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“Israel Files”: il dipartimento israeliano che muove guerra al diritto internazionale

Riportiamo qui sotto la traduzione del primo dei tre articoli pubblicati da Mediapart, che sono stati raccolti nella serie denonimata “Israel Files“. La famosa rivista francese online, negli ultimi anni, ha prodotto approfondimenti indipendenti di spessore, e anche questi ultimi tre contributi, diffusi tra il 12 e il 14 dicembre, mettono in luce informazioni importanti per un ambiente di informazione che dovrebbe essere libero, fornendo a chiunque gli strumenti per formarsi un’opinione autonoma.

Mediapart ha condotto una vasta indagine insieme ad altri otto media europei, tutti coordinati dalla European Investigative Collaborations (EIC), sulla base di un’enorme fuga di documenti del ministero della Giustizia di Tel Aviv. Le fonti usate si riferiscono a un periodo che va dal 2009 al 2023, e mostrano pesanti ingerenze israeliane all’estero, promosse per coprire i propri crimini e normalizzare il genocidio.

Tutto questo avveniva ben prima del 7 ottobre 2023. Ma che la pulizia etnica sionista in Palestina sia cominciata ben prima di un paio di anni fa è risaputo. Questa inchiesta, però, mette in evidenza altri due temi di non poco conto: l’attività strutturata e sistematica di copertura dei crimini di guerra e contro l’umanità; l’ingerenza straniera in paesi che si dicono “sovrani”.

Israele è probabilmente la più grande ferita esistente oggi per il diritto internazionale, con un’occupazione illegale di territori, riconosciuta come tale dall’ONU da una sessantina d’anni, in sostanza. Tel Aviv lo sa, e sa anche che nella sua opera coloniale commette senza sosta crimini di guerra e crimini contro l’umanità. E per questo, ha dato vita a un dipartimento specializzato in una “guerra legale” contro ogni persecuzione dei suoi crimini.

Si tratta, dunque, dell’azione deliberata e strategicamente perseguita di minare alle fondamenta l’ordine internazionale che i suoi alleati imperialisti occidentali continuano a dire di star “difendendo”. A questa ingerenza e attacco al diritto internazionale, che non si configura come caso singolo con divergenze di vedute, ma come iniziativa politica di lungo periodo, si associa anche l’influenza che Israele opera sui procedimenti giudiziari e anche politici interni di paesi stranieri.

Nell’inchiesta qui riportata vengono citati casi spagnoli e olandesi, e ce ne sono anche tanti altri. Appare evidente il doppio standard che da sempre l’Occidente usa nei confronti di Israele: le ingerenze straniere vengono sempre evocate per ogni dissenso alle politiche guerrafondaie della UE, ad esempio, ma di fronte alla sistematica ingerenza israeliana cala il silenzio.

Com’è possibile permettere a un paese straniero di intervenire così nettamente sugli affari interni altrui, e farla persino franca? Perché è chiaro che i sionisti nostrani, in relazione con quelli in Palestina, sostengono la stessa impresa criminale, che vede in Israele l’avamposto dell’imperialismo nel Vicino Oriente, e che come tale deve rimanere impunito mentre fa il “lavoro sporco” per “noi“.

Non c’è processo democratico e “sovranità popolare” che tenga per una classe dirigente che è sulla via della guerra totale. Buona lettura.

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Quale opzione resta a uno Stato perfettamente consapevole di calpestare le regole del diritto internazionale e ben deciso a garantire la propria impunità? Israele si è posto questa domanda fin dal 2009, quando Benjamin Netanyahu iniziò il suo secondo mandato con un’agenda molto chiara: amplificare la colonizzazione delle terre palestinesi e la frammentazione della Cisgiordania al fine di seppellire, in definitiva, qualsiasi prospettiva di creazione di uno Stato palestinese.

Israele teme allora che la benevolenza internazionale di cui gode si affievolisca man mano che vengono esposte le sue violazioni dei diritti umani. In particolare, dalla creazione della Corte Penale Internazionale (CPI) e mentre diversi Stati europei iniziano a istruire denunce sulla base della giurisdizione universale – che permette ai tribunali stranieri di giudicare crimini gravi commessi all’estero – la prospettiva che dei responsabili israeliani vengano arrestati all’estero diventa concreta.

