L’attuale modello di sviluppo capitalistico è già incompatibile con ambiente e vita di persone e animali. La scelta liberista della libertà di impresa e delle privatizzazioni dell’attuale governo, può solo peggiorare la situazione. La politica industriale attuale produce deindustrializzazione, condizioni di vita e lavoro schiavistiche che, oltre allo sfruttamento selvaggio, producono morte e inquinamento irreversibile.
PREMESSA
Improvvisamente, per effetto dell’iniziativa della magistratura, stampa e opinione pubblica scoprono l’Ilva di Taranto, una realtà mostruosa abilmente nascosta ricorrendo a tutti i mezzi possibili, leciti e no. Non produce solo acciaio, ma anche inquinamento irreversibile, malattie degenerative, morti più che sospette, in una città che da 300.000 abitanti è scesa a 190.000 una vera fuga di massa.
Le diossine sono entrate nella catena alimentare, nell’organismo si insediano nel DNA producendo danni irreparabili. La distruzione degli allevamenti di cozze, la soppressione degli ovini, le ordinanze del sindaco che vietano ai bambini di giocare all’aperto, sono espressione di isteria di massa o cosa?. Le polveri sottili che vengono inalate producono danni irreparabili all’apparato respiratorio, i dati epidemiologici e le analisi ambientali sono inequivocabili.
Eppure nessuno metteva mano al problema, perché ?. forse perché siamo di fronte alla più grande acciaieria europea che produce il 40% dell’acciaio del paese ed è privata. Dalle intercettazioni non si esclude un giro di mazzette mentre connivenze politiche di ogni livello sembrano emergere, anche se facilmente sospettabili pur senza intercettazioni. L’Ilva val bene la morte di una città , dei suoi operai, dei cittadini. Dopo aver espropriato del plusvalore prodotto gli operai, si può anche sacrificare la loro vita e quella delle loro famiglie, il prezzo del progresso non importa quanto sia alto, l’importante è che a pagarlo siano sempre gli stessi.
L’ILVA NON E’ SOLO UNA VERTENZA DI POSTO DI LAVORO MA ASSUME UNA DIMENSIONE NAZIONALE.
La vera politica industriale del governo è la modifica dell’assetto produttivo del paese che porta alla scomparsa della grande impresa. Il ruolo del nostro paese nell’area produttiva europea è quello di paese importatore, con una produzione per il mercato interno europeo di basso valore aggiunto, e una produzione di nicchia ad alto contenuto tecnologico per le esportazioni nel mercato europeo ed internazionale. Il processo assume una chiara identità di scelta strategica verificabile attraverso l’analisi delle attuali vertenze in atto. La FIAT utilizza il paese come una colonia d’oltremare, assorbe risorse finanziarie, come quelle sulle auto elettriche e ad idrogeno mai prodotte. Assume una politica aziendale da multinazionale, alla faccia dei nazionalisti nostrani, e diventa capofila della distruzione dei diritti e delle garanzie per i lavoratori. Devastazione del contratto di lavoro, condizioni di lavoro e di vita da terzo mondo, relazioni sindacali autoritarie e compiacenti, mancanza di relazione sociale con il territorio. Il tutto con la complicità di un governo cha attraverso la riforma del mercato del lavoro e l’attacco allo statuto dei lavoratori crea le condizioni sociali per gli investimenti di multinazionali ad alto tasso di sfruttamento di risorse e lavoratori. Perché è questa la modalità con cui il governo Monti intende attrarre gli investimenti stranieri nel nostro paese. Investimenti che sono alla ricerca del massimo profitto tenendo all’estero innovazione tecnologica e know-how, riservando al paese solo la produzione materiale delle merci. La inesistenza del credito bancario, e il capitale per gli investimenti produttivi dipende per il 95% dai finanziamenti bancari, provvede alla distruzione della piccola e media impresa nel paese. Un tessuto industriale che intralcerebbe la possibilità delle multinazionali di fare scorrerie nel nostro paese. La fragilità strutturale dell’industria nazionale consente poi di devastare quanto sopravvive ricorrendo a problemi, sempre noti da tempo e tenuti in riserva per un uso