Dunque, dopo mesi di proteste e manifestazioni – l’ultima ieri mattina all’interno dell’Eur militarizzato – nonostante la farsa degli Stati Generali che spostavano l’attenzione sugli interessi di costruttori e imprenditori piuttosto che su quelli del Paese reale, il sindaco Alemanno ha dovuto cedere, consegnando al “comitato referendario romano 2 sì per l’acqua bene comune” un’importante vittoria. Tanto più importante se si considera che fino a pochi mesi fa le intenzioni della giunta capitolina erano ben diverse. Ci sono volute, infatti, manifestazioni e pressioni da parte del comitato per far rispettare la volontà di oltre 1.400.000 cittadini italiani che chiedono di dire la loro sulla gestione del servizio idrico. È stato nel novembre scorso che la maggioranza del Consiglio comunale aveva rifiutato la moratoria sul decreto Ronchi e sul provvedimento di abolizione degli Aato, per fare solo ieri un passo indietro.
Un dietrofront dell’amministrazione capitolina, accolto positivamente dai comitati che parlano di “un ulteriore segnale di come la messa in discussione della privatizzazione dei servizi idrici abbia conquistato un posto di rilievo nell’agenda politica, ed un segnale incoraggiante in vista della consultazione referendaria della prossima primavera”.
E se la questione dell’acqua pubblica è stata inserita nell’agenda politica del Comune di Roma, è invece sparita dall’agenda della giunta Vendola. Il Presidente della Regione Puglia, infatti, dopo aver basato gran parte della sua campagna elettorale sulla pubblicizzazione dell’acquedotto pugliese ha
dimostrato un vero e proprio disinteresse sulla questione. Non sono servite le numerose comunicazioni dei comitati pugliesi che richiedevano un incontro per discutere sulla ripubblicizzazione: ad oggi infatti, non c’è stata alcuna risposta né alcun incontro. Pare non sia servita neanche la lettera aperta dei comitati in cui vengono smentite le dichiarazioni del Presidente pugliese durante la puntata della trasmissione televisiva “Annozero” di giovedì 17 febbraio.
Vendola che si era vantato di aver “fatto la ripubblicizzazione dell’acquedotto come legge del mio governo” e averla “passata nella commissione competente del consiglio regionale” si è forse dimenticato che senza l’approvazione di un DDL nel Consiglio, non c’è tecnicamente alcuna legge? Dunque la sua affermazione rimane nell’ambito dell’annuncio, della propaganda e non dell’applicazione. Una tecnica da sempre utilizzata da politici di destra e sinistra, perché spesso la decisione di una politica pubblica senza la conseguente applicazione è piu utile, grazie al suo carattere propagandistico.
E questa volta è proprio il Presidente pugliese a farne uso, in barba alle promesse e ai principi democratici che ha sempre sbandierato, soprattutto in campagna elettorale quando aveva addirittura assunto pubblicamente l’impegno di trasformare il DDL in legge entro i primi 100 giorni della legislatura. Un disinteresse dimostrato dall’esecutivo che lascia sbigottiti i comitati pugliesi per l’acqua bene comune, le cui richieste di confronto sono state rimandate di volta in volta dall’assessore alle Opere Pubbliche, Fabiano Amati creando così difficoltà nelle comunicazioni e soprattutto nel coinvolgimento degli attori sociali nel processo decisionale.
Vendola, anche in questa occasione, è riuscito a dare dimostrazione di essere più bravo con le parole che con i fatti: soavemente ha dichiarato di battersi per l’acqua pubblica mentre ad oggi l’acquedotto pugliese è ancora una Spa; si è schierato contro gli inceneritori sostenendo “Dio ricicla, il diavolo brucia” e attualmente aiuta la Marcegaglia a costruirli; ha destinato 120 milioni di euro di denaro pubblico alla fondazione San Raffaele Mediterraneo che vede socio Don Luigi Maria Verzé, padre spirituale di Berlusconi; e oggi è anche riuscito a collezionare, tra gli altri, gli arresti del suo caposcorta, Paolo Albanese e di Alberto Tedesco, ex assessore regionale alla Sanità della Regione Puglia.
* Radio Città Aperta
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