La pretesa di conciliare gli interessi dei lavoratori e della popolazione con la logica del profitto senza riguardi per alcuno, comincia a mostrare la corda e acutizzare le sue contraddizioni.
E’ il caso di Umbria Mobilità, nata dalla fusione della Ferrovia Centrale Umbra, Azienda Perugina della Mobilità, ATC di Terni e alla SSIT di Spoleto.
I nodi vengono al pettine dopo anni tormentati dai salari spesso in ritardo di mesi, mentre manager e dirigenti si ritagliavano stipendi d’oro e si facevano protagonisti di una vicenda allucinante riguardante i crediti vantati da Umbria Mobilità nei confronti di Roma TPL per il servizio svolto nella capitale. Mentre gli altri due soci Cotri e Marozzi riscuotevano almeno in parte il dovuto, nulla è arrivato nelle casse di Umbria Mobilità, anche se nel consiglio di amministrazione di ROMA TPL sedeva Giovanni Moriconi, il vecchio presidente di Umbria Mobilità. Non solo, ma durante l’esercizio Umbria Mobilità aveva concesso garanzie fideiussorie a Roma TPL per 124 milioni.
Già questi discutibili affari esemplificano bene quello che accade quando si privatizzano i servizi pubblici.
L’indirizzo politico degli attuali proprietari di Umbria Mobilità è appunto di portare fino in fondo la privatizzazione e di consegnare ai privati il 51% del capitale pubblico.
Ovviamente, i lavoratori non ci stanno: la RSU ritiene tutto questo «intollerabile, inaccettabile e ingiustificabile, soprattutto quando il management aziendale chiede ulteriori sacrifici ai lavoratori (i cui stipendi sono a rischio), ma non impone tagli proporzionali alle proprie laute retribuzioni.
Solo il profilo pubblico dell’Azienda, attraverso il controllo e la gestione da parte degli Enti, può garantire il diritto alla mobilità di ogni cittadino» e con nettezza rimarca che «la svendita dell’azienda comporterebbe inevitabilmente:
1. L’isolamento dei paesi e delle zone meno “redditizie”. Stravolgendo il servizio pubblico in privato (il privato si sa, non ci rimette mai soldi), viene meno la garanzia di portare i servizi in quelle zone della regione più disagiate da un punto di vista logistico.
2. Tagli delle corse, anche di zone con alta frequenza, ma ritenute non strategiche (tradotto: non remunerative).
3. Aumento certo del prezzo dei biglietti per gli utenti. Con aggravio sui conti delle famiglie umbre, che già devono fare i conti con la forte crisi economica.
4. Calo rispetto alla qualità dei servizi offerti. Il privato, per sua natura, non cerca di incrociare la domanda degli utenti e non investe nei servizi pubblici.
5. Precarizzazione e perdita di diritti dei lavoratori del trasporto pubblico. Con il rischio, concreto, che si verifichino numerosi esuberi di personale».
La Rsu conclude con l’appello alla lotta
Poi, l’incisivo affondo: «la privatizzazione non rappresenta una soluzione al problema. L’ipotesi dello smembramento va in controtendenza rispetto alle motivazioni, condivise da tutte le organizzazioni sindacali e dalle forze politiche, che hanno portato alla costituzione dell’azienda unica regionale. La RSU ritiene che sia necessario correggere una stortura insorta all’atto della definizione dell’azienda Unica: la Regione Umbria, trattandosi appunto di azienda unica regionale, dovrebbe aumentare il suo “peso” all’interno della stessa attraverso la ricapitalizzazione.
Il progetto “azienda unica regionale” nonostante tutto, ha rappresentato un esempio di integrazione valido per tutti gli altri servizi a rete, caratterizzati da una gestione frammentata in una moltitudine di aziende locali. Ha, in soli due anni di vita, generato economie di scala, con una forte razionalizzazione delle risorse disponibili e risparmi di gestione riguardanti il personale».
La Rsu conclude chiamando alla lotta: «facciamo appello perciò ai lavoratori del TPL, ai cittadini, alle fasce sociali svantaggiate a mobilitarsi, costruendo da subito Comitati contro la svendita dell’Azienda Regionale. Noi siamo disponibili ad organizzare questi comitati: ai cittadini Umbri il compito di non farsi “rubare” un pezzo dello stato sociale».
Questa mobilitazione si inserisce legittimamente nel ciclo di lotte che da due anni investe nel centro nord l’ambito dei trasporti e della logistica, scontrandosi con imprese e cooperative una volta rosse.
Stimolante e innovativa è infine la forma di lotta proposta, che vede insieme lavoratori e utenti, analogamente a quanto accade nella battaglia in difesa della sanità pubblica in Italia e nelle “mareas” spagnole.
Il Comitato No Debito si è già attivato esprimendo solidarietà al lavoratori e mettendosi a disposizione per costruire i Comitati contro la svendita di Umbria Mobilità.
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