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Farid e Nadia, schiavizzati e precari nell’Italia del Terzo Millennio

“Sto qui dal 1998 perché in famiglia avevo sentito certi racconti e volevo imitare mio zio. Invece non ho conosciuto miglioramenti. Certo io non faccio il commerciante, quando iniziai non avevo nessun capitale, anche piccolo, da investire né l’ho potuto accumulare nel tempo. Ho dovuto cambiare molti lavori, ora sono bracciante ma è sempre più dura”. Bracciante agricolo nella piana del Sele come Sabri El Houssaine originario di Settat a sud di Casablanca anch’egli marocchino, in Italia da quattro anni e già ampiamente disilluso sul presunto Eldorado che gli non gli consente nulla. Denuncia Farid “Da Caserta in giù tutto il lavoro è nero, se chiedi di essere regolarizzato ti dicono che lavoro non c’è. Le aziende, piccole o grandi, cercano sempre di fregarti. Si prendono il pizzo a monte, sulla busta paga scrivono 45 euro e te ne danno 25 per nove ore al giorno.

Se dici che l’orario dovrebbe essere di otto ore ti pagano 20 euro, ma se chiedi di arrivare a guadagnarne 30 le ore diventano undici o dodici. I sindacati non riescono a spezzare questa catena. Siamo in balìa dei soprusi come quando dobbiamo rinnovare il permesso di soggiorno, tasse e bolli costano 120 euro però il padrone per darti garanzia te ne chiede 1000. Due mensilità, e tu come fai a vivere? Li metti da parte poco alla volta, il permesso dura sei mesi o un anno e devi ricominciare da capo. Per spedire qualcosa a casa io risparmio, risparmio ma non ce la faccio. Ho trentacinque anni non mi sono nemmeno sposato perché il lavoro è incerto, non ho un alloggio regolare e non vedo come potrei mantenere dei figli. Negli ultimi tempi la Prefettura ci ha assegnato una villetta sequestrata alla camorra vicino Capaccio, ci stiamo in quarantacinque. La collocazione però è provvisoria, prima ci hanno staccato la luce, nei mesi d’inverno non abbiamo avuto riscaldamento, ora ci mandano via. Siamo anche a 30 km dalla campagna dove lavoriamo e per essere alle sei sulla terra ci alziamo alle tre e pedaliamo due ore in bicicletta, tante volte sotto la pioggia. La domenica ce ne stiamo in casa a riposare oppure giriamo senza meta, non possiamo permetterci svaghi perché costano. Ogni anno che passa la situazione peggiora, fino al 2005 si lavorava sempre e si guadagnava pure qualche euro in più, dal 2007 va malissimo, c’è tanta concorrenza, i padroni dicono: se non ti va bene va via”. Razzismo? “Sì che c’è, anche da parte di quelli dove andiamo a spendere soldi. Qualche volta per ascoltare le notizie sulle rivoluzioni in Nord Africa vado al bar quando c’è il telegiornale. Il barista mi fa: bevi il caffè e vattene non puoi stare qui. Ci dicono che siamo sporchi, ma noi lavoriamo la terra, parlano d’integrazione ma non vogliono farci integrare. Purtroppo lo fanno anche i paesani che sono stati o sono contadini. Una volta mio fratello stava tanto male, ho avuto paura e ho chiamato l’ambulanza. E’ arrivata e per portarlo all’ospedale mi chiedevano 100 euro, gli ho promesso che gliele avrei dati. Poi al Pronto Soccorso mi sono ribellato e ho detto tutto ai medici. C’è stata discussione e il barelliere rideva e diceva che aveva scherzato. Questo non è razzismo? Quando ci è capitato di lavorare coi braccianti italiani questi prendevano le cose più leggere, lasciandoci le più dure come raccogliere gli ortaggi sotto la pioggia mentre loro stavano nelle serre. O al contrario d’estate noi africani nelle serre a 45 gradi, loro all’aria aperta. Tutto ciò mi rattrista perché sono venuto in Italia anche per le belle cose che mi raccontava mio zio, ma la gente è cambiata non c’è rispetto. I miei amici in Germania mi dicono che stanno meglio”.

Nadia Ciardiello è nella scuola dal 1997. Vari decreti che le davano lavoro (come a 13.500 addetti concentrati soprattutto nel centro-sud) prima come operatore socialmente utile poi utilizzandola accanto al personale ATA (bidelli e ausiliari), promettevano una stabilizzazione “Ma – racconta lei stessa – nel 2001 il Ministero del Lavoro in accordo con Cgil-Cisl e Uil ha puntato a esternalizzare con una spesa anche maggiore (750 milioni di euro l’anno, ndr). Così noi continuiamo ad avere uno stipendio di 800 euro a fronte di 2.300 che lo Stato paga pro capite facendo guadagnare Consorzi e Cooperative che si spartiscono gli appalti. Ora sono arrivati i tagli, però se il governo equilibrasse pensionamenti e assunzioni i fondi sarebbero sufficienti per tutti. Le Finanziarie che anno per anno predispongono le cifre stanziate per il settore hanno creato una cronicizzazione della precarietà, ciò è un atto politico voluto. Quest’anno il taglio comporta un massacro sociale perché da giugno prossimo 5000 persone saranno licenziate e chi resta anziché 35 ore settimanali ne lavorerà 20 con ulteriori decurtazioni in busta paga. I sindacati confederali non aiutano la causa perché sostenendo il sistema degli appalti continuano ad avvantaggiare le ditte contro la nostra condizione che dura da quindici anni. In più mistificano la realtà, ricordo che nel 1999 quando si cercava di trovare una soluzione il sottosegretario del Ministero dell’Istruzione sosteneva la tesi di assunzione di 40.000 persone che potevano ricevere copertura dal Ministero dell’Economia. Nel 2001 la linea è completamente cambiata si è scelta la strada di appaltare il servizio a grandi Consorzi nazionali (Miles, Cils, Ciclat) noi siamo stati declassati e questi ultimi ne hanno tratto un ampio vantaggio economico. La mia azienda, ad esempio, sostiene che con i tagli previsti guadagnerà più di quello che ha guadagnato in dieci anni. Di fatto, ve lo posso garantire, chi ci rimette è l’operatore che resta che ha una maggiore mole di lavoro e l’utenza che in molti casi si ritrova servizi trascurati”.

 

 



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