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Accordo USA-Australia sulle terre rare… e sull’AUKUS

Lunedì 20 ottobre il presidente statunitense Donald Trump e il primo ministro australiano Anthony Albanese hanno chiuso un accordo di grande portata per ciò che riguarda l’approvvigionamento di terre rare. Una risposta al riaccendersi della guerra commerciale con la Cina, ma anche un’intesa che coinvolge la dimensione militare e le prospettive dell’AUKUS, il patto di sicurezza tra Washington, Canderra e Londra.

Quella annunciata lunedì è un’intesa che sarebbe stata negoziata negli 4-5 mesi, ha detto Trump, e che dovrebbe valere intorno agli 8,5 miliardi di dollari. Il primo impegno è quello da parte di entrambi i governi coinvolti a investire un totale di 3 miliardi nei prossimi sei mesi in progetti relativi sia all’estrazione sia alla lavorazione di questi minerali.

Altro elemento fondamentale dell’accordo è che vengono garantiti dei prezzi minimi per tali materiali, i cui costi di produzione non sono competitivi rispetto a quelli cinesi. Negli accordi e negli investimenti dovrebbero essere connessi anche dei diritti di acquisto anticipato. Canberra vuole creare una ‘riserva strategica nazionale’ del valore di 1,2 miliardi di dollari australiani, con l’obiettivo di renderla pienamente operativa nella seconda metà del 2026.

Trump ha detto che ci saranno “così tanti minerali critici e terre rare che non saprete cosa farne“. Tolta la propaganda, più realistiche sono state le affermazioni che Dan Morgan, della società di consulenza Barrenjoey, ha rilasciato a Reuters: “non credo che assisteremo a una crescita esponenziale dell’offerta, e di certo non nel giro di un anno. Potremmo vedere un aumento in 5-7 anni“.

Sul sito della Casa Bianca si può leggere che il valore delle risorse che potranno essere ottenute da questi impegni si aggira intorno ai 53 miliardi di dollari. Non sono tuttavia indicati nello specifico di quali materiali si stia parlando, né la loro ubicazione. Allo stesso tempo, la U.S. Export-Import Bank (EXIM), che funge da agenzia di credito all’esportazione del governo statunitense, ha dato indicazioni in merito.

Infatti, in contemporanea all’accordo è stata data notizia dell’emissione di sette lettere di manifestazione di interesse per finanziamenti a imprese del settore. L’ammontare di questi fondi è pari a 2,2 miliardi di dollari, che dovrebbero andare a sbloccare investimenti per un totale di 5 miliardi. Stando a quel che affermano da EXIM, i progetti riguardano minerali essenziali per i settori della difesa, l’aerospazio, le apparecchiature di comunicazione e le tecnologie industriali di prossima generazione.

A ciò si deve aggiungere l’annuncio che il Dipartimento della Guerra degli Stati Uniti investirà nella costruzione di una raffineria di gallio nell’Australia Occidentale. Appare dunque chiaro come l’intera operazione risponda a priorità strategiche e militari, e che sia stata pensata come strumento di ‘militarizzazione’ delle filiere delle terre rare nello scontro con la Cina. Un segnale ulteriore di quella frammentazione del mercato globale che caratterizza il panorama odierno.

Del resto, lo stesso primo ministro australiano ha reso sottolineato che l’accordo stretto con gli USA riguarda “tre gruppi di attività“, nelle quali sono compresi anche partner terzi come il Giappone. Il raggio d’azione di questo tipo d’accordo non è semplicemente quello delle relazioni economiche, ma è quello della linea di contenimento di Pechino che Washington vuole mantenere sull’Indo-Pacifico.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Guo Jiakun, ha semplicemente affermato: “i paesi con risorse minerarie chiave dovrebbero svolgere un ruolo attivo nel garantire la sicurezza e la stabilità della catena industriale e di approvvigionamento, nonché assicurare una normale cooperazione economica e commerciale“. Non si è spinto oltre, anche se la natura bellicosa dell’accordo USA-Australia è resa evidente anche dal resto del suo contenuto.

Infatti, avevamo già fatto presente i dubbi espressi dall’amministrazione Trump intorno agli impegni presi nella cornice AUKUS. Come al solito, sono stati più che altro il preludio a trattative che servivano semmai ad aumentare il guadagno finanziario e industriale degli States nei piani militari riguardanti questa alleanza.

Il segretario della Marina John Phelan ha dichiarato, durante l’incontro tra Trump e Albanese, che i due paesi stanno lavorando a stretto contatto per migliorare il quadro AUKUS originale per tutte e tre le parti – anche quella britannica – “e chiarire alcune delle ambiguità presenti nell’accordo precedente“.

Già lo scorso mese erano stati annunciati investimenti sostanziosi, tra cui 2 miliardi già quest’anno per incrementare i tassi di produzione nei cantieri navali statunitensi. Centrale era stato anche l’impegno nell’ammodernamento del porto di Henderson vicino Perth, per renderlo un hub adeguato a mantenere i sottomarini statunitensi di classe Virginia proiettati verso l’Oceano Indiano.

Ora, si legge nella nota della Casa Bianca già citata, l’Australia acquisterà 1,2 miliardi di dollari in veicoli sottomarini senza pilota Anduril e prenderà in consegna la prima tranche di elicotteri Apache in un accordo separato da 2,6 miliardi di dollari. Inoltre, Canberra investirà nelle sue capacità integrate di difesa aerea e missilistica, e in questa prospettiva altri 2 miliardi finiranno alle aziende statunitensi.

Infine, “l’alleanza tra Stati Uniti e Australia sta garantendo la resilienza della catena di approvvigionamento delle munizioni nell’ambito dell’iniziativa australiana Guided Weapons and Explosive Ordnance (GWEO) e sta sfruttando una cooperazione semplificata per l’esportazione, che supporterà direttamente oltre 200 fornitori di produzione in Texas, Florida, Arkansas e Alabama“.

Insomma, più che un accordo tra pari, sembra un altro servizio reso tra un vassallo e il suo signore. Tra minerali strategici e pagamenti per il complesso militare-industriale statunitense, l’unica cosa certa è che, ancora una volta, tutto viene fatto contro la Cina.

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