La mattina si è discusso un problema apparentemente minore: il «monte ore» di permessi sindacali di cui – in proporzione agli iscritti – godono i delegati di fabbrica alla Sata di Melfi, la Sevel in Val di Sangro e la Fma di Pratola Serra. La Fiat aveva disdettato qualche tempo fa gli accordi che andavano avanti da decenni. Ora si è capito perché. In cambio di un certo numero di ore di permesso annuo, ha preteso fosse applicata una «clausola di responsabilità» per cui i sindacati che avrebbero firmato si impegnavano a evitare scioperi e proteste – anche quelle spontanee che nascono sulle linee quando «la catena» va troppo veloce. Se ci saranno, scatteranno sanzioni contro le organizzazioni, che perderanno parte o tutti i permessi e l’agibilità sindacale.
Solo apparentemente questa versione della «clausola» sembra meno grave di quella infilata negli accordi per Pomigliano e Mirafiori. Lì, infatti, era previsto anche il licenziamento dei lavoratori che scioperavano. Qui «solo» la riduzione della libertà sindacale. In realtà, cambia poco: i delegati – fin qui eletti dai lavoratori, in futuro si vedrà – vengono posti in conflitto diretto (per banale «interesse personale» a lavorare qualche giorno in meno l’anno) con gli altri lavoratori. Se i secondi scioperano, i primi ci rimettono. E ovviamente la Fiom non ha firmato.
Questo delle sanzioni per il sindacato è un obiettivo condiviso da tutta Confindustria (ne avevano parlato nei giorni scorsi sia Giorgio Usai, di Federmeccanica, che la presidente Emma Marcegaglia). E si crea una tenaglia chiarissima: «da una parte nei contratti individuali si chiede al lavoratori di impegnarsi a non scioperare, dall’altra si richiede identica disponibilità al sindacato». Giorgio Airaudo non ci va giù tenero. «Non stiamo neppure parlando di autoregolamentazione o procedure di raffreddamento, ma di uno scambio tra libertà d’azione sindacale e qualche privilegio per singoli sindacalisti». In generale, «sono restrizioni della democrazia; così la Fiat contribuisce alla disintegrazione della coesione sociale». Si «pratica l’obiettivo» di creare «un altro modello sindacale e altre ipotesi di rappresentanza».
Poche ore dopo è toccato alla ex Bertone, ora Officine Automobilistiche Grugliasco. Nell’incontro, chiesto dai sindacati«complici» (Fim e Fismic, soprattutto) per vedersi consegnare il testo dell’«accordo» da sottoporre al giudizio dei lavoratori, la Fiat si è rifiutata di esibirlo. Nel prossimi giorni, forse, sarà loro mostrato un «dispositivo» che avrà a «riferimento» il «futuro contratto dell’auto». Quale possa essere lo ha spiegato la stessa Fiat: il testo approvato per Pomigliano. Avremmo dunque un altro record: un contratto aziendale (doveva essere un «caso unico», giuravano!) che diventa «nazionale» senza altre discussioni.
L’idea di Marchionne è molto semplice: «in Fiat non ci possono essere due stati». Quindi tutti gli stabilimenti dovranno girare sullo stesso regime. A Grugliasco la Fiom raccoglie il 62% dei lavoratori. Nei prossimi giorni le Rsu – che avevano presentato addirittura una propria piattaforma – esamineranno la situazione. In ogni caso avevano già stabilito che qualunque accordo sarebbe stato sottoposto a referendum.
La Fiat, su questo punto, mostra di avere qualche incertezza. E quindi – stando alle parole dei dirigenti del Fismic (l’ex Sida fondato direttamente dal Lingotto negli anni ’50) – non anticiperà più il pagamento della cassa integrazione (in violazione esplicita dell’accordo firmato solo un anno e mezzo fa). Un modo esplicito di ricattare i dipendenti: finché non votate come io voglio, non vi dò neppure i soldi che poi io (azienda) mi vedrò restituire dall’Inps.
Un’incertezza che la dice lunga anche sulla fiducia che ripone nei sindacati «complici». Ieri Di Maulo (segretario del Fismic) a fine incontro aveva detto erroneamente che «tutti i dipendenti di Grugliasco sarebbero passati a Mirafiori». L’ufficio stampa della Fiat è dovuto scendere di corsa per fargli correggere le dichiarazioni.
Solo apparentemente questa versione della «clausola» sembra meno grave di quella infilata negli accordi per Pomigliano e Mirafiori. Lì, infatti, era previsto anche il licenziamento dei lavoratori che scioperavano. Qui «solo» la riduzione della libertà sindacale. In realtà, cambia poco: i delegati – fin qui eletti dai lavoratori, in futuro si vedrà – vengono posti in conflitto diretto (per banale «interesse personale» a lavorare qualche giorno in meno l’anno) con gli altri lavoratori. Se i secondi scioperano, i primi ci rimettono. E ovviamente la Fiom non ha firmato.
Questo delle sanzioni per il sindacato è un obiettivo condiviso da tutta Confindustria (ne avevano parlato nei giorni scorsi sia Giorgio Usai, di Federmeccanica, che la presidente Emma Marcegaglia). E si crea una tenaglia chiarissima: «da una parte nei contratti individuali si chiede al lavoratori di impegnarsi a non scioperare, dall’altra si richiede identica disponibilità al sindacato». Giorgio Airaudo non ci va giù tenero. «Non stiamo neppure parlando di autoregolamentazione o procedure di raffreddamento, ma di uno scambio tra libertà d’azione sindacale e qualche privilegio per singoli sindacalisti». In generale, «sono restrizioni della democrazia; così la Fiat contribuisce alla disintegrazione della coesione sociale». Si «pratica l’obiettivo» di creare «un altro modello sindacale e altre ipotesi di rappresentanza».
Poche ore dopo è toccato alla ex Bertone, ora Officine Automobilistiche Grugliasco. Nell’incontro, chiesto dai sindacati«complici» (Fim e Fismic, soprattutto) per vedersi consegnare il testo dell’«accordo» da sottoporre al giudizio dei lavoratori, la Fiat si è rifiutata di esibirlo. Nel prossimi giorni, forse, sarà loro mostrato un «dispositivo» che avrà a «riferimento» il «futuro contratto dell’auto». Quale possa essere lo ha spiegato la stessa Fiat: il testo approvato per Pomigliano. Avremmo dunque un altro record: un contratto aziendale (doveva essere un «caso unico», giuravano!) che diventa «nazionale» senza altre discussioni.
L’idea di Marchionne è molto semplice: «in Fiat non ci possono essere due stati». Quindi tutti gli stabilimenti dovranno girare sullo stesso regime. A Grugliasco la Fiom raccoglie il 62% dei lavoratori. Nei prossimi giorni le Rsu – che avevano presentato addirittura una propria piattaforma – esamineranno la situazione. In ogni caso avevano già stabilito che qualunque accordo sarebbe stato sottoposto a referendum.
La Fiat, su questo punto, mostra di avere qualche incertezza. E quindi – stando alle parole dei dirigenti del Fismic (l’ex Sida fondato direttamente dal Lingotto negli anni ’50) – non anticiperà più il pagamento della cassa integrazione (in violazione esplicita dell’accordo firmato solo un anno e mezzo fa). Un modo esplicito di ricattare i dipendenti: finché non votate come io voglio, non vi dò neppure i soldi che poi io (azienda) mi vedrò restituire dall’Inps.
Un’incertezza che la dice lunga anche sulla fiducia che ripone nei sindacati «complici». Ieri Di Maulo (segretario del Fismic) a fine incontro aveva detto erroneamente che «tutti i dipendenti di Grugliasco sarebbero passati a Mirafiori». L’ufficio stampa della Fiat è dovuto scendere di corsa per fargli correggere le dichiarazioni.
da “il manifesto” del 15 aprile 2011
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