oculato, ambientali, organizzativi, orientamenti del mercato e quant’altro, che improvvisamente assumono carattere apocalittico. Così si scopre che il carbone delle miniere del Sulcis contiene troppo zolfo, l’alluminio dell’Alcoa è troppo costoso perché le rapine delle tariffe non consentono l’accesso alle fonti energetiche in maniera conveniente e così via. In questo panorama l’Ilva assume un ruolo chiave, improvvisamente inquina il territorio, distrutto tranquillamente per svariati anni e si innesca il progetto di distruzione industriale. La proprietà strumentalizza le prescrizioni della magistratura per ridurre la produzione in eccesso a causa della contrazione della domanda da parte del mercato e pone sul piatto una condizione infame. Continuare a produrre in maniera criminale strumentalizzando il reale bisogno di lavoro degli operai, riducendo le misure anti inquinamento ad una barzelletta formale, attaccando la magistratura che in realtà vuol dire attaccare le normative e la tutela dei diritti che la magistratura sta garantendo in questa fase a Taranto. Un modello di sviluppo capitalistico di rapina del territorio, senza alcuna capacità di innovazione tecnologica, considerando la forza lavoro come carne da macello da sacrificare al profitto personale. È questo il modello capitalistico in competizione con quello di Marchionne in questa fase, una bella scelta non c’è che dire. Il governo continua a procrastinare ogni intervento, facendo finta che la fabbrica non continui a produrre e riservandosi di decidere se schierarsi con le multinazionali e far morire l’Ilva, oppure affidare al modello Ilva la possibilità di ripresa economica riscoprendo lo schiavismo industriale di fine ottocento. Nel contempo si costruisce il progetto di riduzione dell’irap per le imprese che sono in grado di esportare e quindi compatibili con la nuova area produttiva europea..
L’ILVA
È il frutto avvelenato della privatizzazione dell‘IRI, della serie privato è bello da morire. È l’ennesimo regalo alla solita famiglia del capitalismo italiano, superprotetti e foraggiati con la connivenza dei governi che non riescono a preservare neanche settori strategici della produzione industriale. Le modalità sono sempre le stesse, ricerca del profitto nello sfruttamento selvaggio dell’ambiente e nell’imposizione di condizioni di vita e di lavoro schiavistiche con il ricatto del posto di lavoro, tra l’altro in una città del sud del paese.
Le condizioni di lavoro e l’impatto ambientale ricordano quello delle ferriere dell’ottocento, gli organismi preposti alla vigilanza risultano ininfluenti, il rispetto delle normative europee sull’inquinamento ambientale reinterpretate a livello nazionale continuano nella protezione dell’Ilva. I rinvio a giudizio per disastro ambientale dei componenti della famiglia Riva, tanto da doverli sostituire, sono accanimento giudiziario o solo un incidente di percorso della magistratura?.
IL GOVERNO NAZIONALE
Al di là dell’aspetto mediatico, la task force dei ministri che invade la città di Taranto e la serenità del governatore Monti intento a respirare l’aria pulita dei monti svizzeri, è indispensabile andare oltre.
Qual è la politica industriale del governo, un dato importante per comprendere se l’Ilva è un eccezione, e già sappiamo di no, e se dobbiamo aspettarcene altre.
È evidente che il paese sta subendo un profondo processo di deindustrializzazione che vede la fuga delle grandi imprese, la chiusura delle piccole e medie che non sono capaci di reggere il confronto con i mercati internazionali e quindi incapaci di esportare. La stessa politica fortemente recessiva, comprimendo i consumi interni, dà un ulteriore duro colpo al sistema produttivo nazionale. Tutto ciò non è casuale o frutto di errore politico, né può essere indicato unicamente come conseguenza della crisi mondiale. Dipende dalla collocazione del paese nell’area produttiva europea, se ci viene assegnato il ruolo di paese importatore e non produttore, è evidente che le scelte strategiche saranno conseguenti e si procederà ad una progressiva desertificazione industriale.
