“Bruciati” per troppo lavoro o per il clima di concorrenza individuale che ormai regna nei posti di lavoro: il burnout non è solo fatica, stanchezza o depressione “residuale”. Insomma, il lavoro uccide anche quando ti lascia “respirare” ancora. I numeri di una ricerca internazionale i cui risultati sono stati resi noti la scorsa settimana nel corso di un convegno della fondazione Rodolfo Debenedetti, completamente ignorato dalla stampa (escluso il caso del “Sole 24 ore”) parlano chiaro.
Lo studio ha costruiro una correlazione diretta tra aumento della concorrenza internazionale e tasso di mortalità tra i lavoratori del settore manifatturiero. I risultati sono sorprendenti e mettono in evidenza che se da una parte aumenta di un miliardo di dollari il fatturato delle importazioni in Italia o negli Stati Uniti dei prodotti cinesi, dall’altro la mortalità tra i lavoratori della filiera di prodotti di “bassa qualità” subisce un incremento del 7% (campione di 500mila persone), in Italia, e del 2% (campione di 130mila persone) negli Usa. Secondo i due studiosi Adda e Fawaz, le cause di morte sono le più varie: aumento dei suicidi, dei casi di cirrosi epatica e delle patologie respiratorie. Veneto, Lombardia e Piemonte sono le regioni più interessate dal fenomeno.
Secondo altre fonti, il “burnout” colpisce in Europa il 22% di chi ha un impiego. E ora la Francia ha intenzione di varare una normativa che tutela chi ne è vittima. In due ospedali romani su 242 infermieri il 38% ha manifestato sintomi di esaurimento: ma a rischio ci sono anche gli insegnanti.
Che la “sindrome” derivi dal comando sul lavoro, dalla concorrenza e dallo stress di non sentirsi all’altezza nell’ambito del lavoro dipendente, lo dimonstra un rapporto congiunto dell’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) e della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound).
Secondo gli esperti, la fonte principale di stress sul lavoro non è tanto l’intensità delle proprie mansioni quanto la mancanza di autonomia nell’organizzare la propria attività. Ecco che i Paesi scandinavi e i Paesi Bassi, dove i lavoratori godono mediamente di una maggior autonomia, registrano meno casi di stress lavorativo, che, nei casi più estremi, può condurre “burnout”, ovvero “ad una manifestazione patologica, anche di grave entità, dovuta da condizioni lavorative sfavorevoli”.
Julia Flintrop della EU-OSHA, spiega che “lo stress da lavoro nasce soprattutto in situazioni in cui le pretese dei datori di lavoro eccedono le reali capacità dei lavoratori” e pertanto “una maggior autonomia organizzativa può prevenire eventuali conseguenze psicologiche”.
da http://www.controlacrisi.org/
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