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Il corrotto Netanyahu chiede la “grazia” per continuare il genocidio

È una mossa che era stata paventata da più parti, ed era stata invocata pure dal presidente statunitense Donald Trump, ma che rimane tuttavia piuttosto insolita dal punto di vista giuridico, soprattutto perché preventiva: il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto la grazia al presidente Isaac Herzog.

Sono 111 le pagine del dossier che è stato inviato a Herzo dallo studio legale dell’avvocato del primo ministro, Amit Haddad. Al centro del contendere ci sono tre processi che pendono sul capo di Netanyahu da sei anni, per frode, corruzione e abuso d’ufficio. Ultimamente, le udienze non erano andate bene, e anche la testimonianza che sarebbe dovuta avvenire ieri è stata cancellata “per ragioni di sicurezza nazionale“.

Il dossier è stato accompagnato anche da una lettera personale di Bibi, nella quale afferma che la grazia aiuterà a ricomporre “la frattura nazionale” e ad “abbassare la temperatura” della politica israeliana. C’è poi anche un video affidato ai social, in cui Netanyahu sostiene che superare i processi significherà che potrà “concentrarsi d’ora in poi esclusivamente sulla gestione della guerra e contro il terrorismo da Gaza“.

Dunque, quello che chiede il primo ministro è di essere sgravato dai processi per completare il genocidio: non solo ammette che la carneficina di Gaza non è finita, ma cerca di far sopravanzare la legge da ragioni tutte politiche. L’ufficio di Herzog ha detto che “il Presidente valuterà la richiesta con responsabilità e sincerità“, ma anche che si tratta di una mossa eccezionale per il quadro legale del paese.

In Israele, la grazia è solitamente riservata ai condannati definitivi. Netanyahu, invece, è ancora solo un imputato. I giuristi sottolineano come l’unico precedente simile risalga al 1984 (il caso del “Bus 300”), quando l’allora presidente Chaim Herzog – padre di quello attuale – graziò due agenti dello Shin Bet prima del processo.

Tuttavia, in quel caso vi fu un’ammissione di colpa e le dimissioni dei coinvolti. Netanyahu, al contrario, non intende dimettersi né ammettere responsabilità; anzi, punta a presentarsi “pulito” alle elezioni del 2026. Secondo la difesa, lo status di “sospettato” è sufficiente per la grazia, ma per molti osservatori si tratta di un tentativo di sancire un principio di impunità, ponendo il leader sopra la legge.

Dietro l’accelerazione di Netanyahu sembra esserci anche un fattore internazionale: Donald Trump. Il presidente eletto degli Stati Uniti aveva già sollecitato pubblicamente la grazia per il primo ministro durante una visita alla Knesset a ottobre. Riporta il Fatto Quotidiano che Eli Salzberger, ordinario di diritto all’Università di Haifa, ipotizza che l’amnistia possa essere addirittura una “condizione ombra” del piano di pace stelle-e-strisce per la regione.

Sulla richiesta di Netanyahu Yair Lapid, a capo dell’opposizione, è stato lapidario: “solo i colpevoli chiedono la grazia“. Sotto la residenza di Herzog si è radunata una folla di manifestanti al grido di “Repubblica delle banane“. L’iter per la decisione richiederà circa due o tre mesi, ma l’esito non è scontato: se il Presidente dovesse concedere la grazia, è praticamente certo che l’opposizione impugnerà la decisione davanti alla Corte Suprema, aprendo un nuovo capitolo nello scontro istituzionale israeliano.

Netanyahu rimane invece sostanzialmente con le mani libere nei rapporti internazionali, dove gravano sulla sua testa le accuse della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Anche si salvasse dai processi interni, Bibi dovrebbe essere costretto a rispondere alla comunità internazionale, ma sappiamo bene che la copertura occidentale lo mette al riparo da ogni giustizia.

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