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Alitalia e Finmeccanica. Tra privatizzazioni e mazzette

La devastazione del patrimonio industriale del paese – in corso negli ultimi 20 anni – sta arrivando a conclusione. La parola d’ordine “privatizzare” è diventata prassi frenetica soltanto in questo paese, mentre Francia, Germania e Gran Bretagna se ne guardavano bene. Là dove sono state realizzate, come per Alitalia, Ilva, Telecom, ecc, assistiamo alla precipitazione di crisi industriali dovute soprattutto all’incapacità manageriale del ceto di “prenditori” italiani. Gente che ha preso aziende in regime di monopolio e ha pensato di poter continuare sullo stesso binario anche dopo l’apertura dei mercati europei alla concorrenza globale. Il “modello” era e resta De Benedetti, il padrone di Repubblica che appena presa in mano Olivetti (allora uno dei quattro grandi dell’informatica hardware) mise fine alla ricerca per concentrarsi sulla vendita di pc datati all’amministrazione pubblica. E quando i conti in passivo arrivano al pettine, ecco che s’alza il grido “licenziamenti!”, “troppi diritti”, “salari eccessivi”, ecc.
Ora vediamo l’ex compagnia di bandiera, abbattuta per scelta politica bipartisan dopo lunga contrattazione con i partner europei e regalata alla “cordata italiana” improvvisata da Berlusconi e finanziata da Corrado Passera, ovvero IntesaSanPaolo.
Per finire Finmeccanica, troppo strategica (armamenti, sistemi di puntamento, aeronautica, nucleare, ecc) per essere privatizzata davvero e squartata da un management attento solo a rispondere alla filiera politica che l’aveva sollevato a quel ruolo. Nel caso dell’attuale a.d., Orsi, la Lega Nord.
Complimenti!

Privati in caduta libera

Francesco Piccioni

Oggi il nuovo piano industriale. Dopo i 4mila esodati del «piano Fenice» (costati 3 miliardi) sul tavolo di Passera arrivano altri mille licenziamenti Quattro anni dopo la privatizzazione a Cai sotto la regia di BancaIntesa la linea aerea è di nuovo a terra. Una perfetta «metafora» italiana

