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L’altra America anti-Trump è “socialista democratica”

Ipnotizzati dalle mosse orarie di Trump gli intermediari dell’informazione stanno perdendo di vista ciò che accade negli Stati Uniti.

Al massimo, quando proprio si sforzano di immaginare qualcosa per il “dopo Trump”, elaborano nostalgie per il ritorno a prima del crack, sognando – se non proprio un altro Biden – almeno un secondo Clinton o un Obama.

Comprensibile, perché in quel mondo chiuso che ormai sono i media (specie italiani) si può essere solo di estrema destra oppure pro-establishment, quindi nazionalisti o “europeisti”, senza più neanche chiedersi cosa – in concreto – significhino queste formule nel nuovo e sbrindellato Occidente capitalistico, dove Europa e America viaggiano su rotte differenti.

In questa visione manichea e riduttiva delle opzioni in campo si può forse – ma non sempre – enfatizzare la brutalità poliziesca delle milizie anti-immigrazione statunitensi (l’Ice), supportate dalle truppe della Guardia Nazionali spedite nelle roccaforti del partito democratico. Ma il tutto viene narrato comunque come una lotta di mugugni contro “il nuovo” – che, parlando di Trump, diventa quasi un insulto o uno scherzo – per tornare al “buon vecchio mondo antico” degli Usa che comandavano, confortavano, fornivano l’ombrello nucleare e le direttive contro i nemici da combattere, senza mettere dazi palesi e ordini sprezzanti.

La cecità di questo atteggiamento – o, se volete, lo sfarinamento degli interessi che hanno prodotto quella cultura da establishment a cavallo del cambio di millennio – diventa palese non appena si prova a dare un’occhiata più da vicino al quel che fermenta nella pancia dell’America, senza farsi orientare da queste appartenenze (a mondi che fra l’altro non esistono quasi più).

Persino utilizzando fonti come Axios – che pure è ben dentro il vecchio mondo “democratico” e/o “repubblicano perbene” – cose molto interessanti vengono fuori.

Ad esempio che il vecchio partito democratico è ormai in coma, mentre alla periferia di quel comitato elettorale si vanno gonfiando tutt’altre idee, persone, temi, che preparano un ricambio generale – non solo generazionale – delle proporzioni e dell’importanza del fenomeno “Maga” in campo conservatore.

Con un po’ di ritardo, insomma, si sta forse compiendo la stessa trasformazione che ha prodotto Trump, ma nel campo opposto e con caratteristiche decisamente contrapposte. Di fatto una “radicalizzazione democratica” che mette definitivamente fine a quell’epoca consociativa in cui – alla fin fine – la direzione e la classe politica vincente di formava “al centro”. 

Il “moderatismo” stile Biden-Harris, insomma, come si è visto non paga più. Di fronte alla gravità della crisi Usa servono risposte che almeno sembrino “radicali”, anche se magari – si veda quella trumpiana – sono di fatto la presa d’atto di una sconfitta storica e il ritorno all’isolazionismo da “cortile di casa”.

Gli osservatori statunitensi meno miopi hanno focalizzato per ora due fenomeni convergenti:

  1. La popolarità dei candidati e delle idee socialiste, specialmente tra i Democratici di base.

  2. L’Intelligenza Artificiale, che aumenta i costi dell’energia, la disoccupazione e la disuguaglianza.

L’occasione di aprire gli occhi è stata imposta dai fatti. Domenica scorsa, a New York, il vecchio senatore “socialista” Bernie Sanders, la già nota Alexandria Ocasio-Cortez, il giovanissimo (e musulmano), dato per vincente, candidato a sindaco della “Grande Mela”, Zohran Mamdani,  e altri “socialisti democratici” hanno elettrizzato uno stadio stracolmo nel Queens.

Evento eccezionale per dimensioni – una campagna elettorale, per di più limitata a una sola città, per quanto importante, non suscita di solito una mobilitazione popolare –, per la bassa età media dei presenti e soprattutto per la radicalità degli slogan.

I cori “Tassate i ricchi!” hanno echeggiato a lungo e i giovani, su quel ritmo, hanno esultato “selvaggiamente”, riferiscono gli attoniti testimoni professionali. “È stata una stupefacente celebrazione socialista”.

Naturalmente stiamo parlando di “socialisti statunitensi” del XXI secolo, niente a che vedere con gli omologhi europei di quasi un secolo fa o con i rivoluzionari latino-americani del recente passato o del presente. Da qui, insomma, difficilmente usciranno i nuovi liberatori dell’umanità. Ma almeno non sono servi consapevoli del grandissimo capitale finanziario (la triade Clinton-Biden-Obama, con quest’ultimo che, fiutata  l’aria, è corso all’ultimo minuto per dare l’endorsement al giovane Mamdani) o nostalgici dei “confederati” ottocenteschi (come i “Maga”).

Energie fresche e mobilitanti, insomma, che crescono ai margini di un comitato d’affari controllato da ottuagenari senza più obiettivi praticabili.

