“Le vendite al dettaglio ad agosto sono rimaste ferme rispetto a luglio mentre sono calate dello 0,3% (dato grezzo) su base annua. Si tratta del quarto calo consecutivo in termini tendenziali. Lo rileva l’Istat, aggiungendo che su agosto ha pesato la negativa performance del comparto non alimentare”.
Traduzione. I consumi, nel mese di agosto – tradizionalmente dedicato alle vancanze, e quindi un po’ più “spendaccione” della media, anche se meno di dicembre-Natale – sono rimasti totalmente fermi rispetto al mese precedente. Mentre sono calati, anche se di poco, rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Il dettaglio rivelatore è relativo al tipo di prodotti che sono stati venduti di meno: i “non alimentari”, ovvero non indispensabili, i primi a esser sacrificati in un bilancio familiare appena accorto.
“Ad agosto le vendite al dettaglio su base annua hanno registrato un calo dello 0,9% per le imprese operanti su piccole superfici (negozi di quartiere, botteghe), mentre sono aumentate dello 0,5% nella grande distribuzione, dove hanno fatto da traino i discount di alimentari (+3,5%)”.
La conferma è solare. Soffrono di più i piccoli negozi, che hanno una scelta limitata quanto a forniture e un margine più stretto tra prezzi in entrata, spese strutturali (affitto, bollette, ecc) e prezzi alla clientela (sottoposti alla concorrenza).
Va un po’ meglio la grande distribuzione, organizzata in catene di iper e supermercati. La quale ha un scelta vastissima (e un proporzionale potere contrattuale) a livello di fornitori e può giocare quasi a piacere sul livello dei prezzi al cliente (tramite “prodotti richiamo” in offerta scontata, mentre si ritoccano al rialzo, in misura più o meno sensibile, tutti gli altri; si gioca qui sul noto effetto “esco per la spesa, vado in un solo posto”). Da non dimenticare che quasi tutte le grandi catene hanno ormai una propria “linea” di prodotti alimentari a prezzi vantaggiosi, grazie alla “messa in rete” di piccoli e medi produttori che possono così accedere al mercato spuntando prezzi remunerativi e saltando a piè pari i numerosi “pedaggi” caratteristici dell’intermediazione italiana).
Vanno alla grande infine i discount. Che magari hanno minore scelta come ventaglio di fornitori, ma giocano unicamente sul prezzo più basso. A scapito, ovviamente, della qualità…
Non sembra dunque illogico che la “fiducia dei consumatori” – in indicatore molto usato nelle analisi congiunturali, perché consente si stabilire i contorni del prossimo futuro economico – sia in deciso peggioramento. “Ad ottobre cala a 92,9 da 94,2 di settembre”; ed è il dato più basso dal luglio del 2008. “Forte è la differenza degli andamenti a livello territoriale: la fiducia migliora nel Nord, soprattutto nel Nord-est, mentre cala nel Centro-sud. A livello nazionale, la flessione è diffusa a tutte le componenti e risulta particolarmente marcata per l’indice che misura il complesso delle attese a beve termine”.
Nel dettaglio, fa sapere l’Istat, l’indice del clima economico cala a 75,6 (da 78,3) mentre quello relativo alla situazione personale scende a 98,6 (da 100,6). Inoltre, peggiorano le valutazioni presenti e prospettiche sulla situazione del Paese, i giudizi sulla situazione economica della famiglia e le previsioni di risparmio. Si deteriorano, seppure con intensità minore, anche le attese sull’evoluzione del mercato del lavoro, sulla propria situazione personale e i giudizi sullo stato del proprio bilancio familiare.
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