A quattro anni di distanza Alitalia sta punto e a capo. E oggi si presenta davanti ai sindacati “affidabili” (Cgil, Cisl, Uil, gli altri no) con in mano un piano industriale che gronda ancora di lacrime e sangue. Motivazione ufficiale: c’è la crisi, la gente vola meno, le compagnie low cost si mangiano quote rilevanti del traffico passeggeri. Peccato che sia esattamente lo stesso quadro di quando la famigerata Cai ha avuto in grazioso regalo dal governo Berlusconi la compagnia di bandiera, Alitalia appunto. Che significa? Semplicemente che quattro anni fa era stato disegnato un altro “piano industriale” sulla base di un quadro molto simile; insomma, che imponeva sacrifici feroci per tener conto di una situazione pesante. La «garanzia» di successo, si diceva, stava nella privatizzazione; affidata ai «capitani coraggiosi», un gruppo di imprenditori privati selezionati sulla base dell’amicizia verso il governo allora in carica (Colaninno, Toto, Riva dell’Ilva, Marcegaglia, Benetton ed altri) e inquadrati nell’ambizioso «piano Fenice» ideato dall’amministratore delegato di IntesaSanPaolo. Ovvero Corrado Passera, attuale ministro dello Sviluppo che si ritrova in mano la stessa patata bollente con un altro vestito addosso.
Ma qual è la situazione dei conti Alitalia oggi? Diciamo che perde quasi la stessa cifra che allora giustificò la liquidazione della compagnia pubblica. Solo che «i privati» sono riusciti a raggiungere questo straordinario risultato in soli 48 mesi (invece dei 20 anni che ci avevano messo i manager «pubblici»), nonostante abbiano potuto contare su appena 14.000 dipendenti invece dei 20.000 originari. Peraltro pagati molto meno, con orari di lavoro più lunghi, con contratti «derogabili» a piacere e grandi agevolazioni fiscali.
Come hanno fatto? Si può pensare che il business del trasporto aereo sia troppo complicato per gente che non se ne era mai occupata. È vero, c’era tra loro Carlo Toto, patron di AirOne, capace di trasformare una compagnia fallita in «acquirente» di Alitalia grazie alla banca cui doveva cifre mostruose. IntesaSanPaolo, naturalmente. Ma proprio per questo la fine era certa fin dall’inizio. Nemmeno Air France, che pure detiene il 25% del pacchetto azionario, aveva interesse a evitare che la nuova compagnia scivolasse velocemente verso il baratro. Alla fine dei giochi si prenderà ciò che le interessa pagando quasi nulla. Mentre se avesse dovuto acquistare quando voleva farlo, quattro anni e mezzo fa, avrebbe dovuto sborsare diversi miliardi allo stato italiano accollandosi anche i debiti della società poi liquidata. Un’idea geniale, quella di Tremonti & co, che misero invece a carico del bilancio pubblico 3 miliardi pur di poter dire che «si garantiva l’italianità», sottacendo che «l’azionista di riferimento» diventava Parigi.
Non si può dimenticare che la chiusura di Alitalia «pubblica» è stato il laboratorio di un esperimento contro il lavoro, i suoi diritti e la sua organizzazione. Sergio Marchionne, due anni dopo, ha semplicemente riproposto uno schema «vincente», inventandosi una newco senza nemmeno passare per il fallimento della vecchia impresa.
Per l’ex compagnia di bandiera le con conseguenze sono molto pesanti. Sabato scorso, per 4.300 dipendenti, è terminata la cassa integrazione ed è partita la mobilità «lunga». Sembrava un percorso povero, ma sicuro, verso la pensione. Poi però è arrivata Elsa Fornero, che ha spostato questo traguardo di sette anni. E adesso soltanto per 1.000-1.500 di loro potrebbe esserci una copertura da «esodati» riconosciuti come tali dal ministro del non-lavoro. Gli altri, come si dicono da soli, sono «candidati all’obitorio».
Nessuno di loro è stato richiamato dalla cig. Cai ha sempre preferito assumere nuovi precari per coprire i vuoti di organico; per di più facendosi pagare 2.000 euro a testa per il «corso di formazione». Nel 2011 la compagnia ha aperto una procedura di cassa integrazione a zero ore per altri 750 addetti, giurando che non erano «in uscita» perché la società «andava benissimo». Chiaro soltanto ora che anche questi non rientreranno più.
Anzi, oggi sul piatto dovrebbero venir messi – secondo centinaia di indiscrezioni concordanti – altri 1.000 lavoratori a tempo indeterminato. Mentre per i precari nessuno sa fare previsioni certe…
Intorno al tavolo si ritroverà una compagnia che i lavoratori trovano inquietante. Oltre al presidente di Cai, Roberto Colaninno, ci sarà Corrado Passera, l’ideatore del «piano» che ha portato a questo strabiliante risultato. Al fianco avrà il suo sottosegretario, Guido Improta, che ha ricoperto la carica di responsabile delle relazioni esterne dell’Alitalia fino al giorno prima di entrare nel governo. E poi i sindacati «affidabili», che ora minacciano la mobilitazione ma per quattro anni hanno garantito una sofferta pace sociale. Come ci dice Paolo Maras, ex assistente di volo e storico sindacalista del Sult (che poi ha dato vita con altre sigle all’Usb), «ci potrebbe essere una speranza solo se tutte queste persone non si occupassero più di trasporto aereo».

da “il manifesto”

«Orsi non si dimette, nessun riscontro da parte dell’accusa»

