzione, siete del Sud, siete italiani, siete pericolosi”.
Un limite a quell’Europa che era pensata come spazio di mobilità e di uguaglianza. Ma ormai fallita da tempo, come stiamo constatando nell’inverno guerrafondaio e suprematista del nostro scontento tardo imperialista. E ciò che è più grave, follemente illusorio
Ad ogni modo quanto successo non si configura esclusivamente come una questione giuridica. È questione di vita concreta, materiale.
I tifosi del Napoli hanno speso tempo, viaggio, biglietti. Poi, una volta giunti all’estero, sono stati fermati, interrogati, allontanati, non hanno potuto vedere la partita.
Il danno pertanto è reale. Materiale e morale. Non solo non hanno potuto tifare ma sono stati privati del godimento dell’evento, a dispetto dei costi sostenuti.
In più è stata praticata un’espulsione, un rimpatrio. Misure associative che somigliano più ad un “internamento leggero” che ad un controllo ordinario.
Cui va a sommarsi una vera e propria lesione della dignità personale. Essere trattati come criminali e arrestati per “violazione del regolamento comunale sugli assembramenti” mentre non erano stati registrati scontri, significa che la soglia della libertà si è talmente abbassata da considerare come pericoloso un intero gruppo umano -vorremmo dire etnico – senza distinzioni di sorta.
E in un contesto in cui il Sud Italia è già stigmatizzato, dove Napoli è spesso vittima di una visione stereotipata quale teatro di degrado o di violenza, questo episodio assume contorni più ampi e francamente allarmanti.
Ovvero quelli di un atteggiamento sociale, culturale e politico verso una tifoseria meridionale che appare come altra. Addirittura “sospetta”. Figlia di un doppio standard e di una militarizzazione del tifoso meridionale.
Se è vero che alcune tifoserie sono sorvegliate in virtù dei loro precedenti recenti; se è vero che l’”ordine pubblico” può essere un tema reale; è altrettanto vero che la capacità di valutare concretamente un rischio dovrebbe rappresentare un fondamentale criterio di discernimento.
Non è sfuggito ai più come con altre tifoserie — per esempio tifoserie di club europei “nordici” o “centrali” – quasi mai vengono adottate misure analoghe. Quantomeno non con la stessa prontezza nel fermare, identificare, arrestare ed espellere prima che accada effettivamente qualcosa.
Il che suggerisce sia in vigore quel “doppio standard” divenuto oramai principio politico-culturale inderogabile, quando non addirittura fondante la deriva etica della stessa Unione Europea.
In un momento in cui più della metà dei popoli del mondo critica il comportamento dello Stato di Israele riguardo al genocidio, ad esempio, la sua certamente aggressiva tifoseria non sembra subire analoghi “accanimenti” repressivi. Anzi…
Pertanto, il sospetto del razzismo di fronte a simili scenari si fa sempre più concreto. Ci troviamo palesemente in presenza di trattamenti che riflettono un pre‑giudizio: “Sud uguale disordine”, “meridionali uguale ultras pericolosi”, “italiani del Sud uguale soggetti da contenere”.
Per la verità non è la prima volta che l’Olanda riserva un trattamento simile, razzista e violento, nei confronti di cittadini italiani.
Finale degli europei 2000, Italia-Francia. Prima della partita alcuni tifosi disabili che avevano comprato un biglietto per un settore attrezzato inesistente, hanno discussione con gli steward, che li malmenano.
La troupe Rai comincia a filmare ed i poliziotti attaccano i giornalisti Donatella Scarnati, Ignazio Scardina e Mario Mattioli, quello che ha la peggio. Gli viene fratturata una spalla, gli sputano addosso e lo stesso ambasciatore italiano, intervenuto, viene malmenato.
Oggi Mario Mattioli, intervistato, ha ribadito quello che in molti già sapevano: l’Olanda è un paese razzista, forse il peggiore in Europa. E non va dimenticata Roma, messa a ferro e fuoco dai tifosi del Feyenoord, nel 2015. Lo stato olandese non pagò alcun risarcimento.
Come ha scritto Franz Fanon ne “I dannati della terra” , la violenza coloniale non è semplicemente quella dello Stato che spara ma anche quella che prende la forma di umiliazione sistemica, di esclusione, di riduzione in “altro”.
E ancora come in “Col sangue agli occhi” di George Jackson, la rabbia dei subordinati (qui i tifosi, qui il Sud) nasce dal riconoscersi trattati come oggetti o animali con sembianze umane (cit. il generale israeliano ricercato per crimini di guerra, Yoav Gallant), non come persone libere.
È in questo orizzonte pertanto che la vicenda di Eindhoven va letta. Il sintomo di una cultura securitaria che rende “gli altri” vulnerabili, sospetti, trattabili come “problema” prima ancora che come persone.
Tuttavia ciò che accade non è solo un problema olandese o una misura di ordine pubblico. È il segno che l’Europa – e non soltanto l’Italia – sta acquisendo una cultura sempre più repressiva, securitaria, fascistoide (nel senso etimologico: dello Stato che si arroga “poteri straordinari” a scapito di diritti universali). Sta facendo della prevenzione un mantra e della libertà una variabile da sacrificare.
Se l’Europa vuole ancora porsi come spazio di diritti, di libera circolazione, di uguaglianza, allora deve riconoscere che il caso Napoli‑Eindhoven è una ferita inferta al proprio stesso diritto. Di muoversi, di tifare, di essere cittadini europei e non colpevoli “in potenza”.
Chiudo quindi con una provocazione. Se fossero stati tifosi del Nord, o di un club “di prestigio”, o in una città della Manica, avremmo visto lo stesso trattamento? Probabilmente no.
Ma se non lo denunciassimo, domani questa modalità preventiva – arrestare il gruppo prima che esprima una protesta o espellere prima che possa colpire qualunque bersaglio – diventerà un dispositivo normalizzatore. Come sta già in effetti accadendo.
E allora davvero avremo perso non solo “l’Europa”, ormai irrimediabilmente fottuta dai suoi stessi leader in preda a deliri di onnipotenza inesistente e di repressione un tanto al chilo. Ma l’umanità in ciò che ha di più bello e insostituibile. Il Gioco.
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ugo
Non vedo cosa c’entrino Napoli e il Sud del mondo. Qualche anno fa noi siamo stati molto più gentili con i tifosi olandesi e con grande riconoscenza ci hanno distrutto la fontana della Barcaccia. Conoscono i loro tifosi e pensano (che so, magari giustamente) che quelli del Napoli non siano molto diversi. Magari hanno evitato una tragedia come quella dell’Heysel; oggi potremmo leggere sul giornale di un sopravvissuto partenopeo ritrovato dopo aver viaggiato per giorni sui treni europei senza mai scendere, in stato di choc, con gli occhi sbarrati, che non si ricorda neanche il nome per l’amnesia…
Vincenzo Morvillo
Ugo la tua, perdonami , è una mentalità auto disciplinativa che mi fa orrore e paura insieme. La rifiuto senza mezzi termini. È come dire -ovviamente estremizzando- che la vita fa male quindi meglio non viverla. C’è un video molto divertente che gira da un po’. Recita più o meno così: studi recenti hanno stabilito che se non bevi, non fumi, non mangi cose che fanno male, non ti droghi, fai sport, muori lo stesso ma in compenso fai una vita di merda🤦♂️🤪. È un paradosso ma è esattamente così. Non puoi prevenire problemi vietando tutto e arrestando la gente. Questi atteggiamenti hanno un nome ben preciso. Si chiama fascismo!