Dopo lo sciopero, il «patto»
Una discussione «non univoca e articolata». Poi arriva il voto: 77 «sì» 19 «no» e 3 astenuti
Lo sciopero generale è già dimenticato, dopo un omaggio e un documento approvato senza problemi. Ma la prospettiva in cui si muove il vertice della Cgil non è di andare avanti sulla via della mobilitazione, ma quella di un «patto per la crescita» per «uscire dalla crisi che non è solo economica ma anche istuituzionale».
Il problema che gli altri attori del suddetto «patto» sono da identificare in quella Confindustria che ha fatto proprie molte delle «novità» suggerite dal «modello Pomigliano»; e che comunque, come ha ripetuto da Bergano Emma Marcegaglia, considera come «dato acquisito» l’accordo sulla riforma del modello contrattuale che due anni fa la Cgil si rifiutò di sottoscrivere. Non parliamo poi di Cisl e Uil, che dell’aderenza alle esigenze delle imprese hanno fatto una ragione di vita. O quel governo che si è dato come unico compito realizzabile (e in gran parte realizzato) eliminare la legislazione a protezione dei lavoratori e il sindacato che pretenda di rappresentarli.
In questa prospettiva, comunque, ieri sera il Direttivo di Corso Italia ha approvato la «proposta» avanzata dalla segreteria al termine di una discussione – come si dice in gergo – «articolata e non univoca». Il testo finale corrisponde per larga parte a quello presentato in apertura, ma con numerosi cambiamenti. La minoranza de «La Cgil che vogliamo» ha cercato a lungo di «far assumere tutta la discussione» in testi da sottoporre poi al vaglio delle strutture sindacali. Ma la scelta di Susanna Camusso è stata netta: far «precipitare» il dibattito in un voto sulla propria «proposta». Ha ricevuto 77 sì, 19 no e tre astensioni. Con spostamenti interessanti rispetto agli schieramenti finali del congresso di Rimini.
Alla minoranza questa bozza non era piaciuta affatto, né per il metodo (nessuna discussione interna), né per il contenuto. Fin dalla «premessa politica», un’analisi degli avvenimenti sindacali dagli ultimi due anni «come se non fosse successo nulla di grave», al solo scopo di «rilanciare la concertazione». Che nel frattempo tutte le controparti dichiarano «morta e seppellita».
Ancor peggio per quanto riguarda la «contabilità burocratica» dei contratti unitari raggiunti nel frattempo, senza «pesare» il numero di lavoratori delle categorie con «contratto separato» (scuola, pubblico impiego, metalmeccanici e commercio); né il fatto che questi ultimi sono arrivati tutti negli ultimi mesi, dando il segno di un’offensiva che si è fatta forte della breccia aperta dalla Fiat con il «modello pomigliano». Il contratto del commercio, per esempio, accoglie in pieno il «collegato lavoro». Non a caso si parlava apertamente di «assalto a diritti, democrazia, libertà sindacale»; difficile «concertare» in queste condizioni.
Ma il punto dove proprio non ci si capiva erano quelli dell’«esigibilità» degli accordi sottoscritti. Qui, almeno, è stato messo nero su bianco che non è qualcosa di simile alle «clausole Fiat» (ovvero «sanzioni» che possono arrivare la licenziamento o all’eliminazione dei permessi sindacali per quelle organizzazioni che proclamano scioperi in caso di contenziosi sull’applicazione di un accordo).
E’ stato invece introdotto il concetto di «adattabilità» del contratto, che può essere decisa a ogni livello della rappresentanza sindacale, fino alla rsu. Com’è noto, la «riforma separata» del 2009 ha introdotto la «derogabilità». Tra i due termini non sembra esserci una distanza abissale. Fabrizio Solari, che l’ha spiegata in mattinata, ha parlato di un modello contrattuale che «che preveda la possibilità di aderire a situazioni diverse, che si adatti cioè a realtà sempre meno omogenee».
Nessun progresso, invece, sui nodi democrazia, rappresentatività dei sindacati e criteri di validazione degli accordi. La minoranza Cgil – sul modello Fiom – chiedeva l’obbligatorietà del referendum in caso di divisione tra i sindacati. Mentre la «bozza Camusso» prevede un sistema assai farraginoso che, di fatto, rende il referendum o impossibile o solo abrogativo.
