La situazione afghana ha indirettamente scandagliato le carte in un teatro che sta acquistando sempre più importanza come quello che fa riferimento all’Asia centrale e alla zona del Pacifico. Ma per tentare di capire chi e per cosa si gioca in questo specifico tavolo bisogna porre questa questione in una prospettiva che tenga ben presente il contesto che la politica internazionale attuale sta delineando sempre più velocemente.
Senza ombra di dubbio questo comporta una difficoltà non da poco, poiché si tratta di evidenziare faglie e fili rossi che legano i vari teatri alla luce dei vari processi storici che li hanno formati e la mancanza dei quali ha prodotto i vari pastrocchi narrativi borghesi, che rischiano di pregiudicare lo sguardo dei militanti comunisti e di qualsiasi persona che intenda avvicinarsi a questi argomenti centrali per l’epoca corrente.
La notizia attuale, dalla quale partiamo per analizzare il quadro relativo a questa zona del mondo, fa riferimento all’accordo QUAD, partnership militare tra Stati Uniti, Australia, Giappone e India, nata nel 2007 come alleanza informale delle “democrazie” del Pacifico.
Il 24 settembre è in programma a Washington una riunione di detta partnership, dove Biden coglierà l’occasione per implementare ulteriormente gli accordi sia in materia militare sia in materia di vigilanza e monitoraggio sanitario relativo al Covid 19.
Una partnership che nei desiderata statunitensi e dei gruppi di pressione più legati a Washington presenti nei paesi coinvolti dovrebbe diventare una sempre più stretta alleanza militare per fare muro a Pechino, scopo ufficioso anche se neanche troppo nascosto di questa convergenza ormai più che decennale.
Ovviamente i vari membri della partnership in questione hanno svariati interessi regionali e non, con relativi problemi legati alla situazione che si è venuta a creare.
India
Nuova Delhi sembra in un impasse poiché da una parte ha contenziosi coi cinesi, relativi al corridoio sino-pachistano che passa per il Ladakh, che tanti incidenti ha già provocato l’anno scorso, e contemporaneamente ha una questione storica con il suo rivale per eccellenza: il Pakistan, diretto concorrente regionale.
Dall’altra ha tentato di mantenere ottimi rapporti con Mosca, essendo questa una legatura storica per Nuova Delhi, implementando però, in particolar modo negli ultimi decenni, un rapporto preferenziale con gli Stati Uniti che ha avuto una notevole accelerazione negli ultimi 10 anni, indipendentemente dalle amministrazioni statunitensi, tanto che si era arrivati qualche mese fa al varo di riforme importanti del mercato del lavoro e della terra, che avevano colpito gli agricoltori del nord del subcontinente, con conseguenti scioperi mastodontici e problemi relativi all’ordine interno.
Questa situazione però è stata scossa dalla questione Afghanistan, proprio perché l’abbandono statunitense, sotto la cui egida Nuova Delhi aveva stretto rapporti economico militari con le amministrazioni afghane ad esso legate, ha impresso una spinta ai dubbi relativi al dibattito decisionale interno, tanto che dopo il ritiro precipitoso dei contingenti statunitensi, una buona parte della politica indiana ha iniziato ad interrogarsi sul mantenimento di questo atteggiamento di chiusura totale verso Pechino (che ad esempio ha portato ad una serie di dazi relativi ai prodotti tecnologici cinesi).
Dubbi ventilati anche dal fatto che Nuova Delhi, dopo l’annuncio del ritiro statunitense e prima dell’avanzata delle milizie Taliban, aveva offerto appoggio militare ai governi afghani filo-occidentali.
Al di là di certi temi dibattuti nell’opinione pubblica indiana, dietro queste discussioni si celano le preoccupazioni regionali che volgono lo sguardo indiano in direzione Pakistan che, nonostante sia fratturato internamente dall’operare di certi gruppi separatisti come le milizie del Baluchistan o fondamentalisti islamici armati come Tehrik-i-Taliban Pakistan (interessante l’intreccio che vede protagonista questo gruppo e che fa capire la dinamicità e la differenziazione interna del fronte talebano) che fungono da variabile impazzita, ha senza ombra di dubbio rafforzato la sua posizione con l’attuale rivolgimento nei rapporti di forza all’interno dell’Afghanistan.
C’è, dietro a questo macro-nodo, la questione relativa al corridoio energetico che Nuova Delhi ha implementato grazie ad accordi che vedono partecipe Islamabad e riguardante le riserve di gas turkmene.
Stiamo parlando del gasdotto TAPI (Turkmenistan, Afghanistan, Pakistan, India).
Nato come progetto per irrigare energeticamente le zone dell’Asia meridionale col gas proveniente dal Turkmenistan, vede il convergere di numerosi interessi geopolitici per le chiare implicazioni a livello energetico.
