Ken Loach rifiutò un importante premio in solidarietà con loro. Ora arriva la sentenza della magistratura torinese che riconosce come illegittimi i licenziamenti dei lavoratori Rear, la multiservizi presieduta dal politico PD, nonché Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Mario Laus.
Erano stati licenziati “per insubordinazione”, perché si erano ribellati alla ulteriore decurtazione di uno stipendio di cinque euro lordi l’ora. Adesso la sezione Lavoro della Corte d’Appello di Torino non solo conferma la sentenza di primo grado per quanto riguarda il trattamento economico dei lavoratori Rear (a cui veniva applicato un contratto improprio), ma sancisce che i licenziamenti avvennero senza giusta causa.
Dalla ribellione di quei lavoratori, addetti al Museo nazionale del Cinema e al Torino Film Festival, era nato nel 2012 un caso che aveva oltrepassato i confini nazionali: gli ex dipendenti Rear avevano infatti denunciato la loro condizione di sfruttamento a Ken Loach, regista candidato a ricevere il Premio alla carriera per l’edizione del Torino Film Festival di quell’anno. Dopo aver approfondito tutta la vertenza, Loach era sceso in campo al loro fianco, chiedendo alla dirigenza del Festival e del Museo Nazionale del Cinema (ente pubblico che aveva dato in appalto alla Rear la gestione di diversi servizi), di sanare quella situazione. “Il Museo è il primo datore di lavoro – sosteneva Loach – e se la gente lavora per loro con paghe da fame, se viene ingiustamente licenziata, la responsabilità è del management del Museo e non possono scaricarla su qualcun altro”.
Dopo il silenzio dei chiamati in causa, Loach decise infine di rifiutare il prestigioso premio alla carriera, scelta che gli costò la cancellazione della prima italiana del suo film “La parte degli angeli” dal programma del TFF e la pressoché unanime condanna da parte del cinema italiano. Tanto per ricordare qualche “perla”, l’allora direttore artistico del festival, Gianni Amelio, definì quello di Loach “un gesto narcisistico con una punta di megalomania”; Alberto Barbera, direttore del Museo di Torino e della Mostra del Cinema di Venezia, rimarcò: “Testone, scorretto nei nostri confronti, non ha voluto ammettere che era stato mal informato (…) un conto è la coerenza con i propri ideali di difesa dei diritti dei lavoratori un altro è buttare in pasto ai giornali una questione pretestuosa”.
Per lasciare memoria di quella “questione pretestuosa”, abbiamo deciso di farne un documentario, Dear Mr. Ken Loach, in cui si ripercorre la lotta dei lavoratori e dove il regista – nella generosità che lo contraddistingue – racconta in un’intervista il suo modo di intendere il cinema, il sindacato, la politica.
Ora che la vicenda dei licenziati Rear ha trovato la sua risposta giudiziaria – quantomeno di secondo grado – chissà se arriverà invece qualche risposta da parte della politica, visto non solo l’importante ruolo istituzionale ricoperto da Laus nell’Assemblea piemontese (di cui, fra l’altro, risultava nel 2013 come il consigliere più ricco), ma anche tutti i servizi gestiti dalla cooperativa Rear in appalto per soggetti pubblici (“i primi datori di lavoro”, sottolineava Loach), ad esempio nel settore della cultura o della sanità.
Forse non c’è molto da essere fiduciosi, dato che giustizia sociale, etica e politica hanno preso strade sempre più divergenti ed il trasversale “partito dei garantisti” non si scompone più nemmeno per condanne penali passate in giudicato.
Ai lavoratori licenziati Rear il merito di aver sostenuto una lotta per la dignità, propria e di tanti altri sfruttati. Tuttavia non sarà certo il riconoscimento di un indennizzo in denaro (a chi 8, a chi 10 mensilità) a cambiare loro l’esistenza. Altro sarebbe stato ritornare nel posto di lavoro a testa alta, reintegrati a pieno titolo vista l’ingiusta causa del licenziamento.
Intanto l’attuale esecutivo, con in testa presidente del Consiglio (dello stesso partito del presidente della Rear) prepara una bella svolta per tutti i nuovi assunti: “tutele” crescenti….che si sgonfieranno come un soufflé mal riuscito quando, al fatidico traguardo dell’elargizione di qualche diritto, si verrà licenziati – senza causa alcuna – per far posto ad altra carne da macello.
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