Tanto è vero che le prospettive sono privatizzazioni selvagge, e quindi regalo ai privati di pezzi pregiati di quello che resta dell’apparato produttivo nazionale. Se Monti ha accentrato su di sé il potere di decisione finale sui settori definiti strategici dell’economia, come esercita questo potere nei confronti dell’Ilva ?. se la scelta ideologica della libertà di impresa, che è stata fatta, fa prevalere l’interesse specifico su quello generale, avremo la rincorsa del profitto quale elemento determinante, lasciando la funzione sociale al libero mercato. L’Ilva è solo antesignana rispetto al futuro.
È evidente che il rapporto tra siti produttivi e ambiente, siti produttivi a città sarà regolato unicamente dall’interesse dell’impresa e non da quello collettivo della comunità.
L’attuale apparente interessamento del governo, Monti non ha detto una parola a proposito, per l’Ilva è determinata da una considerazione economica generale per cui la chiusura farebbe mancare al paese il 40 % dell’acciaio necessario e questo vorrebbe dire importarlo che tutti i problemi conseguenti. Successivamente c’è una considerazione di ordine pubblico che vedrebbe una reazione non controllabile di una città morente che leggerebbe la chiusura dello stabilimento come il colpo di grazia con una difficile tenuta della cosiddetta coesione sociale, da leggere come subordinazione totale dei lavoratori alle politiche industriali, monetarie, fiscali e antipopolari del governo.
Allora se la scelta è tra la vita dello stabilimento Ilva e la morte di una città, viene da sé comprendere come ci si orienterà, intanto le emissioni continuano e le chiacchiere inquinano le menti, oltre all’ambiente.
Il coniglio dal cilindro è subito trovato, l’AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE ( A.I.A. ), prevista dalla normativa europea ma precedentemente addomesticata dall’influenza dell’Ilva. Allora bisogna farne un’altra, ci vorranno mesi e dovrebbe contenere tutte le 461 prescrizioni del Gip. Ma se queste prescrizioni saranno inserite nell’AIA, e quindi ritenute valide, perché non si impone all’Ilva di cominciare ad applicarle da subito senza aspettare la loro riscrittura in un nuovo documento ?.
IL GOVERNO REGIONALE
Nonostante che i suoi organismi di controllo segnalassero i problemi di cui sopra, fa registrare una acquiescenza nei confronti dell’Ilva che sicuramente stupisce. Eppure il governatore regionale è l’esponente di una formazione che include l’ecologia nella sua denominazione, forse ci si poteva aspettare qualcosa in più oltre la legge regionale sulla definizione del danno sanitario. Una volta definito il danno sanitario forse sarebbe stato opportuno, se non riuscire ad eliminarlo, almeno a ridurlo con interventi diretti sul proprio territorio.
LA MAGISTRATURA
Di fronte all’inerzia di Ilva, governi nazionale e regionale, si concretizza l’azione di sequestro degli impianto inquinanti. A quel punto si scatena un’offensiva politico mediatica contro i magistrati che ha dell’assurdo, ma che viene da lontano ed è la conseguente realizzazione di un progetto strategico.
Dalla crisi sistemica del modello capitalistico si esce con un nuovo modello di sviluppo e conseguentemente con un nuovo modello sociale che prevede inevitabilmente la ridefinizione della forma stato e della relazione tra i poteri in quello che era lo stato di diritto.
Il potere esecutivo è in mano ad un emissario dei centri di potere economico finanziario europei e mondiali e lo gestisce in maniera autoritaria con molta più attenzione alle questioni europee che non a quelle nazionali.
Il potere legislativo è praticamente inesistente in quanto la legislazione di emergenza, i decreti legge e le conseguenti fiducie, ne hanno svuotato qualsiasi ruolo e i parlamentari operano più come cortigiani che non come esponenti politici. Basta ricordare che sono attesi ben 300 ( leggasi trecento ) decreti attuativi che saranno predisposti dal governo.
