Secondo un rapporto reso noto oggi dall’Ocse, si accentuano le disuguaglianze sui redditi nei paesi avanzati, anche in Italia che è tra le economie dove questo divario risulta maggiormente ampio. Il dato è il riflesso di una generalizzata tendenza che vede i redditi più elevati crescere a ritmi ben maggiori di quelli che, all’opposto, si attestano ai livelli più bassi. In pratica sempre più “piove sul bagnato”, secondo le tabelle pubblicate dall’Organizzazione internazionale sorta proprio per monitorare le economie dei principali paesi del mondo. L’Ocse ha esaminato la dinamica di crescita del 10 per cento di redditi più elevati rispetto al 10 per cento di redditi più bassi, su un periodo che va dalla metà degli anni ’80 alla fine della prima decade del 2000 (con il 2008 come ultimo anno per quasi tutti i paesi).
Nel quarto di secolo preso in esame dall’Ocse, in Italia i redditi medi hanno registrato un aumento dello 0,8 per cento l’anno, mentre quelli più elevati sono cresciuti dell’1,1 per cento e i redditi più bassi hanno registrato solo un risibile 0,2 per cento l’anno. Con uno sguardo alla storia di questi venticinque anni trascorsi in Italia, la memoria corre quasi immediatamente all’attacco alla scala mobile e alla contingenza sui salari dei lavoratori della metà degli anni Ottanta, un attaco che ha avviato un processo di abbattimento salariale – perfezionato con gli accordi del 1993 – dal quale i lavoratori italiani non si sono più ripresi. Ma secondo l’Ocse si tratta invece di una tendenza generalizzata. Sulla media dei paesi Ocse i redditi più alti sono cresciuti del 2 per cento, i più bassi dell’1,4 per cento, e in alcuni casi, come Giappone e Israele, i redditi più bassi sono perfino calati.
Attualmente, tra i paesi dell’Ocse i redditi del 10 per cento tra i più ricchi della popolazione sono pari a circa nove volte quelli del 10 per cento più poveri – dice l’Ocse -. Sebbene questo rapporto sia ben più basso nei paesi nordici e nell’Europa continentale, sale a 14 contro 1 in Usa, Israele e Turchia, e a un ancora più accentuato 21 contro 1 in Cile e Messico”.
Su 22 dei 29 paesi analizzati, l’Ocse ha inoltre esaminato l’andamento del coefficiente di disuguaglianza “Gini”, che varia da zero, quando teoricamente tutti i redditi sono uguali, a un massimo di 1, quando sempre teoricamente tutto il reddito va ad una sola persona. A metà degli anni ’80 nell’area Ocse il coefficiente Gini segnava 0,28 punti, sul finire del passato decennio risultava aumentato del 10 per cento a quota 0,31 punti. In base a questo indicatore la disuguaglianza è cresciuta in 17 su 22 paesi, tra i quali l’Italia, rileva l’Ocse, mentre si è attenuata solo in cinque Stati e in misura ridotta (Turchia, Grecia, Francia Ungheria e Belgio).
In una tabella contenuta nel rapporto Ocse, l’Italia si piazza al sesto-settimo posto tra i coefficienti Gini più elevati, poco sopra 0,30 punti assieme al Giappone. Maglia nera è il Messico, con un Gini a 0,45, seguito dagli Stati Uniti poco al di sotto di 0,35 e poi quasi a pari livelli Israele, Gran Bretagna e Australia.
Il livello di disuguaglianza più basso si registra invece in Svezia, dove il coefficiente Gini è poco sotto 0,20 punti, ma tutta la parte bassa della graduatoria è fatta da paesi scandinavi: in Finlandia il Gini è appena al di sopra di 0,20 punti, in Danimarca e Norvegia attorno a 0,22 punti. Bene anche la Repubblica Ceca, con un coefficiente di disuguaglianza inferiore a 0,25 punti.
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