Stefano Elli

Un deposito di carte che suona come un regalo inatteso a Giuseppe Orsi, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica e ai suoi legali, quello dei pm napoletani Vincenzo Piscitelli e John Henry Woodcock che indagano su Valter Lavitola.
Sì, perché nella vasta mole di documenti depositati al processo istruito nei confronti dell’ex direttore dell’Avanti, ve ne sono moltissimi che riguardano proprio l’inchiesta aperta a Napoli su Finmeccanica e Agusta Westland per le presunte tangenti pagate in India per l’aggiudicazione di una commessa da 560 milioni di dollari e la vendita di 12 elicotteri al governo indiano. Tra queste le molte dichiarazioni fatte ai magistrati da Lorenzo Borgogni, ex capo delle relazioni esterne di Finmeccanica che, con le sue rivelazioni, ha di fatto aperto la strada ai magistrati. L’accusa a carico di Orsi, del suo successore in Agusta Westland Bruno Spagnolini, è corruzione internazionale e l’inchiesta, nata a Napoli, è stata poi trasferita a Busto Arsizio per decisione della Corte di cassazione. Tra le carte, secondo Ennio Amodio, che difende Orsi, ve n’è in particolare una, la cui importanza è stata giudicata tale da convincerlo a indire ieri, in tutta fretta, una conferenza stampa. Si tratta di un documento di fonte indiana, datato 18 gennaio 2010, sequestrato in Svizzera durante una perquisizione autorizzata per rogatoria in cui si fa riferimento a un’offerta di assistenza per «sostenere» gli italiani in una fornitura di elicotteri di tipo AW 119.
Ecco il problema. Per Amodio si trattava di una gara precedente, persa dagli italiani, e si riferiva a un’ulteriore commessa, questa volta destinata alla polizia indiana. Ma, è il punto sollevato da Amodio, è che l’inchiesta di Busto Arsizio si incardina su un altro episodio e su un altro bando di gara che si riferisce all’acquisto di un altro modello di elicottero: l’AW 101. Il fatto che a supporto delle tesi dell’accusa vi sia un documento che si riferisce a un’altra gara sarebbe, a giudizio della difesa di Orsi, da considerarsi un autogol dell’accusa.
Nella conferenza stampa Amodio ha chiarito che «Giuseppe Orsi non ha intenzione di rassegnare le dimissioni da presidente e ad del gruppo Finmeccanica. Anzi. Il moltiplicarsi delle accuse nei suoi confronti non fa che rafforzare la sua determinazione nel difendersi in tutte le sedi». Amodio ha affermato che le tesi di Borgogni, si sarebbero basate su semplici «sentito dire» che non avrebbero trovato adeguati riscontri. E ha annunciato l’intenzione di procedere nei suoi confronti in sede penale e civile. Amodio, inoltre, ha chiarito che la decisione di indire una conferenza stampa proprio ieri non ha avuto alcun collegamento con il mancato incontro che avrebbe dovuto tenersi oggi tra i vertici del gruppo Finmeccanica e quelli del Governo. Oggi infatti a palazzo Chigi era in programma un incontro tra Orsi e il direttore generale dell’azienda Alessandro Pansa e i massimi esponenti del governo italiano: il presidente del Consiglio Mario Monti, il ministro dell’economia Vittorio Grilli, quello per lo Sviluppo Corrado Passera e della Difesa Giampaolo di Paola. Un incontro in cui si sarebbe dovuta riconsiderare l’intera arena competitiva del settore aerospaziale alla luce della progettata fusione tra la franco-tedesca Eads e gli inglesi della Bae Systems. L’incontro è saltato e il motivo ufficiale è stato l’annuncio del dietro-front dei protagonisti.

da Il Sole 24 Ore

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1 Commento


  • MaxVinella

    Nel mercato delle armi è prassi diffusa e imprescindibile pagare tangenti a dittatori o governi più o meno autoritari per riuscire a vendere i propri “prodotti” !!

    Poi è chiaro che qualcosa rimane attaccato anche alle mani dei vari mediatori e del management delle imprese, che poi deve ricompensare i padrini politici che li hanno messi a capo dei CDA !!

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