Il potere giudiziario è quello che rimane ancora poco affidabile e siamo alla sua messa a norma definitiva. La riforma della giustizia che si sta traducendo in chiusura di procure in giro per il paese, in attacco ai pool specializzati, invenzioni di task force di magistrati per ridurre l’arretrato giudiziario nelle cause civili, continua messa in discussione della possibilità di effettuare intercettazioni, è lo strumento che si propone la normalizzazione della magistratura.
Dopo l’orgia di intercettazioni sulle attività sessuali di Berlusconi, improvvisamente si comprende la pericolosità di un eccesso di pubblicità delle relazioni istituzionali e da buon paese democratico, queste devono restare nascoste. Le intercettazioni di striscio di re Giorgio Napolitano, in una vicenda non certo edificante e di secondario interesse, come la trattativa tra stato e mafia, sai che novità direbbe qualcuno, diventano il pretesto per l’attacco al potere di intercettazione della magistratura. Lo scopo non è tanto e solo preservare il Presidente quale garante del processo di “europeizzazione del paese”, quanto quello di circoscrivere la possibilità di intercettazione. Guarda caso anche Monti è intervenuto su questo problema, mentre non è intervenuto sull’Ilva.
L’insurrezione nei confronti del magistrati di Taranto è stata violenta e scorretta. L’invio del ministro Severino per mettere in atto la moral suasion, termine utilizzato più volte da Napolitano, e ripreso da Monti, aveva lo scopo di intimidire i magistrati che giustamente si sono sottratti al gioco. L’argomento principe dell’intervento è stato quello che contestava al magistrato la volontà di arrogarsi il diritto di definire la politica industriale del paese.
Quale sia la politica industriale del paese lo dimostrano proprio i fatti di Taranto, ma quello che è da sottolineare è il chiaro messaggio di non disturbare il manovratore soprattutto quando questo agisce in nome della libertà di impresa. La stessa identica franchigia garantita alle imprese con l’allentamento dei controlli della pubblica amministrazione e dei suoi servizi ispettivi. Per cui se la magistratura ravvisa un reato messo in atto all’interno di un’impresa non deve intervenite per non mettere in crisi la politica industriale del paese.
CONDIZIONE SOGGETTIVA DEI LAVORATORI NEL PAESE.
La delegittimazione delle iniziative della magistratura, l’inerzia politica, la compiacenza verso un modello produttivo di rapina, le iniziative dei quadri dello stabilimento foraggiati e aizzati dall’Ilva rischiano si rompere il rapporto tra i lavoratori e lavoratori e lavoratori e la loro città. Il pericolo di una contrapposizione tra lavoratori dello stabilimento e cittadini cosiddetti ambientalisti è un dato già visto in altre situazioni e va tenuto presente.
Che cos’è che impedisce la reazione dei lavoratori alle condizioni di pericolo in cui svolgono il loro lavoro e li porta ad accettare, assuefatti, ogni trasformazione in peggio della condizione sociale, lavorativa e salariale?. È questo un dato estremamente diffuso di cui occorrerebbe analizzare meglio le componenti sociali e politiche.
È sicuramente vero che il disarmo ideologico costruito in questi anni dal cosiddetto riformismo ha costruito una subordinazione al modello di sviluppo capitalistico vissuto come l’unico che potesse garantire benessere, crescita infinita o comunque sopravvivenza.
Lo stesso scimmiottamento del modello di vita del ceto medio, senza averne i mezzi, con l’indebitamento delle famiglie evidenzia tale subordinazione. Il disarmo ideologico ha portato con sé la fine del ruolo e della funzione delle organizzazioni dei lavoratori ridotte a centri di servizio che non producono più analisi e cultura operaia.
