Naturalmente abbiamo nella mente le parole del poeta (“poi cambiarono il giudice, e subito dopo la legge”). E invitiamo a tutti a pensare da dove nasca questa “necessità” di cambiare la legislazione sul mercato del lavoro…
«La Fiat è antisindacale»«Grande soddisfazione per delegati e iscritti, che hanno tenuto duro davanti a minacce e intimidazioni»Francesco Piccioni
E cinque. La Fiat non regge la prova della legge. Finché ci sono le leggi attuali…
Il tribunale di Bologna ha condannato per comportamento antisindacale la Magneti Marelli – azienda del Lingotto – che, nello scorso gennaio, aveva deciso unilateralmente l’espulsione della Fiom dai due stabilimenti bolognesi. Non riconosceva infatti la validità della nomina delle Rsa aziendali per la parte riguardante le tute blu di Maurizio Landini, e di conseguenza negava loro la libera attività sindacale in fabbrica, con rimozione delle bacheche, lo svuotamento della «saletta», ecc. La Fiom rispose piazzando un container fuori dai cancelli per continuare a organizzare e difendere i lavoratori, ma anche presentando ricorso in tribunale.
La sentenza «intima alla società di rimuovere la propria condotta accettando i nominativi forniti da Fiom quali Rsa», obbligandola ad affiggere la sentenza stessa per 20 giorni consecutivi «in luoghi accessibili da tutti» i dipendenti. La Fiat ha risposto con una nota, nel tardo pomeriggio, in cui si dice «stupefatta» dalla decisione e ribadisce la propria interpretazione dell’art. 19 dello Statuto deilavoratori. E annuncia ovviamente l’ennesimo ricorso.
L’evento aveva fatto scalpore, specie in una città come Bologna. Il sindaco Merola aveva espresso la propria solidarietà, la Cgil regionale era intervenuta ubito in appoggio, molti presìdi si erano svolti davanti ai cancelli. Bruno Papignani, segretario bolognese della Fiom, è emozionato: «devo dire la mia grande soddisfazione perché è stato premiato il lavoro di tanti delegati e iscritti, che hanno saputo evitare ogni pretesto per le rappresaglie, anche se in alcuni casi sono stati umiliati». Ma «oggi possiamo rientrare in fabbrica dalla porta principale e partecipare alle elezioni per le Rsa, le cui procedure sono state già avviate dagli altri sindacati». Salvo scherzi Fiat, sulla linea dello stile inaugurato a Melfi.
In effetti lo scontro era stato molto duro. In occasione degli scioperi indetti per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici e contro le «riforme» del governo Monti, c’era no stati numerosi episodi di «intimidazione», fino a sentirsi minacciare «se scioperate potrebbero scattare sanzioni disciplinari». prima del 9 marzo.
Gioisce naturalmente il segretario nazionale, Maurizio Landini, anche perché questa è solo la prima di decine di cause presentate dal sindacato contro il Lingotto. Ed è un precedente pesante. «È la quinta volta, in cinque diversi Tribunali, che nell’ultimo anno la Fiat viene condannata per comportamento antisindacale per atti e azioni contro la Fiom, i suoi iscritti e i suoi delegati. Si dimostra che il nuovo contratto imposto dalla Fiat, più che per ragioni produttive, economiche e organizzative, ha l’obiettivo di escludere il sindacato più rappresentativo del settore e di limitare le libertà sindacali delle singole persone». Segue naturalmente l’invito al governo perché «convochi un incontro tra l’azienda e le organizzazioni sindacali per ottenere garanzie certe d’investimento di tutela occupazionale e produttiva per tutti gli stabilimenti del gruppo».
Non può sfuggire comunque il senso politico oggettivo di questa sentenza: tutti i dispositivi giuridici immaginati dalla Fiat per «blindare» le proprie decisioni sugli stabilimenti sono in conflitto aperto con la legge e la Costituzione. Nonostante la fantasia giuridica di Maurizio Sacconi – il precedente governo aveva introdotto nella «manovra d’agosto» il famigerato «art. 8», che sanciva la possibilità per i contratti aziendali di andare in deroga a quelli nazionali e persino alle leggi – esistono vincoli ancora insuperabili.
Significa che a dispetto della «potenza devastante» messa in campo da Sergio Marchionne con i suoi ricatti («o mi dire di sì, o me ne vado altrove»); della «complicità» ricevuta da Cisl, Uil e Fismic; degli aiuti legislativi costruiti ad hoc dal governo Berlusconi e ora da quello Monti; del muro pressoché compatto dell’informazione mainstream, che ha sempre giustificato ogni forzatura in nome della «modernità» e della «competitività», questo paese possiede ancora una struttura costituzionale viva ed efficiente.
Significa che la partita sociale non è chiusa e va giocata a tutto campo. A cominciare dalla battaglia contro la «riforma» del mercato del lavoro che – come si è scoperto oggi (vedi Campetti a pagina 2) – è parte integrante della sostituzione del «modello sociale europeo» con un altro totalmente diverso: ovvero l’Europa come confederazione «fondata sull’impresa». Ammutolendo preventivamente il lavoro.
da “il manifesto”
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