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Roma. La rabbia corre sull’autobus

“E’ mezz’ora che il 3 non passa. Perché non fate sciopero pure contro un servizio che fa schifo oltre che per lo stipendio?”. Se i media facessero adeguatamente il loro mestiere, il cittadino giustamente infuriato per la lunga attesa saprebbe che di scioperi contro lo smantellamento del trasporto pubblico se ne sono fatti in questi mesi, e molti. L’ultimo lo scorso 3 ottobre, quando da sola e contro ogni previsione l’Unione Sindacale di Base ha paralizzato Roma e altre importanti città a difesa di quello che considera un ‘bene comune’, intercettando una rabbia e un’esigenza di lotta diffusa tra i lavoratori del settore ma rigettata dal sindacalismo concertativo.

Attese lunghissime e vagoni pieni come carri bestiame sono la normalità in una città che viola quotidianamente il diritto alla mobilità. Dirigenti politici e manager delle aziende di trasporto si guardano bene dal prendere bus e metropolitane. E la frustrazione degli ‘utenti’ si scarica, ovviamente, su autisti e operatori di stazione.

Scendiamo finalmente dalla sauna ambulante (l’autobus n° 3) e ci immergiamo nell’assemblea appena iniziata nella sala di Via Galilei, a Roma. Reduci dal presidio di stamattina davanti alla sede dell’Asstra – all’entità che riunisce le aziende l’USB ha chiesto di non procedere ai previsti tagli del personale e dei servizi – i lavoratori del trasporto pubblico si confrontano con altri pezzi del sindacalismo conflittuale e della società.

“Ci impegniamo a sostenere una battaglia che parla a tutta la città e che non può essere fatta passare, come fanno troppo spesso media ed amministratori, come una lotta corporativa” sostiene il consigliere regionale della FdS Fabio Nobile.

Un concetto già chiarito da Roberto Cortese nell’introduzione: “L’attacco al trasporto pubblico non riguarda solo i lavoratori del settore. Innanzi tutto perché i lavoratori di tutti gli altri servizi pubblici locali hanno lo stesso problema. E poi perché ad essere colpiti pesantemente sono i cittadini”. Se da una parte le aziende licenziano e diminuiscono salari e diritti dei lavoratori, dall’altra riducono pesantemente i servizi, ricorda il dirigente dell’USB. “Non possiamo rispondere alle aggressioni settore per settore, ma tutti assieme e insieme ai cittadini” è l’indicazione che l’assemblea di Via Galilei intende lanciare.

L’operatrice negli asili nido Caterina Fida interviene – ci tiene a sottolinearlo – in quanto lavoratrice di un altro servizio pubblico aggredito ma anche in quanto pendolare. “Ci dicono che tagli e licenziamenti sono scelte obbligate, che non ci sono fondi da destinare ai servizi pubblici, ma in realtà i soldi ci sono. Basterebbe uno solo dei 17 miliardi che l’Italia sta spendendo per comprare 131 cacciabombardieri per costruire 3000 asili nido, quanti se ne sono realizzati negli ultimi 40 anni in tutto il paese. Quanti migliaia di posti di lavoro e mezzi di trasporto si potrebbero finanziare con uno solo dei miliardi buttati nelle spese militari o per foraggiare manager pagati milioni di euro l’anno per ridurre debiti aziendali che contribuiscono a gonfiare?”. Non è vero che i soldi non ci sono. E non è accettabile che lavoratori e cittadini paghino sulla loro pelle una crisi che non hanno contribuito a provocare.

Gli autisti in divisa annuiscono e applaudono. Paolo Tani – USB Ama – ricorda che nei referendum di giugno 27 milioni di persone hanno votato contro la privatizzazione e la svendita non solo della gestione dell’acqua, ma di tutti i servizi pubblici locali. Ma governo e amministrazioni locali se ne infischiano, addirittura accelerando le cosiddette dismissioni. Tani lancia l’idea di una battaglia cittadina incentrata su una delibera popolare che riporti sotto la gestione di enti di diritto pubblico tutti i servizi finora privatizzati o aziendalizzati. Ma, chiarisce l’Rsa dell’Ama, “non dobbiamo solo bloccare le privatizzazioni, dobbiamo anche dire che vogliamo servizi pubblici di qualità”.

Come si blocca lo smantellamento dei servizi pubblici? In questi giorni le aziende locali stanno già procedendo al taglio di posti di lavoro e di pezzi interi del trasporto pubblico. A Napoli i lavoratori occupano da giorni gli impianti dell’Amn e stamattina hanno manifestato davanti alla Regione Campania per chiedere il pagamento degli stipendi arretrati. A Roma l’Atac ha disdetto i contratti integrativi di secondo livello, scatenando la rabbia di autisti, operatori di stazione e operai che ieri hanno manifestato in Campidoglio contro una decurtazione salariale senza precedenti.

Il governo ha deciso di tagliare il 75% delle risorse finora destinate al servizio pubblico locale: 3,6 miliardi in meno alle Regioni, 1,5 alle Province e 3,7 ai Comuni. L’Asstra si difende e scarica le responsabilità su Palazzi Chigi, ma il sindacato di base chiama in causa la federazione delle aziende per l’aumento dei carichi di lavoro, gli straordinari obbligatori, i tagli ai contratti di secondo livello, la mancanza di sicurezza. Per non parlare delle varie “parentopoli” che hanno scavato voragini nei conti delle imprese.

Contro questo vero e proprio assalto l’USB ha convocato per lunedì uno sciopero nazionale di 24 ore che – nonostante le minacce delle aziende – promette di paralizzare la penisola. “Rivendichiamo un trasporto pubblico di qualità e a costi accessibili, i lavoratori già pagano di tasca propria attraverso l’imposizione fiscale un diritto ormai ampiamente negato. E’ inaccettabile che a fronte di un annunciato forte aumento del prezzo di biglietti e abbonamenti l’Atac abbia indicato che procederà al taglio di intere linee considerate non redditizie” spiega Cortese.

Contro questo saccheggio di un bene comune di vitale importanza l’unica arma a disposizione dei lavoratori è lo sciopero, il blocco del servizio. “Vorremmo che per una volta la città vedesse i blocchi, gli scioperi nel trasporto non come una guerra ai cittadini ma come un’opportunità a disposizione di tutti per difendere il servizio pubblico dall’assalto degli appetiti privati” ribadisce Cortese. “Il blocco della città è una forma di lotta non solo dei lavoratori del settore, ma anche di chi – studente, precario o senza casa – non può scioperare.

Di chi ad esempio a giugno aveva occupato il deposito Atac di San Paolo per sottrarlo alla svendita del patrimonio pubblico e alla speculazione decisa dall’amministrazione Alemanno con la delibera n° 35″ spiega Paolo Di Vetta, dei Blocchi Precari Metropolitani. Per il 7 novembre i BPM annunciano iniziative di generalizzazione e di sostegno allo sciopero dell’USB. “Lunedì torneremo a manifestare dentro la città per violare il divieto imposto da Alemanno e dalla Questura. Proponiamo che giovedì 10 novembre questa assemblea si ritrovi in Piazza del Campidoglio insieme al resto della città a difesa dei beni comuni e contro gli attacchi ai lavoratori”.

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