Sono già una cinquantina gli operai della Fomas di Merate finora iscritti alla Fiom che hanno stracciato la tessera per protestare contro la decisione della segretaria provinciale del sindacato di espellere il delegato della Rsu Giuseppe Coletti insieme a Mustafa Aghrabi, delegato della Marcegaglia di Lomagna, sempre in Brianza Lo scorso 17 novembre 47 lavoratori hanno spedito la disdetta alla Fiom e si sono iscritti all’Unione Sindacale di Base.
Una rottura netta con un’organizzazione che a loro avviso non difende più gli interessi degli operai e sottoscrive «accordi a perdere per chiudere le fabbriche». Sono accuse pesanti quelle mosse dai lavoratori che però sostengono di avere in mano le prove.
«In pochi giorni è stato buttato via quanto costruito in dieci anni di attività – denuncia lo stesso Coletti, che nei giorni scorsi ha convocato una conferenza per spiegare la situazione -. Ci siamo adoperati per reclutare nuovi iscritti, per gli scioperi, per le manifestazioni di solidarietà, per promuovere assemblee autogestite, per iniziative ludiche, culturali e di formazione, per la sicurezza, visto che abbiamo dovuto fronteggiare due gravi infortuni costati la vita a un collega e la gamba a un altro. Tutto ciò a nostre spese con un impegno a trecentosessanta gradi. Pretendevamo solo che venisse rispettata l’autonomia dei delegati e che i funzionati ci fornissero il supporto necessario».
Ma vertici del sindacato dei metalmeccanici della Cgil non avrebbero gradito il protagonismo dei lavoratori. Da qui la decisione di «cacciare» i due: «Non siamo noi ad essere estromessi dalla Fiom, sono quelli della Fiom ad avere tradito le regole e gli ideali del movimento; hanno rinunciato allo strumento del conflitto inteso come arte nobile del confronto e della presa di coscienza che gli operai sono diversi dai padroni e che non siamo sulla stessa barca».
Gli operai che hanno stracciato la tessera criticano l’accettazione delle misure che favoriscono il precariato come il rinnovo triennale del contratto invece che ogni due anni; il rifiuto di spendersi per ottenere la quattordicesima mensilità per tutti; l’assenso al premio di produzione che tenga conto anche delle assenze di malattia; il si al salario di ingresso.
Ha spiegato alla stampa locale Pino Coletti: “La situazione in alcune aziende del territorio è preoccupante, sono stati firmati accordi in cui si accettano premi basati sulla presenza dei lavoratori, una flessibilità che impone di lavorare il sabato e le domenica, l’obbligo di timbrare il cartellino quando si va ai servizi igienici, la diffusione di contratti di solidarietà che non vanno a vantaggio dei lavoratori, ma dei padroni”.
Il delegato della Marcegaglia espulso dalla Fiom è ancora più netto: “Io pago il prezzo di essermi opposto al salario d’ingresso, ad accordi che puniscono chi si ammala, mi sono opposto a chi chiude le fabbriche col consenso, a chi firma la mobilità senza nemmeno farlo sapere ai diretti interessati. (…) Se nella Fiom non c’è posto per me e Coletti, non ci sarà nemmeno più posto per tanti operai che non hanno piegato la testa.”
Anche in altre fabbriche sparse per l’Italia lo scontento tra gli operai per la svolta moderata dell’ultimo congresso della Fiom è palpabile, e la rottura della Brianza potrebbe fare scuola.
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