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“Licenziati” dal teatro dell’Opera, applauditi dal pubblico

Forse questo paese fa un po’ meno schifo dei suoi governi, dei sondaggi di Pagnoncelli e delle affermazioni infami del suo cosiddetto presidente del consiglio.

Avete presente il caso del Tatro dell’Opera di Roma, dove il sindaco Marino – Partito Democratico, naturalmente – ha deciso di licenziare tutti gli orchestrali e il coro per “risanare il bilancio” e soprattutto per metter fine a una storica conflittualità?

Bene. Sapete anche che tutti i giornali padronali sostengono – sondaggi alla mano – che “il popolo è col premier”, anzi “è il premier”. E quindi che i sindacati – tutti, in ogni categoria, specie se proclamano qualche agitazione, vanno sciolti nel’acido…

Poi accade, come ieri, che gli spettatori presenti alla messa in scena di “Cerenentola”, all’inizio del terzo atto, si alzino tutti in piedi a appaludano per due minuti emezzo l’orchestra e il coro, in segno di solidarietà. Lavoratori perticolari, certo; artisti e non facchini, certo; ma comunque lavoratori dipendenti licenziati in seguito a una lunga vertenza, con tanto di scioperi (e quindi soldi di stipendio persi) per far rispettare i propri diritti. 

Che ormai il potere, come per i facchini, gli operai e il pubblico impiego, chiama sempre “privilegi corporativi”.

Anche il direttore dell’orchestra, l’israeliano Nir Kabaretti, aveva appena ringraziato i musicisti che, nonostante fossero in agitazione perché l’annuncio del licenziamento è stato dato da giorni, avevano come sempre profuso un impegno ineccepibile. Applauso di stima e apprezzamento? Non solo. Anche di solidarietà, perché non è difficile capire che la trasformazione dei teatri dell’opera in “fondazioni”, libere di affittarsi per l’occasione gli orchestrali che vengono ritenuti necessari (a uno stipendio inferiore, ça va sans dire), traforma la vita di questi artisti in un inferno precario e darà – su questo non c’è dubbio, visto l’affiatamento indispensabile a produrre buona musica) risultati peggiori. Come per qualsiasi altro lavoro.

Estraneo a queste riflessioni resta ovviamente il cosiddetto inistro dei beni culturali, l’ex democristiano Franceschini, che iniste sostenere l’azione anti-lavoratori e anti-sindacale del sovrintendente Carlo Fuortes, perchè “al Teatro dell’Opera di Roma serviva una svolta, un cambiamento per diventare moderno e competitivo in Europa”.

Frasi fatte, prive di senso compiuto, pronunciate senza conoscere minimamente la materia di cui sta parlando. QUesto governo si sta dimostrando composto dalla feccia di questo paese: senza cultura, senza pudore, servile e tronfia.

Per fortuna quell’applauso (saranno stati tutti “melomani comunisti”?) ci fa intravedere un corpo sociale meno appiattito di come viene dipinto.

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