La conferma della – diciamo così – «sottovalutazione» dei problemi di democrazia, secondo «La Cgil che vogliamo», si vede anche nel tentativo di ricercare nuovamente una «via pattizia» (un accordo interconfederale) per risolvere il problema delle «regole» della rappresentanza; anziché la «via legislativa». Forse non era per questo che i lavoratori sono accorsi in massa allo sciopero generale.
Il problema che gli altri attori del suddetto «patto» sono da identificare in quella Confindustria che ha fatto proprie molte delle «novità» suggerite dal «modello Pomigliano»; e che comunque, come ha ripetuto da Bergano Emma Marcegaglia, considera come «dato acquisito» l’accordo sulla riforma del modello contrattuale che due anni fa la Cgil si rifiutò di sottoscrivere. Non parliamo poi di Cisl e Uil, che dell’aderenza alle esigenze delle imprese hanno fatto una ragione di vita. O quel governo che si è dato come unico compito realizzabile (e in gran parte realizzato) eliminare la legislazione a protezione dei lavoratori e il sindacato che pretenda di rappresentarli.
In questa prospettiva, comunque, ieri sera il Direttivo di Corso Italia ha approvato la «proposta» avanzata dalla segreteria al termine di una discussione – come si dice in gergo – «articolata e non univoca». Il testo finale corrisponde per larga parte a quello presentato in apertura, ma con numerosi cambiamenti. La minoranza de «La Cgil che vogliamo» ha cercato a lungo di «far assumere tutta la discussione» in testi da sottoporre poi al vaglio delle strutture sindacali. Ma la scelta di Susanna Camusso è stata netta: far «precipitare» il dibattito in un voto sulla propria «proposta». Ha ricevuto 77 sì, 19 no e tre astensioni. Con spostamenti interessanti rispetto agli schieramenti finali del congresso di Rimini.
Alla minoranza questa bozza non era piaciuta affatto, né per il metodo (nessuna discussione interna), né per il contenuto. Fin dalla «premessa politica», un’analisi degli avvenimenti sindacali dagli ultimi due anni «come se non fosse successo nulla di grave», al solo scopo di «rilanciare la concertazione». Che nel frattempo tutte le controparti dichiarano «morta e seppellita».
Ancor peggio per quanto riguarda la «contabilità burocratica» dei contratti unitari raggiunti nel frattempo, senza «pesare» il numero di lavoratori delle categorie con «contratto separato» (scuola, pubblico impiego, metalmeccanici e commercio); né il fatto che questi ultimi sono arrivati tutti negli ultimi mesi, dando il segno di un’offensiva che si è fatta forte della breccia aperta dalla Fiat con il «modello pomigliano». Il contratto del commercio, per esempio, accoglie in pieno il «collegato lavoro». Non a caso si parlava apertamente di «assalto a diritti, democrazia, libertà sindacale»; difficile «concertare» in queste condizioni.
Ma il punto dove proprio non ci si capiva erano quelli dell’«esigibilità» degli accordi sottoscritti. Qui, almeno, è stato messo nero su bianco che non è qualcosa di simile alle «clausole Fiat» (ovvero «sanzioni» che possono arrivare la licenziamento o all’eliminazione dei permessi sindacali per quelle organizzazioni che proclamano scioperi in caso di contenziosi sull’applicazione di un accordo).
E’ stato invece introdotto il concetto di «adattabilità» del contratto, che può essere decisa a ogni livello della rappresentanza sindacale, fino alla rsu. Com’è noto, la «riforma separata» del 2009 ha introdotto la «derogabilità». Tra i due termini non sembra esserci una distanza abissale. Fabrizio Solari, che l’ha spiegata in mattinata, ha parlato di un modello contrattuale che «che preveda la possibilità di aderire a situazioni diverse, che si adatti cioè a realtà sempre meno omogenee».
Nessun progresso, invece, sui nodi democrazia, rappresentatività dei sindacati e criteri di validazione degli accordi. La minoranza Cgil – sul modello Fiom – chiedeva l’obbligatorietà del referendum in caso di divisione tra i sindacati. Mentre la «bozza Camusso» prevede un sistema assai farraginoso che, di fatto, rende il referendum o impossibile o solo abrogativo.
La conferma della – diciamo così – «sottovalutazione» dei problemi di democrazia, secondo «La Cgil che vogliamo», si vede anche nel tentativo di ricercare nuovamente una «via pattizia» (un accordo interconfederale) per risolvere il problema delle «regole» della rappresentanza; anziché la «via legislativa». Forse non era per questo che i lavoratori sono accorsi in massa allo sciopero generale.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa