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Istat: calano gli stipendi

Lo sapevamo tutti, ora se accorge anche la statistica. Non per colpa dell’Istat, che fa il suo mestiere, ma per l’opacità – un eufemismo – del mercato del lavoro in Italia, tra contratti precari e in nero che impediscono una rilevazione statisticamente attendibile dei salari reali. Nella rilevazione Istat dunque entrano in pratica solo i posti regolarmente contrattualizzati, ossia quasi solo i contratti a tempo indeterminato.

Ma anche qui la caduta diventa visibile. Le retribuzioni contrattuali a marzo hanno registrato un aumento del 2% rispetto allo stesso mese del 2010, ma il tasso d’inflazione annuo – a marzo – è stato pari al 2,5%. Quindi il rialzo tendenziale delle retribuzioni è stato inferiore a quello dei prezzi al consumo.

I settori che presentano gli aumenti maggiori rispetto a un anno prima sono quelli che hanno avuto un rinnovo contrattuale: edilizia (4,6%), militari e difesa (4,3%), forze dell’ordine (4,0%), agricoltura (3,8%). Gli incrementi più contenuti riguardano, invece, quelli che hanno i contratti bloccati e non rinnovati: ministeri e scuola (entrambi 0,6%), regioni e autonomie locali e servizio sanitario nazionale (0,7% per tutti e due i contratti).

«A partire da gennaio 2010 tutti i contratti della pubblica amministrazione sono scaduti e rimarranno tali in ottemperanza alle disposizioni della legge 122/2010 all’art. 9 comma 7 che stabilisce il blocco delle procedure contrattuali e negoziali relative al triennio 2010-2012», continua l’Istat. «L’indagine sulle retribuzioni contrattuali permette di calcolare la quota dei contratti collettivi nazionali di lavoro che resterebbe in vigore nel semestre successivo nell’ipotesi di assenza di rinnovi. L’incidenza dei contratti collettivi in vigore rilevata a marzo 2011 in termini di monte retributivo contrattuale si manterrebbe costante anche nel semestre successivo (57,3%)», continua l’Istat.

«L’indice delle retribuzioni orarie contrattuali per l’intera economia, proiettato per tutto l’anno sulla base delle disposizioni definite dai contratti in vigore alla fine di marzo 2011, registrerebbe nel 2011 un incremento dell’1,7%. Con riferimento al semestre aprile-settembre, in assenza di rinnovi, il tasso di crescita tendenziale dell’indice generale diminuirebbe progressivamente dall’1,8% di marzo all’1,5% di settembre».

Ancora peggio va però nelle grandi imprese, dove il calo è addirittura in termini monetari assoluti (non solo percentuali). Le retribuzioni lorde per ora lavorata a febbraio sono scese del 3,5% rispetto allo stesso mese del 2010 e dell’1,6% (dato destagionalizzato) rispetto a gennaio. Sommando il dato a quello dell’inflazione abbiamo dunque un 6% netto di salario in meno. Si tratta del ribasso annuo il più forte dal luglio del 2009.

L’Istat spiega che tale risultato è dovuto anche al calo nel settore delle attività finanziarie e assicurative (-13,7%), una riduzione «riconducibile prevalentemente – si legge nel comunicato dell’Istituto – alla mancata erogazione di premi e gratifiche (invece rilevanti nel febbraio 2010), nonché al venire meno dell’effetto degli incentivi all’esodo corrisposti lo scorso anno». Non a caso il calo annuo (-2,8%) è dovuto sopratutto al settore dei servizi (-4,1%) e meno al comparto dell’industria (-0,1%).

 

L’intervista a Maurizio Donato:

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