In questo mondo molto più giovanile, “nativo digitale”, si vede l’altra faccia dell’AI, che riduce enormemente l’occupazione anche “intellettuale”, ponendo l’esigenza di una redistribuzione strutturale – sistemica – della ricchezza prodotta tecnologicamente dai capitalisti delle piattaforme all’intera popolazione.

Al di là delle disparate soluzioni che vengono immaginate o proposte in questo momento, spesso solo wishful thinking più o meno ingenuo, nel resto del mondo politico Usa “c’è una sorprendente mancanza di discorso politico per qualcosa che in seguito sarà una priorità molto alta“.

Tradotto: chi dirige l’economia e la politica del paese (quindi dell’intero Occidente, per quanto sbrindellato) non sta ponendo alcuna attenzione ai processi reali che stanno già ora disegnando la società dei prossimi anni, non del “lontano futuro”.

La domanda preliminare per i candidati progressisti, sintetizza peraltro un giovane imprenditore del ramo, a questo punto è: “Siete pronti a opporvi e a sfidare gli individui ‘ad alto QI’ che ci dicono che questa transizione sarà fantastica per i lavoratori?“. Se non hai niente da dire, sei out…

La domanda sorge da un bisogno che è al tempo stesso universale e radicale. “Abbiamo bisogno di molto più dibattito politico sul fatto che il profitto valga il degrado dei nostri posti di lavoro e mezzi di sussistenza, delle nostre relazioni e del significato della vita stessa. Un candidato sarà vincente se dimostrerà di saper proporre una visione in cui l’enorme ricchezza generata dall’IA vada ad aiutare a risolvere le difficoltà delle famiglie della classe operaia“.

Si può naturalmente eccepire su questa riduzione immediata della risposta al puro vantaggio elettorale, ma non c’è dubbio che la domanda sia per molti versi “epocale”. In senso stretto.

Da un lato l’innovazione tecnologica nella produzione (robotica, informatizzazione, intelligenza artificiale, ecc) consente di aumentare la quantità di prodotto realizzata con una manodopera (anche intellettuale) molto più ridotta, e dunque anche la massa dei profitti; dall’altro cresce quindi la radicale disuguaglianza tra pochissimi ultra-ricchi dai patrimoni incalcolabili e una massa sterminata di miserabili senza occupazione, servizi sociali, supporto di alcun genere (il neoliberismo ha messo fuori legge e fuori uso qualsiasi welfare degno di nota).

Ma, direbbe anche il politico “innovativo”, questa massa disperata in qualche misura vota. Ed è proprio sul terreno più battuto che il problema dell’AI diventa polarizzante.

Un altro ampio sondaggio condotto negli “stati contesi” (quelli in bilico tra i due schieramenti) circa un mese fa, segnala che la diffidenza e la preoccupazione per l’AI sono la nuova “questione bipartisan”.

Una pluralità di elettori in ciascuno degli otto stati ha infatti affermato di avere un’impressione sfavorevole dell’industria dell’AI,  teme che aumenterà il costo delle loro bollette e crede quindi che questa tecnologia peggiorerà le loro vite.

Ancora più interessante: più alto è il reddito, più l’elettore è favorevoli all’AI. I lavoratori a basso reddito temono invece di essere sostituiti molto presto da un qualche algoritmo, come sta avvenendo in Amazon e altre big delle “piattaforme”. 

E’ una “sensazione di classe”, insomma, non di opinioni politiche. Gli elettori Repubblicani contattati  erano sostanzialmente divisi sull’AI (Trump ne ha fatto un suo cavallo di battaglia), mentre gli indipendenti e i Democratici avevano opinioni soprattutto sfavorevoli.

Persino il sondaggista Bob Ward, titolare della società omonima con stretti legami con la Casa Bianca, ha spiegato che “Mentre i pregi dell’AI hanno affascinato gli investitori, l’elettore medio è preoccupato”. Le paure principali spaziano dal “perdere un lavoro, al non essere in grado di distinguere ciò che è reale da ciò che è falso, a bollette più care a causa dei data center che consumano enormi quantità di elettricità“. Per concludere infine che è “importante che i candidati che dicono ‘Dobbiamo vincere la gara all’IA’ capiscano, almeno oggi, che questo sentimento è accolto dal vostro elettore medio con la domanda: ‘E perché?‘”

Gallup, il mese scorso, ha riferito che il 66% dei Democratici sondati ha una visione positiva del socialismo, rispetto al 42% per il capitalismo (la domanda non era “a contrapposizione”, ma su una serie di concetti). E se il “socialista musulmano” Mamdani, martedì, vincerà davvero la corsa a sindaco di New York, questo nuovo “movimento socialista democratico” sarà sulla bocca di tutti nel mondo politico anti-Trump.

Nonostante le innumerevoli ambiguità “strategiche” – Sanders, per esempio, ma non solo lui, è pro-Ucraina e sionista – sarebbe uno scossone forte per un’America che mai come in questa fase appare in crisi di identità, egemonia, legittimità. E a nessun rivoluzionario sfugge l’importanza del fatto che l’imperialismo dominante veda approfondirsi la sua crisi, anche attraverso una radicalizzazione del conflitto politico e sociale interno.

Basta vedere quanto sono preoccupati per questa evoluzione i nostri “Rambini”…

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