Di fronte al disastro dell’Ilva e alla dimostrazione di come gli interessi privati tendano ad appropriarsi senza scrupoli dei beni pubblici e a fregarsene degli interessi collettivi, oggi appare quasi penosa la barricata eretta da Dario Di Vico sul Corriere della Sera contro l’ipotesi di una nazionalizzazione dello stabilimento siderurgico. Invoca catastrofi e i vincoli dell’Unione Europea. Ma è ormai evidente che se a Taranto e in Italia si vuole salvaguardare l’interesse collettivo in termini di salute, lavoro e sviluppo industriale, l’Ilva non può che essere nazionalizzata, ed anche senza indennizzo visto che la famiglia Riva ha imbrogliato lo Stato a tutti i livelli.
Su questa ipotesi è tornata ad intervenire l’Usb, il sindacato di base che propria all’Ilva è cresciuto in questi mesi denunciando la complicità e la corruzione dei sindacati ufficiali nei confronti dei Riva. “Abbiamo ripetuto sino alla nausea – è spiegato in una nota della Usb dell’Ilva- che la soluzione migliore era quella dell’esproprio, della nazionalizzazione e non degli ammortizzatori sociali e dei contratti di solidarietà. Invece altri hanno supinamente firmato, assecondato, tradito il loro mandato e i lavoratori, senza nemmeno consultarli”. Oltre alla nazionalizzazione, l’Usb chiede al governo anche di “affrontare l’emergenza sanitaria tarantina, di avviare bonifiche e risanamento ambientale, di salvaguardare l’occupazione dei dipendenti diretti e dell’indotto. “E nessuno – conclude la nota – ci dica che non ci sono soldi. Sono disponibili, dopo i sequestri, 9,3 miliardi di euro… Se dovesse essere necessario occupare lo stabilimento – sottolinea il sindacato di base – lo faremo; questa volta però non lo lasciamo più.
Qui di seguito il comunicato che l’Usb della Puglia ha diffuso nella giornata di oggi:
“USB in pochi mesi è diventato all’ILVA un sindacato fortemente rappresentativo, ha dimostrato di poter mobilitare i lavoratori, di saper lottare e scioperare, di comprendere quanto è importante il rapporto che deve svilupparsi tra operai e cittadini.
Ma USB ha anche analizzato freddamente la situazione dal punto di vista finanziario ed industriale e ciò che era emerso fin da subito era la volontà dei Riva di non spendere un euro per il risanamento dello stabilimento e del territorio.
Per questo motivo avevamo indicato come unico programma possibile: l’esproprio dell’azienda e dei beni dei Riva, la nazionalizzazione e l’intervento pubblico diretto, il blocco delle attività nocive finalizzato al risanamento, la piena occupazione e la difesa del salario.
La magistratura, anche se ostacolata da più parti, ha fatto un ottimo lavoro e dopo aver indicato responsabilità e responsabili, con l’individuazione di quasi 10 miliardi ha oggi anche trovato le risorse economiche per attuare un progetto complessivo che risani la città e dia lavoro ed un futuro certo a decine di migliaia di lavoratori e cittadini. Di fatto manca soltanto la volontà politica per organizzare e gestire un intervento diretto dello Stato che, tra l’altro potrebbe realizzarsi ora senza enormi oneri economici aggiuntivi.
Noi i Riva vogliamo che paghino sino all’ultimo centesimo e vogliamo vederli condannati ed in galera per ciò che hanno prodotto a Taranto. Al tempo stesso vogliamo che paghino coloro che, a livello politico, istituzionale, imprenditoriale e anche sindacale, hanno vissuto e lucrato sulla morte della città e di chi lavora o ha lavorato a l’ILVA.
USB, forte della sua rappresentatività e credibilità, ha inviato una richiesta di incontro al governo e al Ministro dello Sviluppo Economico Flavio Zanonato che sappiamo voler incontrare le altre organizzazioni sindacali in questi giorni.
Riteniamo doveroso che il governo ascolti anche USB, soprattutto in considerazione del fatto che le altre sigle sindacali, chi più chi meno, chi da sempre e chi sino a poco tempo fa, hanno appoggiato le politiche dei Riva e criticato, quando non direttamente ostacolato, l’operato e le decisioni della magistratura.
Una esclusione dell’unico sindacato che sta indicando una via di uscita dall’attuale crisi e che al tempo stesso può mobilitare immediatamente i lavoratori in una fase così delicata e difficile, sarebbe letta come un atto di aperta ostilità nei confronti di coloro che rappresentiamo”.
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