Se qualcuno pensava davvero che ci fosse accondiscendenza da parte di Trump verso la Cina, come purtroppo si è sentito da alcuni media orfani del padrone statunitense dopo la pubblicazione della Strategia di Sicurezza Nazionale, non ha ben capito in che mondo ci stiamo avventurando.
Sia Washington sia Taipei confermano che è in corso il dialogo su di un pacchetto enorme di armamenti da vendere a Taiwan: ben 11,1 miliardi di dollari. Si tratta del secondo accordo del genere annunciato dalla seconda amministrazione Trump, ma il precedente accordo di novembre valeva “solo” 330 milioni.
La lista di armamenti è impressionante, anche e soprattutto perché si tratta di dispositivi che aumentano nettamente le capacità belliche di Taiwan: 82 sistemi HIMARS e 420 missili tattici ATACMS (oltre 4 miliardi di dollari), 60 howitzer semoventi (4 miliardi di dollari), droni kamikaze Altius e software militari avanzati (oltre 2 miliardi di dollari), missili anticarro Javelin e TOW, e infine kit di ammodernamento per i missili Harpoon.
Se passerà così com’è al Congresso, si sta parlando, in sostanza, del più grande pacchetto militare approvato per l’arcipelago, considerato una regione secessionista da Pechino e di cui la sovranità è riconosciuta da una manciata di paesi. Anche gli States riconoscono la politica di “Una sola Cina”, ma continuano ad armare Taiwan, e ad accogliere i suoi ministri, come è successo con quello degli Esteri, Lin Chia-lung, appena prima dell’annuncio del pacchetto militare.
Trump, a fine ottobre, aveva congelato la guerra commerciale con la Cina, seguendo in linea di massima anche le raccomandazioni della Rand Corporation: per porre le basi della competizione egemonica con il Dragone, serve un terreno stabile su cui condurre la lotta. Aveva poi redarguito Sanae Takaichi per le dichiarazioni bellicose contro Pechino, proprio al riguardo del dossier Taiwan.
Se la prima ministra del Giappone aveva bisogno di parole altisonanti per far contenti i proprio sostenitori nazionalistici, a Trump non interessa “parlare” di Taiwan: gli interessa armarlo. E in un certo senso, si può dire che gli interessa farlo innanzitutto per le opportunità di profitto del complesso militare-industriale stelle-e-strisce.
Il governo taiwanese, guidato dal presidente Lai Ching-te, ha recentemente proposto un budget supplementare per la difesa da 40 miliardi di dollari per il periodo 2026-2033. La portavoce presidenziale Karen Kuo ha aggiunto che l’isola intende aumentare la spesa per la difesa fino al 3% del PIL nel prossimo anno, con l’obiettivo di raggiungere il 5% entro il 2030.
Nulla di diverso da quello che The Donald sta imponendo a tutti gli alleati: se volete protezione, dovete pagarla. A guadagnarne saranno le industrie militari USA. Ma allo stesso tempo, chi pensava che Washington avrebbe rinunciato a Taipei come baluardo del contenimento della Cina entro la linea strategica denominata First Island Chain, che va dalla Melesia al Giappone, non aveva calibrato bene la posta in gioco.
Come detto, la Casa Bianca vuole semmai riorganizzare i carichi di lavoro e le funzioni. Maggior impegno del Giappone, e in prospettiva anche della Corea del Sud, sulla Prima Catena, maggior preparazione di Taipei a una guerra asimmetrica, come ha chiesto il Segreatario alla Guerra USA Pete Hegseth (anche se le armi di questo pacchetto sembrano più adatte a prevenire uno sbarco).
Il portavoce del Ministero degli Esteri della Cina, Guo Jiakun, ha condannato duramente l’accordo, mostrando di avere ben chiaro come Washington stia usando l’arcipelago: “il tentativo degli Stati Uniti di usare la forza per sostenere l’indipendenza di Taiwan si ritorcerà contro di loro e il loro tentativo di contenere la Cina usando Taiwan non avrà assolutamente successo“.
L’arcipelago si conferma come un punto fermo della politica di Washington, volta a mantenere il primato nella competizione globale. E non potrebbe essere altrimenti se l’obiettivo è quello di sganciarsi da una proiezione globale, e concentrarsi sull’emisfero occidentale, che racchiude sì le Americhe, ma anche il Pacifico.
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