Se il Turkmenistan è infatti interessato ad un ampliamento e diversificazione dei propri clienti, essendo lo stesso eccessivamente legato all’utenza cinese – che ha già guardato, in maniera preoccupante per gli interessi di Ashgabat, immersa in una profonda recessione, al gas kazako – Pakistan e India tentano di giocarsi una partita interna a questo progetto per spuntare maggiori benefici ai danni dei competitor regionali.
L’India, uscita malconcia dalla decisione statunitense e dalla rapida conquista talebana, è sempre più preoccupata riguardo a questo progetto che aveva trainato fino a poco tempo fa dichiarazioni riguardo ad importanti investimenti proprio in Afghanistan, sia riguardanti i progetti paralleli che avrebbero accompagnato il corso del gasdotto, come il corridoio di fibra ottica che sarebbe dovuto arrivare dal Turkmenistan all’India passando appunto per l’Afghanistan, sia per altri progetti relativi alle infrastrutture afghane come la diga Shahtoot.
La situazione che però si è venuta a creare ha comportato l’acquisizione di una posizione di forza ulteriore anche per Pechino, che già ha aperto un dialogo col governo talebano (che per i legami che l’India ha avuto con i governi filo occidentali non gradisce detta presenza), facendo scivolare ancora di più Nuova Delhi nella stretta dell’accordo QUAD, che arriva in una situazione in cui il dubbio sulla capacità statunitense di mantenere alleanze durature nella zona aveva pericolosamente preso quota come prima menzionato.
Sembra proprio che per questa ragione che gli statunitensi abbiano accelerato verso questa via e per ora le decisioni del governo indiano sembrano preferire questo canale andando, come prima accennato, ancora di più in direzione Washington; basti pensare che qualche giorno fa il ministro degli esteri indiano Subrahmanyam Jaishankar si è espresso per un accelerazione relativa all’accordo QUAD.
Uscita diplomatica probabilmente causata anche dal fatto che Mosca ha deciso di non includere l’India nei colloqui relativi all’Afghanistan. Probabilmente una stoccata dovuta al fastidio che la Federazione Russa ha provato nei riguardi di questo rapporto preferenziale tra Washington e il governo indiano, ulteriormente rafforzato qualche settimana fa durante la visita che il segretario di stato statunitense Antony Blinken ha effettuato nel subcontinente indiano, dove ha avuto modo di rimarcare l’importanza strategica che la partnership con Nuova Delhi riveste per Washington.
Giappone
Il Giappone, dalla fine della seconda guerra mondiale, ha sempre avuto un atteggiamento militarmente passivo, essendo coperto dall’operare politico militare dei comandi statunitensi nel Pacifico, concentrandosi più che altro, da un punto di vista strategico, nell’implementazione economica di un capitalismo che per certi versi è stato all’avanguardia sia tecnologicamente che logisticamente, volgendo il suo sguardo nella penetrazione del mercato centro asiatico, vecchio pallino di Tokyo.
Non sorprende quindi, vista la situazione regionale ed internazionale che va formandosi, l’incremento che il paese del Sol Levante ha operato nel settore militare negli ultimi anni, facendosi molto aggressivo nei confronti di Pechino ed arrivando a rispolverare vecchie questioni anche con Mosca, basti pensare alla questione Isole Curili, che qualche mese fa aveva indispettito Tokyo.
Se da una parte, quindi, il Giappone vede incrementare le proprie voglie militari, dall’altra l’occasione di fare affari con Pechino aveva calmierato la situazione, decretando uno sorta di stallo che caratterizzava la vita delle difficili relazioni diplomatiche con la Cina.
Non è un caso infatti che Tokyo in relazione al QUAD abbia sempre rigettato il progetto di farne una sorta di NATO asiatica.
Questione quest’ultima, però, che sembra più formale che sostanziale alla luce degli ultimi avvenimenti in tema di politica internazionale e che vede Tokyo maggiormente partecipe al progetto e sempre più rivolto ad una strategia anti-cinese, come confermato dalla “China exit strategy” sbandierata dalle company del Sol Levante – invogliate dai sussidi che Tokyo elargisce alle stesse se impegnate nella riallocazione dei sistemi produttivi verso l’India e il sud est asiatico e dalle continue pressioni (accompagnate da un progressivo avvicinamento a Taiwan) . rispetto alla questione isole Senkaku.
Australia
Passando all’Australia, che rimane dentro ad una guerra commerciale con Pechino che si protrae con buona intensità da qualche anno, e che ha già generato vari dazi tra le due nazioni inerenti ai prodotti in alluminio cinesi e ai prodotti alimentari australiani (carne e vini), la stretta relativa a questa partnership sembra essersi fatta ancora più salda.
