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Le rivalità arabe riaccendeno la guerra in Yemen, Israele è soddisfatto

Come al solito, sui media occidentali le notizie riguardanti i sanguinosi conflitti che vengono causati dagli appetiti dei “nostri” alleati sono trattati come lontani “Risiko”. Lo stesso vale per lo Yemen, dove si è sempre pronti a condannare gli Houthi, quando in questi giorni la guerra civile è tornata con prepotenza sul terreno, e non per volontà di Ansar Allah.

Anzi, la recente avanzata militare del Consiglio di Transizione del Sud (SCT) dimostra che all’origine della frammentazione, del caos, e del disastro umanitario che attanaglia da oltre un decennio lo Yemen ci sono i giochi dei paesi filo-occidentali, in particolare dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti.

Il SCT ha ormai il controllo di Aden, la città dove era stato insediato il governo considerato legittimo, sostenuto in primo luogo da Ryad. Ma, soprattutto, le forze secessioniste del Sud hanno lanciato un’offensiva che ha assicurato loro il controllo delle regioni di Hadhramaut e Mahra, dove si concentra la maggior parte delle risorse di petrolio e gas del paese.

Se il governo di Aden, che non ha mai davvero governato quasi nulla, è stato criticato per la sua incapacità di tamponare gli Houthi nel nord del paese, dove si trova anche la capitale ufficiale Sana’a, il SCT vuole rivendicare la creazione di uno Stato dell’Arabia meridionale con capitale la stessa Aden, cosa di cui parla apertamente Aidarous al Zubaidi, il leader dei secessionisti.

Dietro il SCT ci sono gli Emirati, chiudendo il cerchio di uno scontro in cui il popolo yemenita è solo uno strumento usato in funzione di diversi indirizzi strategici, nella competizione per l’affermazione come potenza regionale. L’accordo del 2019, che aveva evitato che le forze anti-Houthi conflagrassero in un ulteriore conflitto interno, e che aveva portato lo stesso SCT nel governo, è crollato.

Se in estate l’ISPI ipotizzava vari scenari di risoluzione dei contrasti nella coalizione anti-Houthi, dal congelamento dello status quo allo scontro diretto tra le fazioni filo-saudite e quelle filo-emiratine, sembra che i fatti sul campo ormai propendano per lo smembramento dello Yemen, con la creazione di uno stato costiero.

I sauditi vorrebbero un paese unito, magari anche in una forma federale, ma comunque come un’entità solida e stabile abbastanza da poter essere usata come cuscinetto ai propri confini meridionali e argine alle influenze iraniane nella zona. Agli Emirati, invece, interessa avere il controllo delle coste, per assumere un ruolo strategico fondamentale nel commercio verso Suez.

Il terremoto politico yemenita riverbera ben oltre i confini del Golfo. Il controllo del STC sui porti di Aden e Mukalla, e quella che è in sostanza una diretta presenza militare emiratina sulle isole di Socotra e Perim offrono una presa molto più solida sullo stretto di Bab al-Mandab. Un coordinamento, anche indiretto, tra Israele e il STC potrebbe garantire una deterrenza nei confronti degli Houthi più efficace all’ingresso del Mar Rosso.

Il porto di Eilat ha visto crollare i propri ricavi dell’80% a causa delle operazioni di Ansar Allah in solidarietà con il popolo palestinese. Ma Tel Aviv non poteva contare sulla compiacenza di Ryad. Al contrario, gli Emirati sono i primi firmatari degli Accordi di Abramo, e rappresentano il principale alleato israeliano nella penisola araba. Il paese ha appena firmato un accordo con la Elbit Systems del valore di 2,3 miliardi di dollari per lo sviluppo di un sistema di difesa elettronica aeronautica.

Gli emiratini, se si considera anche il sostegno alle RSF in Sudan, stanno giocando a carte scoperto nell’assunzione di un ruolo di grande potenza regionale, o per lo meno di cardine del mondo arabo, facendo da sponda ai sionisti. Hanno riacceso il conflitto in Yemen, stanno finanziando e armando massacri sull’altro lato del Mar Rosso, e lo stanno facendo in un’alleanza stretta con Israele, che continua a rappresentare il motore delle destabilizzazioni di quel settore di mondo.

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