La messa Fiat nell’acquario per annullare la dignità operaiaBisogna digiunare e chiedere perdono ai capi per un errore in una catena che strangola chi lavoraAntonio Di Luca*
Sono poco più di 2000 dipendenti, e solo 1750 gli operai finora richiamati a Pomigliano. In linea con il 40% dichiarato all’esame congiunto di Roma dalla Fiat nel luglio 2011. Passaggio necessario, per rinnovare di un altro anno la cassa integrazione per cessazione di attività per i restanti 3200 operai ancora fuori dal processo produttivo. A oggi lo stabilimento produce 800 vetture al giorno su due turni per cinque giorni alla settimana. Dalle 6 alle 14 e dalle 14 alle 22. Il turno di notte è saltato, compromettendo anche quel poco di aumento salariale portato dall’indennità notturna. Questo significa concentrare l’innalzamento della salita produttiva solo su due turni anziché tre, e aumentare lo sfruttamento intensivo psicofisico degli operai, costretti a ritmi massacranti oltre ogni limite di ragionevolezza. La salita produttiva nei prossimi giorni porterà a produrre 420 vetture a turno, una macchina al minuto. Meno di una margherita nel forno di una pizzeria. Una follia, mentre diversi capannoni sono in disuso e oltre 3000 operai in cassa integrazione.
Ma è questo il punto: non poteva essere altrimenti. Quando si produce una sola vettura, per quanto bella ma con un bassissimo valore aggiunto, comprimere i costi per l’azienda diventa necessario. Ed è in questo quadro che i delatori diventano essenziali per annientare la dignità degli operai. Le testimonianze che ci giungono quotidianamente hanno dell’inverosimile, spesso accompagnate da pianti. Ecco il motivo umano, prima che sindacale o legale che ci spinge a svelare questo abominio. Da quando è partita la produzione della nuova Panda le pause saltano, senza avvisi, scuse o particolare rispetto delle relazioni minime sindacali: «La pausa dalle 18 alle 18,10 salta», è il freddo ordine del capo.
Per chi aspetta quella pausa, già scelleratamente ridimensionata da «accordi» imposti dal «manager dei due mondi», per riposarsi dalla fatica di una catena che corre all’impazzata, è il baratro. Lavorare ancora due ore in quelle condizioni: con la schiena a pezzi, le gambe pesanti, la bocca secca e dolori alle articolazioni, ti sembra di impazzire. Ma è a fine turno che si compie l’atto drammaturgico più grave, Sheakespeare e Brecht a confronto sembrerebbero dei dilettanti: «la messa nell’acquario». Vi ricordate la lettera scritta al Corsera del prof. Ichino su Pomigliano?: « gli uffici con le pareti di cristallo collocati in mezzo al percorso del montaggio, quasi a sottolineare il superamento di ogni distinzione tra operai e impiegati».
Bene, quelle pareti di cristallo, che gli operai chiamano acquario, sono gli uffici che alla fine di ogni turno sono adibiti alla pièce. C’è un microfono, c’è il direttore con tutti i preposti aziendali al cui cospetto sono convocati gli operai. La riunione si apre con la dettagliata delazione dei capi e/o dei team leader sugli errori commessi durante il turno dagli inconsapevoli operai, tralasciando naturalmente errori e ritardi provocati dal processo o dal prodotto. L’audizione è obbligatoria per gli operai e lo spettacolo viene rappresentato nella pausa mensa. Quindi senza mangiare, dopo che quei poveracci hanno trascorso 10-11 ore lontano da casa, e dopo un turno massacrante di lavoro. Per espiare i propri peccati, il povero operaio messo in mezzo dalle gerarchie di fabbrica è costretto, al microfono, a scusarsi dinanzi a tutti magari di errori che neanche ricorda, vista la densità delle operazioni cui è stato sottoposto. Deve fornire convincenti prove del suo pentimento, nella speranza che la sua esibizione sia accolta con benevolenza dai capi e dal direttore e che scongiuri l’inevitabile contestazione e la multa. Provvedimenti che scatteranno comunque in automatico dopo tre «messe», fino a provocare il licenziamento del malcapitato dopo alcune contestazioni disciplinari.
Molti obietteranno che è normale in una grande azienda effettuare un brainstorming, o un semplice feedback della giornata; senza scomodare Marx, credo sia inconcepibile imporlo in queste forme a operai già provati da una giornata alla catena per poche decine di euro al giorno e in un quadro di delazioni tipiche solo in un «universo concentrazionario», dove l’unico obiettivo è l’annullamento della persona umana, prima ancora che dell’operaio.
* operaio a Pomigliano ed ex delegato Fiom, quindi cassintegrato
da “il manifesto”
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