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Lavanderia Facchini di San Benedetto: licenziamenti, false cooperative e sfruttamento

Nelle scorse settimane abbiamo incontrato alcune delle lavoratrici e dei lavoratori delle Lavanderie Facchini di San Benedetto Po. Il 15 ottobre, senza nessun preavviso, i dipendenti sono stati avvisati a voce dello spegnimento degli impianti e della cessazione dell’attività. 55 persone in tutto, in maggioranza assoluta donne, sono rimaste senza lavoro per la decisione aziendale di mantenere solamente l’ufficio commerciale e di spostare tutta la produzione in altri stabilimenti della società. L’azienda tuttora non ha avviato né le procedure di cassa integrazione, né quelle relative al licenziamento collettivo per accedere agli ammortizzatori sociali, lasciando di fatto senza alcun tipo di reddito le ex dipendenti.

Nell’ultimo anno e mezzo lo stipendio percepito aveva però già subito una significativa decurtazione (circa il 40%) a causa dell’utilizzo del sistema delle false cooperative gestite direttamente dalla proprietà, espediente tramite il quale è più facile ricattare i lavoratori: o i diritti o (un più magro) stipendio; se non ti adegui sei fuori.

I grossi problemi infatti sono iniziati con il cambio di proprietà dalla gestione “locale” ad un colosso dei servizi alberghieri che sul proprio sito non nasconde che l’industria dell’ospitalità è un contesto altamente competitivo e che ha fatto capire fin da subito chi doveva pagarne il prezzo: i lavoratori.

Con i nuovi contratti delle false cooperative sono scomparsi con un colpo di spugna tutti gli scatti di anzianità accumulati anche in oltre trent’anni di lavoro. Forti sono anche le critiche ad un sindacato che ha smesso di fare il proprio lavoro per parlare prima col padrone e poi con i lavoratori. La contrattazione all’interno dell’azienda era infatti bloccata dall’obbiettivo di mantenere un posto di lavoro ad ogni costo, una situazione che ha portato i lavoratori a vedersi applicare in busta paga, senza alcun preavviso, addirittura le condizioni del contratto UnciConfsal, giudicato lesivo della dignità del lavoratore anche dai consorzi delle cooperative e per il quale ne viene da più parti auspicata l’abolizione.

Il quadro che ne esce è una condizione lavorativa pesante per lavoratori e lavoratrici, creata in breve tempo da una strategia aziendale volta al massimo profitto. Una situazione che è ancora più dura se rapportata al territorio, dove la Lavanderia Facchini era ormai considerata un’azienda storica e un’importante fonte di impiego per molte giovani donne dei paesi limitrofi.

Un’ultima menzione merita l’opaco metodo di convocazione delle false cooperative gestite dall’azienda che per statuto sarebbero tenute a ricollocare i propri lavoratori iscritti disoccupati: come risulta dalle date riportate sulle raccomandate, queste cooperative avrebbero spedito le buste di convocazione il giorno stesso in cui chiedevano la presenza delle lavoratrici a Milano per il ricollocamento. Un comportamento che se non direttamente illegale, ha tutte le caratteristiche di una presa in giro. Ciò dimostra ancora una volta come le aziende non abbiano di certo bisogno di ulteriori strumenti per trattare i lavoratori come semplici ingranaggi da spremere finché servono e da eliminare al momento opportuno.

La vicenda della Lavanderia Facchini non si è ancora conclusa, per questo continueremo a seguirla ed approfondirla.

Un torto fatto a uno è un torto fatto a tutti. Anche a San Benedetto Po.

da https://equalmn.wordpress.com

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