Mettere a valore la città è da sempre una delle peculiarità del capitalismo. Attraverso l’uso della rendita fondiaria, della speculazione immobiliare e della concentrazione di popolazione e di forza lavoro a basso costo, i gruppi capitalistici hanno sempre ritenuto che nella metropoli si vengano a creare le condizioni migliori per la valorizzazione del proprio capitale.
Nell’area metropolitana di Roma, tale processo sta subendo una accelerazione impressionante. Da tempo ormai, all’insegna della rincorsa alle “città globali” (che nel caso di Roma coincide con il progetto Roma Capitale) stanno piegando tutti gli aspetti della vita sociale alle necessità della valorizzazione dei capitali sia mettendo in vendita bisogni, diritti ed esigenze della vita sociale nell’ aree metropolitana sia adattando gli spazi e i tempi della vita sociale (dalla giornata lavorativa complessiva alle modalità di consumo o di socialità). Ma in questa passaggio i protagonisti non sono più o non solo i “palazzinari” che dal dopoguerra in poi hanno determinato gli assetti urbani, sociali e politici della città, ma sono entrate in campo anche le grandi multinazionali.
La competizione tra le “città globali”
E’ noto come le grandi metropoli siano diventate lo snodo della riorganizzazione produttiva mondiale e come in esse e tra esse si sia scatenata una aspra competizione globale per attrarre investimenti, business, eventi. A partire dai progetti emersi nei due meeting dell’Ibac (International Business Advisory Council) tenutisi a Roma nel 2011 e nel 2012, vediamo come le multinazionali stiano inserendosi sul destino di Roma e intendono mettere “a valore di mercato” l’habitat metropolitano per milioni di persone.
In questi anni abbiamo sottovalutato come per le grandi multinazionali, il valore di Roma non sia tanto o solo l’ampiezza e la ricchezza della sua popolazione residente (Roma rappresenta circa il 7,1% del Pil nazionale e, insieme a Napoli e Milano, rimane l’area metropolitana più popolosa con più di 3,7 milioni di abitanti), ma Roma è diventata un target del business sui “consumatori dinamici” come luogo del turismo di massa. Con più di 11 milioni di persone in più all’anno (che diventano 28 milioni di presenze) , una porzione rilevante della città è diventata praticamente una foresteria, gestita dalle grandi imprese del turismo, dal Vaticano e dagli ordini ecclesiastici, che ha piegato a questa dimensione spazi, tempi, orari, servizi, esercizi. Un impatto sociale e urbano notevole che però ritorna pochissimo nella redistribuzione sociale degli introiti.
L’emergenza dello “spazio”
Fino a poco tempo fa Roma era la metropoli con minore densità abitativa grazie ai suoi spazi verdi (2,148 abitanti per Kmq rispetto ai 7,272 di Milano) ma i recenti piani urbanistici varati prima dalla giunta Veltroni e poi da quella Alemanno, indicano una vero e proprio assalto del cemento al territorio che ridurrà gli spazi disponibili. Il consumo di territorio sta subendo una escalation impressionante in tutta Italia ed anche a Roma. Ma se lo spazio urbano sta diventando sempre più un bene scarso, come intendono guadagnarci i grandi gruppi capitalistici italiani e multinazionali? L’esempio dei PUP, delle Ztl, delle strisce blu è già indicativo di per sè. Il ridotto spazio urbano per il parcheggio tendenzialmente non sarà più gratuito e così diventerà via via anche lo spazio disponibile per la viabilità (Gra, tangenziali etc.). Non solo. La crisi sta determinando una riduzione della mobilità con mezzi privati e un aumento di quella con mezzi pubblici. Privatizzare le aziende di trasporto diventa così un ulteriore regalo ai gruppi capitalistici.
La “maledizione” del tempo
Ma la questione dello spazio e della sua tendenziale riduzione, ci porta direttamente alla questione del tempo. A Roma gran parte degli spostamenti per andare al lavoro superano i 31 Km e almeno 1,15 ore di tempo. L’estensione della città e la subordinazione urbanistica a parametri radicalmente diversi da quelli della vivibilità delle persone (vedi ad esempio l’irrazionalità economica e logistica dello spostamento della Provincia al Torrino), non potranno che aumentare i tempi perduti nella mobilità che allungano – nei fatti – la giornata lavorativa sociale. Non solo. La liberalizzazione degli esercizi commerciali, l’apertura oraria e settimanale ormai senza limiti, hanno allungato e modificato la giornata lavorativa per centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori che vivono nella metropoli.
Lavorare nelle aree metropolitane, in quella romana in questo caso, significa concretamente lavorare di più, sommando ai tempi di lavoro quelli della mobilità e della flessibilità totale della forza lavoro. Si conferma così la tesi di Engels sulle città come “magazzino della forza lavoro a basso costo”.
Finanziarizzazione e privatizzazioni
Se a questa dimensione relativamente nuova della condizione sociale metropolitana affianchiamo le contraddizioni di sempre – dalla rendita speculativa immobiliare alle privatizzazioni dei servizi pubblici locali, ai maggiori costi sociali dei servizi – emerge con forza che la metropoli torna ad essere il punto in cui quantità e qualità delle contraddizioni e dei conflitti raggiungono il loro più alto. David Harvey ha ribadito nel suo recente libro sulle rivolte urbane che “Dopo tutto, è il capitalismo finanziario a costruire oggi la città, coi suoi condomini e uffici. Se vogliamo resistere dobbiamo farlo con una lotta di classe, contro questo potere. E sono molto serio nel porre la domanda: come si mobilita una intera città? Perché è nella città che sta il futuro politico della sinistra”.
Facendo nostra la riflessione di David Harvey proponiamo a tutti di discutere su questi temi in un forum che abbiamo organizzato a Roma per sabato 16 giugno 2012 (al centro congressi “Cavour”) e al quale invitiamo a partecipare tutte e tutti coloro che intendono ingaggiare la sfida di una analisi anticapitalista della condizione metropolitana e una mobilitazione sociale ed emancipatrice conseguente.
Rete dei Comunisti – Roma
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