Doveva essere un “caso unico”, giuravano i leccapiedi del Lingotto. Lo è diventato, naturalmente al contrario. Stesso sistema per tutti i lavoratori sotto il comando di Marchionne, senza sindacato e senza alcuna tutela.
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TORINO
Tutto come da copione o quasi. Solo con qualche giorno di ritardo. I sindacati del «sì» hanno firmato con il Lingotto, ieri all’Unione Industriale di Torino, il nuovo contratto del gruppo, che prevede – dal primo gennaio – l’estensione dell’accordo di Pomigliano a 86 mila e 200 dipendenti di oltre sessanta stabilimenti di Fiat Auto e Fiat Industrial. Una firma senza la Fiom, estromessa dalla trattativa e, ben presto, anche dalla rappresentanza nelle fabbriche. L’intesa, come quella già siglata per Mirafiori, prevede, infatti, che le Rsa siano elette solo tra i sindacati firmatari (Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Capi e Quadri). «Con questo accordo cambia la natura del sindacato confederale in Italia – commenta Maurizio Landini, segretario generale Fiom – Chi ha firmato, ha accettato di ridursi al ruolo di sindacato aziendale e corporativo. Fim e Uilm hanno agito contro la loro natura confederale».
Sepolto e disdetto il contratto nazionale, salutata Confindustria, il Lingotto ha plasmato per tutto il gruppo un contratto su misura e senza l’intenzione di interpellare i lavoratori con un referendum. Sulle materie regolate dal contratto, i sindacati hanno il divieto di indire scioperi; a questo, si affianca l’ormai famosa «clausola di responsabilità»: chi non rispetta gli accordi verrà sanzionato in termini di contributi e permessi sindacali. Tra le novità dell’intesa ci sono la maggiorazione dal 50% al 60% dello straordinario al sabato, l’aggiunta ai cinque scatti di anzianità biennali di un sesto scatto quadriennale, un aumento dello 0,5% del contributo aziendale ai fondi pensione integrativi. E, poi, il decantato premio straordinario di 600 euro (da notare che per due anni consecutivi la Fiat non ha saldato il premio di risultato), che tutto i lavoratori, compresi quelli in cassa integrazione, riceveranno nella busta paga di luglio.
Si lavorerà su 18 turni (3 al giorno su 6 giorni), con una settimana di 6 giorni lavorativi e la successiva di 4 giorni. Salgono a 120 , rispetto alle attuali 40, le ore di straordinario a disposizione dell’azienda, senza bisogno di contrattazione. Alla fine, sono rientrati anche i dubbi della Uilm sull’assenteismo, pure in questo caso, le volontà dell’azienda non sono state incrinate: più o meno ricalcano lo schema Mirafiori (il Lingotto non pagherà, infatti, i primi due giorni di malattia se l’assenteismo supererà il 3,5 per cento), seppur Rocco Palombella, leader Uilm, ribadisca: «Abbiamo condiviso una formulazione che garantisce i malati veri con delle norme stringenti utili a dissuadere quelli “finti”».
Secondo i firmatari, in seguito all’intesa i lavoratori del Gruppo beneficeranno di un incremento salariale medio del 5,2% sulla paga base. «Ora che abbiamo chiuso il capitolo contratto, dobbiamo aprire il capitolo lavoro» sottolinea Bruno Vitali, Fim. Ma la firma è arrivata senza nessuna promessa della Fiat e, per ora, di modelli nuovi non se vedono.
Esulta l’ad Sergio Marchionne, che parla di svolta storica nelle relazioni sindacali, e lancia un messaggio ai fedelissimi: «A quei sindacati che hanno abbracciato con noi questa sfida va riconosciuto il coraggio di cambiare le cose, va dato atto della mentalità innovativa che è l’unica in grado di costruire una base solida per il futuro». E bolla la Fiom come rappresentante dell’«antagonismo per professione». Per Susanna Camusso «si impone il tema della modifica dell’Articolo 19 dello Statuto dei lavoratori» per recuperare la rappresentanza Fiom.
«L’accordo firmato a Torino peggiora le condizioni di lavoro e limita le libertà sindacali per i lavoratori del Gruppo. Il governo non può stare a guardare» tuona Landini. «La Fiat – spiega Giorgio Airaudo, responsabile Auto Fiom – ha costretto alla resa una parte del sindacato imponendogli l’uscita dal contratto nazionale nella più importante azienda metalmeccanica privata italiana. Noi continueremo la nostra vertenza e vedremo se avranno il coraggio di far votare i lavoratori». Per Federico Bellono, Fiom Torino, «si sono limitati a registrare le volontà dell’azienda. I 600 euro sono pochi se si pensa a che i lavoratori non percepiscono premi da due anni». Infine, Mimmo Pantaleo, Flc: «È un grave attacco ai diritti costituzionali e alla democrazia perchè esclude il diritto dei lavoratori a poter essere rappresentati dalla Fiom».
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C’erano una volta anche le Rsu, figlie più o meno legittime degli antichi consigli di fabbrica, che comunque rappresentavano le volontà e il voto dei lavoratori. I delegati eletti democraticamente saranno ora sostituiti da ascari nominati dai sindacati firmatari degli accordi. Non si potrà più conoscere il consenso delle singole sigle perché i lavoratori sono stati retrocessi a pura mano d’opera, privi di diritti e di rappresentanza. Appendici delle macchine, variabili dipendenti del mercato, della globalizzazione e dei capricci dei padroni.
In Fiat, come in tutte le aziende italiane, c’era una volta la Fiom, 110 anni di vita, lotte, sconfitte e conquiste, il sindacato dei metalmeccanici più rappresentativo quando le rappresentanze venivano elette. Dal 1° gennaio del 2012 non ci sarà più nelle fabbriche dell’Eroe dei due monti Sergio Marchionne. Perché no? Perché la Fiom non ha accettato il ricatto «lavoro in cambio dei diritti» della Fiat dopo Cristo, rifiutandosi di firmare il contratto di Pomigliano.
C’era una volta il diritto di sciopero. E ad ammalarsi, a contrattare organizzazione del lavoro e straordinari. La firma di ieri ha cancellato in blocco questi diritti. Se vogliono lavorare gli operai dovranno accettare queste regole. Neanche questo è vero perché la Fiat sta andando a rotoli e viene chiuso uno stabilimento dopo l’altro. L’unica cosa che si può dire è che, grazie alla complicità dei sindacati di complemento, il padrone si è ripreso in mano tutto il potere. E’ la vendetta rispetto alle conquiste del ’69 e degli anni Settanta. Una vendetta preparata lungamente con la complicità dei governi e della politica quasi in blocco. La manovra di Marchionne si affianca a quella di Monti e insieme rappresentano i pilastri di una nuova era basata sulla dittatura della finanza e dei padroni. Il terzo pilastro è l’insieme del sindacato confederale, con l’eccezione della Cgil se finalmente sceglierà di schierarsi con la «sua» Fiom senza se e senza ma. Il quarto pilastro è il Partito democratico, diviso, incapace persino di leggere i passaggi epocali.
Il voto separato di ieri ha spazzato via il fantasma della nuova unità sindacale materializzatosi per un sol giorno, anzi per tre ore. E oggi un Marchionne ringalluzzito da una vittoria costata appena trenta danari, potrà raccontare nuove bugie sull’italianità della Fiat parlando dalle linee di montaggio di Pomigliano liberate dai delegati e dagli iscritti della Fiom. Che pure ci saranno, ma fuori dai cancelli. E il manifesto insieme a loro.
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