L’inchiesta condotta da Mediapart in collaborazione con la rete European Investigative Collaborations (EIC) mette in luce gli ingenti mezzi investiti dal governo israeliano al servizio dell’impunità dei suoi dirigenti. Una fuga di notizie di oltre 2 milioni di email interne al Ministero della Giustizia israeliano, scambiate tra il 2009 e la primavera del 2023, svela la strategia a tutto campo dello Stato ebraico per strumentalizzare il diritto e condurre quella che definisce la “guerra legale” contro coloro che tentano di combattere i crimini israeliani davanti alla giustizia.

Un dipartimento dedicato, quello degli “affari speciali”, viene creato nel 2010 e posto sotto l’autorità di un ex giurista militare, un tempo incaricato di elaborare argomentazioni giuridiche per giustificare le esecuzioni extragiudiziali dell’esercito. Il dipartimento ha come missione ufficiale quella di “gestire tutte le questioni relative alle procedure giudiziarie internazionali […] derivanti dalle azioni dello Stato“.

Impedire i procedimenti giudiziari per gli armamenti

Una parte delle sue missioni è consistita nel valutare i rischi di arresto quando responsabili militari o civili israeliani viaggiavano all’estero. In diversi casi, il dipartimento degli affari speciali ha ottenuto che personalità politiche di primo piano, potenzialmente colpite da mandati d’arresto o suscettibili di essere interrogate per crimini di guerra, annullassero il loro viaggio in Stati europei.

In un documento classificato risalente al 2020 e che riporta i suoi risultati, il dipartimento degli affari speciali rivendica di aver “trasformato in modo irrevocabile il modo in cui Israele gestisce le sfide poste dalla ‘guerra legale’ e […] diverse realizzazioni professionali eccezionali” come “l’archiviazione di decine di casi penali e civili in tutto il mondo contro lo Stato e i suoi alti funzionari“.

Perché, in realtà, l’essenziale del lavoro del dipartimento si è svolto dietro le quinte: a più riprese, il dipartimento è intervenuto per influenzare il corso di procedure penali avviate davanti a giurisdizioni occidentali contro imprese fornitrici dell’esercito israeliano o perseguite per le loro attività in Cisgiordania.

Nel 2018, ad esempio, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) viene chiamata a pronunciarsi sulla legalità di un decreto del Ministero dell’Economia francese che disponeva che i prodotti importati dalle colonie israeliane dovessero essere etichettati come tali. Misurando il rischio che un caso locale mutasse in giurisprudenza europea, il dipartimento speciale si è attivato per fare pressione sul viticoltore israeliano Psagot, all’origine della richiesta, affinché ritirasse la sua denuncia.

Il semplice rischio che una decisione pregiudizievole su questioni chiave del diritto internazionale venga emessa dalla CGUE nel momento in cui Israele tenta di impedire l’eventuale apertura di un’inchiesta da parte della Corte Penale Internazionale su questo preciso argomento è estremamente preoccupante per il governo israeliano“, argomenta il dipartimento nel settembre 2019, due mesi prima che la CGUE emetta la sua decisione.

Pressioni sulla giustizia spagnola e olandese

I documenti interni al governo israeliano mostrano anche che i ministeri della Giustizia, degli Affari Esteri e del Commercio hanno concordato di sollecitare “i paesi amici” di Israele all’interno dell’Unione Europea affinché producessero presso la CGUE un parere favorevole allo Stato ebraico.

Queste pressioni e tentativi di ingerenza sono stati dissimulati, in probabile violazione della legge israeliana, e hanno permesso ad esempio di ottenere l’archiviazione di un caso riguardante l’azienda olandese Riwal, implicata nella costruzione del muro di separazione in Cisgiordania.

In Spagna, gli sforzi di lobbying del dipartimento degli affari speciali hanno contribuito nel 2009 all’archiviazione di un caso penale in cui il ministro della Difesa dell’epoca, Binyamin Ben-Eliezer, e sei ufficiali superiori dell’esercito erano accusati per l’omicidio a Gaza di quattordici civili, tra cui diversi bambini e neonati.

Il dipartimento degli affari speciali è stato anche molto attivo nel proteggere i soldati con doppia cittadinanza che servono nell’esercito israeliano, mobilitando decine di milioni di euro in spese legali – in Spagna, Belgio, Germania, Francia, Stati Uniti e Sudafrica, tra gli altri. Lavorando in stretta collaborazione con l’unità militare incaricata di vegliare sulla conformità con il diritto internazionale, il dipartimento ha avuto anche la missione di sviluppare argomentazioni giuridiche per coprire le azioni dell’esercito israeliano.