È sicuramente vero che la velocità con cui i processi di trasformazione si sono realizzati, sull’onda dell’allarme sociale creato dalla crisi mondiale, ha ridotto sulla difensiva i lavoratori impedendo loro di trasformare il disagio individuale in disagio collettivo e rifugiandosi nelle ricerca della soluzione personale. La devastazione della cultura di classe ha portato oggi alla perdita di identità sociale del lavoratore marginalizzato nei processi produttivi automatizzati e diffusi nel sociale, relegandolo al ruolo improbabile, per mancanza di mezzi, di consumatore di merci.. Il peggioramento delle condizioni materiali non ha ancora raggiunto l’apice, ma niente garantisce che quando questo avverrà ci sarà la giusta reazione dei lavoratori, Grecia insegna.
La condizione materiale della povertà è a portata di mano, eppure quello che ancora paralizza i lavoratori è la paura dell’impoverimento che irrazionalmente li porta a vivere una sorta di condizione di povertà preventiva, la contrazione dei bisogni, anche primari, ne è la testimonianza. In questo clima nasce la quiescenza dei lavoratori dell’Ilva che accettano di lavorare con pericolo di vita per paura di perdere anche questa estrema possibilità di sopravvivenza. È già accaduto per la Thyssenkrupp, per i padiglioni del dopo terremoto in Emilia e molte altre situazioni analoghe.
I LAVORATORI DELL’ILVA DI TARANTO.
Hanno su di sé una responsabilità di non poco conto, perché la conclusione della vertenza locale avrà ed ha una ricaduta sul piano nazionale che prescinde dallo specifico e segna il futuro dell’industria pesante nel nostro paese. I tentativi di divisione strumentale sono palesi e mettono in luce una proprietà che opera secondo i metodi classici del capitalismo italiano, e pretende di utilizzare i lavoratori come massa di manovra capace di ricatto sulla politica per orientarne le scelte. Non tiene conto del fatto che questo governo ha abolito la relazione politica e viaggia su una strategia da fondo monetario internazionale con la collaborazione delle centrali finanziarie europee. Il silenzio di Monti sull’Ilva è veramente assordante, come si dice di solito. Le strategie sindacali interne all’Ilva risentono di un modello Volkswagen riveduto e corretto all’italiana. Una contiguità sindacale aberrante, sorda e cieca, che ora tenta di cavalcare la crisi per ricostruirsi una credibilità nuova, ma è possibile ridare credibilità a chi per anni ha condiviso le scelte aziendali criminali? La capacità di ricostruire una relazione tra lavoro e territorio, tra lavoratori e città per uno sviluppo industriale sostenibile è oggi la condizione per la ripresa di un intervento sindacale credibile e strategicamente efficace.
LA CITTA’ DI TARANTO
Se è vero che lo stabilimento Ilva rappresenta il 75% dell’economia cittadina, è evidente che la città è ostaggio dell’acciaieria, a prescindere da come funziona e dai danni che produce. I cittadini vivono come assediati per mancanza di possibilità e alternative e la sopravvivenza viene ricercata anche a rischio della vita stessa. È un altro aspetto che andrebbe analizzato approfonditamente per comprendere come l’intervento nei territori debba aggredire le problematiche reali presenti.
COME PROVARE AD USCIRE DA QUESTA SITUAZIONE ?
Gli elementi da tener presente sono sicuramente i seguenti.
Se lo stabilimento ha una funzione strategica nazionale, lo si affronti per quello che è, vale a dire non può essere lasciato in mano ai privati ma deve essere ripubblicizzato ( se la parola nazionalizzato fa paura ) perché solo in questo modo si può garantire la produzione e la messa a norma.
Se la città di Taranto vive una condizione di vero e proprio disastro ambientale, è evidente che l’intervento, una volta riportato nel pubblico lo stabilimento dell’Ilva, deve avere lo spessore, le risorse e la continuità della bonifica del territorio e del risarcimento del danno subito dai cittadini.
