Problemi seri dentro la Nato e lo schieramento occidentale…
La procura turca ha emesso mandati di arresto per genocidio contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e diversi funzionari israeliani, tra cui il ministro della Difesa Israel Katz e il ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir.
L’elenco è anche più lungo di quello per ora fissato dalla Corte Penale Internazionale, che ha riconosciuto la credibilità della denuncia presentata dal Sudafrica e supportata da molti altri paesi.
Il totale è infatti di 37 “sospettati”, ha dichiarato la procura di Istanbul in una nota, senza peraltro rendere noto l’elenco completo.
Secondo Turkiye Today, che cita un comunicato stampa della procura, vengono denunciate violenze sistematiche contro i civili nella Striscia di Gaza, che vanno ben oltre la dichiarata “guerra” contro Hamas (che peraltro la Turchia non considera, giustamente, un’organizzazione “terroristica”, visto che agisce in un territorio sotto occupazione militare straniera) e prefigurano nel loro insieme il tentativo di eliminare la presenza palestinese nella Striscia.
Il mandato fa riferimento ad attacchi precisi e inequivocabili avvenuti all’inizio della guerra, tra cui il bombardamento dell’ospedale battista Al-Ahli, avvenuto il 17 ottobre 2023 , che però l’intelligence israeliana e statunitense avevano spudoratamente attribuito al lancio fallito di un razzo da parte della Jihad Islamica.
Israele, come sempre, nega l’accusa secondo cui prenderebbe di mira i civili citando come “prova” gli ordini di evacuazione di singole zone pochi minuti prima dei bombardamenti (come se migliaia di persone – uomini, donne, vecchie bambini – potessero agevolmente lasciare le proprie case una volta che piove un volantino dal cielo).
Il mandato di cattura complica decisamente le relazioni internazionali, quantomeno tra i due paesi. Che però fanno parte dello stesso schieramento – quello che va da Washington a Tel Aviv passando per l’Unione Europea e la Nato.
L'”incidente” turco-israeliano non è certo un fulmine a ciel sereno. Da decenni si trascina una differenza sostanziale tra i due “alleati” proprio sulla questione palestinese, che hanno toccato l’apice nel 2010 con l’attacco israeliano alla Navi Marmara, una nave utilizzata allora per la Freedom Flotilla, che si concluse con l’uccisione di nove attivisti e il ferimento di altri 60 da parte dell’Idf.
Ma rinfocolata anche di recente con il dichiarato “no” israeliano all’eventuale presenza di truppe turche nel contingente internazionale incaricato di “mantenere la pace” a Gaza nell’ambito del cosiddetto “piano Tump”.
Di fatto, la Turchia fa prevalere il suo essere una paese musulmano su altre obbedienze… E non è un dettaglio, visto che il suo esercito – dentro la Nato – è il secondo più potente dopo quello statunitense, pur se privo di testate nucleari.
L’espansionismo israeliano – Tel Aviv è l’unico Stato al mondo a non avere “confini ufficiali”, ma considera proprio ogni territorio su cui riesce a metter mano… – sta perciò destabilizzando anche il proprio campo, oltre agli equilibri in Medio Oriente.
Anche questo va considerato come parte dello scenario di crisi prefigurato da Ilan Pappè nel suo La fine di Israele.
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