Dieci anni guadagnati alla CPI

Tra i successi più notevoli rivendicati dal dipartimento speciale: aver fatto trascinare per dieci anni l’apertura di un’inchiesta della Corte Penale Internazionale per crimini di guerra commessi in territorio palestinese. Dopo l’operazione militare “Piombo Fuso”, che ha causato la morte di oltre 1.400 gazawi nell’inverno 2008-2009, l’Autorità Palestinese chiede alla CPI di aprire un’inchiesta. Nel 2015, dopo che il procuratore ha annunciato l’apertura di un’indagine preliminare, Benjamin Netanyahu autorizza “l’apertura di un dialogo discreto con l’ufficio del procuratore” per contestare la competenza della corte.

Il dipartimento degli affari speciali ha svolto un ruolo centrale in questo dialogo. Nei suoi rapporti di attività annuali, si vanta di aver “mantenuto una presenza costante all’Aia, identificato i centri di potere all’interno dell’ufficio del procuratore, tessuto legami con personalità chiave“. Il suo direttore Roy Schondorf si è così recato almeno due volte alla sede della CPI nel 2015 e nel 2018, per incontrare un membro dell’ufficio del procuratore.

Dopo vari ripensamenti, la CPI finisce per aprire un’inchiesta nel 2021 sui crimini commessi nei territori palestinesi dal 2014. Il dipartimento degli affari speciali non è riuscito totalmente nel suo intento, ma stima di essere riuscito a guadagnare tempo prezioso. La sua attività di lobbying ha “largamente contribuito al fatto che Israele sia riuscito a ritardare di un decennio la decisione dell’ufficio del procuratore di aprire un’inchiesta sul conflitto israeliano-palestinese“, si legge in un rapporto di attività confidenziale.

Contattata da Mediapart, la CPI non ha dato seguito alla nostra richiesta di intervista. La giustizia internazionale non è stata l’unico bersaglio del dipartimento degli affari speciali. Questo si è intromesso anche in procedure giudiziarie di diversi paesi europei. Nel 2017, una denuncia viene depositata nei Paesi Bassi contro l’azienda Four Winds, un gruppo olandese che fornisce cani all’esercito israeliano. Nel 2014, uno di questi animali ha attaccato Hamzeh Abu Hashem, un palestinese di 16 anni, ferito alla gamba e alla spalla.

Il suo avvocato, Liesbeth Zegveld, reclama un risarcimento, ma chiede anche il divieto per Four Winds di esportare cani verso Israele. Impensabile per le autorità israeliane, che faranno di tutto per evitare un processo. Il Ministero della Giustizia israeliano incarica Robbert de Bree, un avvocato olandese, di assistere l’azienda, a sua volta tenuta a mantenere segreto l’aiuto fornito da Israele.

Quando approccia Liesbeth Zegveld, Robbert de Bree non dice che, oltre agli interessi di Four Winds, difende quelli dello Stato israeliano. Credendo di negoziare direttamente con l’azienda olandese, l’avvocato del giovane palestinese accetta di firmare un accordo: un risarcimento di 20.000 euro in cambio del ritiro delle accuse.

Ciò che non sa è che la somma non è stata realmente pagata da Four Winds, ma versata segretamente dal governo israeliano. In questo accordo, non si parla più di vietare a Four Winds di fornire cani all’esercito israeliano. “Pensavo di negoziare con un avvocato che rappresentava un’azienda olandese, mentre in realtà era sotto il controllo di Israele“, si indigna oggi Liesbeth Zegveld presso NRC, il nostro partner olandese, membro dell’EIC.

Contattato a sua volta, Robbert de Bree assicura di rispettare “tutti gli obblighi legali ed etici nel [suo] lavoro” e di non aver “mai preteso di rappresentare un cliente mentre si trattava in realtà di una [altra] terza parte“. Interrogato in modo preciso da Mediapart e dai suoi partner su tutti gli elementi trattati in questa inchiesta, il Ministero della Giustizia israeliano ha confermato la ricezione delle nostre domande, ma non vi ha dato seguito. In Israele, una legge impone il silenzio ai media nazionali e vieta loro di evocare il contenuto della fuga di dati su cui si basa questa inchiesta.

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