Qui non si tratta di sostenere il privato o di sostituirsi ad esso per accollarsi le spese del danno prodotto, qui si tratta di impedire al privato di appropriarsi di settori strategici della produzione industriale, di disporre a piacimento di intere città o comunque di parti sostanziali del paese, di disporre della salute e della vita di cittadini inermi e ricattati dal diritto al lavoro e alla sopravvivenza.
QUALI CONTENUTI DARE ALLA VERTENZA LOCALE IN CONTINUITA’ CON UNA INEVITABILE VERTENZA NAZIONALE SULLA POLITICA INDUSTRIALE, IL MODELLO DI SVILUPPO, IL RAPPORTO DEI SITI PRODUTTIVI CON IL TERRITORIO.
- Le prescrizioni previste dalla magistratura, e che saranno inserite nell’AIA, sono una condizione imprescindibile per la ripresa dell’attività produttiva. Chiedere l’impegno reale e la volontà della proprietà in termini di risorse e tempi certi, è la prima delle richieste sindacali. Una riserva da sciogliere subito senza nascondersi dietro la magistratura o il ricatto ai lavoratori
- In mancanza di garanzie reali e verificabili da parte della proprietà dell’Ilva l’intervento diretto dello stato diventa indispensabile per le responsabilità oggettive legate alla mancanza di controlli, alla carenza di normativa sull’attività produttiva dell’impresa e per il ruolo dell’Ilva, definito strategico per tipologia produttiva e funzione economico – sociale. È evidente che in tal caso il passaggio in mano pubblica dell’Ilva è un dato persino ovvio. In Europa si sta lavorando ad una normativa che consenta una siderurgia pulita. Perché una volta tanto non possiamo essere europei per primi e non solo quando dobbiamo fare sacrifici.
- l’attività della magistratura non deve essere ostacolata e deve poter indagare sulle responsabilità istituzionali e della proprietà in relazione al danno ambientale, allo stato di salute della popolazione, ai decessi avvenuti, all’inquinamento ambientale e definire tempi certi per disinquinamento della città e responsabilità penali.
- L’impegno complessivo, sia economico che operativo, deve trovare attuazione in un piano aziendale concordato in sede di confronto tra proprietà, rappresentanti dei lavoratori, governo e rappresentanti dei cittadini. Tale piano dovrà prevedere percorsi e processi di bonifica della fabbrica e della produzione, con una gradualità temporale razionale e congrua, garanzie per i lavoratori dell’Ilva e dell’indotto rispetto a salario, futuro lavorativo, controlli sanitari, tempi e modalità di bonifica della città con uno studio epidemiologico non strumentalizzato dall’azienda e tutela dei soggetti a rischio, anche prevedendo un temporaneo allontanamento dalla città a spese degli inquinatori.
- I lavoratori dell’Ilva e dell’indotto, successivamente ad un percorso formativo adeguato, possono e devono essere impiegati nelle operazioni di ristrutturazione, disinquinamento e bonifica di impianti, delle aree aziendali e della città. Questo produce garanzia di salario e soprattutto possibilità di controllo diretto sulle operazioni n atto. Una forma di partecipazione democratica all’assetto produttivo della città di Taranto.
- La ripresa dell’attività potrà essere conseguente all’intero percorso disegnato nei punti precedenti ritenuti imprescindibili per una soluzione vera della vertenza.
La vertenza interna all’azienda va sicuramente sostenuta con una mobilitazione regionale che raccolga intorno ai lavoratori la solidarietà e la mobilitazione della popolazione per un modello di sviluppo sostenibile senza desertificazione industriale del territorio. Costruire sul piano nazionale una mobilitazione che a partire dalle aziende in via di dismissione ponga il problema della politica industriale del governo e del modello di sviluppo, del rapporto tra produzione industriale e territorio con le relative popolazioni, sono le dimensioni di una vertenza che, a partire dai posti di lavoro, costruisce una strategia complessiva per il paese.
Ottobre 2012
Questo documento di approfondimento è stato redatto dall’Esecutivo nazionale confederale USB in collaborazione con il proprio Centro Studi – CESTES (Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali)
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