Da menzionare il fatto che le mire australiane dopo l’intensificarsi del confronto commerciale con Pechino, in materia di relazioni economiche, vedono nell’India il partner ideale per sostituire la Cina, che comunque rimane un partner commerciale fondamentale per Canberra.
La Cina commenta in maniera sarcastica questa indiscrezione che arriva dall’Oceania, puntualizzando l’attuale incapacità economica indiana di sostenere un tale volume commerciale.
La notizia ultima ha a che fare con le forniture militari relative all’acquisto di sottomarini tattici che Canberra aveva in progetto di concludere con Parigi, del valore di 90 miliardi di dollari, e che è saltato dato che la nazione più grande dell’Oceania si sta spostando verso una partnership a guida anglo statunitense che garantirebbe a Canberra lo sviluppo di sottomarini a propulsione nucleare .
L’Australia inoltre si impegnerebbe a cedere a Washington parte della base navale di Perth.
Qui le cose si fanno ulteriormente interessanti poiché, come prevedibile, la Francia ha pesantemente protestato per questa scelta, sia perché questa toglie un grosso affare alle casse della sua Naval Group, gruppo impegnato nel contratto prima menzionato, sia perché questa stretta – che avrà riunite più organicamente le nazioni del vecchio Commonwealth – arriva appena dopo l’uscita ufficiale delle prime strategie che l’Unione Europea, Francia in testa, ha deciso di implementare nell’area indo pacifica. Arriviamo quindi a parlare di U.E.
Unione Europea
Anche l’Unione ha deciso di intervenire direttamente nel teatro geopolitico più importante.
Ne avevamo già visto le avvisaglie quando la Germania, qualche mese fa, decise di inviare due fregate nel mar meridionale cinese, mossa che indispettì Pechino che con Berlino aveva sempre mantenuto rapporti non eccessivamente tesi.
L’U.E. entra nell’area con la prospettiva di intessere rapporti più forti con paesi come Taiwan, relativamente alla questione semiconduttori, tentando poi di coinvolgere altri paesi come la Corea del Sud e il Giappone per formare una nuova catena di approvvigionamento che porterebbe la concorrenza alla Belt and Road cinese direttamente nella zona asiatica.
Significativo che la vice-presidente Kamala Harris, qualche settimana fa, abbia fatto lo stesso ragionamento durante la sua visita a Singapore e Vietnam (due paesi tra l’altro, che Washington vorrebbe coinvolgere nel progetto QUAD).
Il fatto che ora la Merkel abbandoni il timone del Bundestag, unito all’intraprendenza francese in materia di conduzione nella politica europea – data principalmente dal fatto che è l’unico attore in Europa ad avere ancora di fatto una politica relativa a dei territori coloniali – che ha avuto una spinta dalla fine dell’occupazione occidentale in Afghanistan e le relative polemiche riguardo le lacune di comunicazione tra Washington e gli alleati europei, ci porta a pensare che le attività europee nel pacifico non potranno che aumentare di intensità.
Se da una parte sembra che si vada verso ad una sorta di concorrenza intercapitalistica tra paesi anglosassoni ed Unione Europea (derivata anche dal fatto che gli Stati Uniti sono abituati a considerare il teatro del Pacifico come zona di loro competenza tra gli occidentali, dalla fine della seconda guerra mondiale), dall’altra l’obiettivo principale per entrambi rimane quello di contenere Pechino e la relativa alleanza, che per ora rimane salda, formalmente, sulle sole questioni specifiche con Mosca.
L’affare afghano ha svelato ciò che negli Stati Uniti si va dicendo ormai da anni, e cioè che la strategia di Washington deve virare verso le classiche tattiche delle potenze insulari.
L’implementazione di questi accordi, come quello con Inghilterra e Australia (AUKUS), nonché il partnenariato quadrilaterale del Pacifico, in questa specifica situazione, sono sicuramente un segnale forte ai competitor internazionali, ma anche al resto del mondo che sta a guardare le mosse dell’amministrazione statunitense dopo il ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan.
Questo spinge anche l’Unione a concentrare i propri sforzi nelle zone in cui più si giocherà direttamente il destino delle regole relative alla politica internazionale del prossimo futuro.
Questo fa sì che persino Roma, da tempo in coda alle strategie dei vari potentati centro europei ed atlantici, si impegni direttamente nella partita, come confermato dalla questione scontro avvenuto ad inizio anno tra aviazione e marina militare relativamente alla fornitura degli F 35, contesa “vinta” dalla marina, che si è aggiudicata la fornitura della “variante b” del caccia multiruolo della Lockheed Martin, preposta all’uso sulle portaerei, proprio in virtù dei futuri impegni nel Mediterraneo orientale e, novità indicativa nell’area dell’Indo-Pacifico.
Il Pacifico sta diventando sempre di più il teatro principale dello scontro internazionale.
Segno che il baricentro economico del globo si sposta sempre di più verso est.
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