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Fincantieri di Palermo. Se vuoi lavorare, giura che non sciopererai

Pare proprio che nell’Italia renziana ai tradizionali dieci, si stia aggiungendo un undicesimo comandamento: non scioperare. Ogni giorno ce n’è una nuova. Una volta viene detto ai lavoratori dei trasporti, da quelli dell’ATAC di Roma a quelli dell’ATM di Milano, un’altra a quelli dei maggiori siti culturali della penisola, colpevoli di riunirsi in assemblea sindacale, da quelli degli scavi di Pompei a quelli del Colosseo. Stavolta è il turno degli operai Fincantieri di Palermo…

 

La direzione aziendale, infatti, ha chiesto, dapprima alle RSU e poi a tutti i lavoratori di sottoscrivere una dichiarazione in cui si impegnano a garantire che “il completamento del progetto non sarà ritardato da azioni industriali da parte dei lavoratori”. Il progetto cui si fa riferimento è una commessa per la quale l’armatore ha richiesto che i lavori non subiscano ritardi. Una commessa piccola, che prevede approssimativamente 50 giorni di lavoro per una cinquantina di operai, sui 1000 che conta il cantiere. E così, Fincantieri chiede, in maniera pubblica e palese, ciò che in tanti altri posti di lavoro è una condizione imposta in termini non scritti: non scioperare.

 

Gli operai dovrebbero rinunciare a quello che non solo è un diritto garantito dalla Costituzione italiana stessa, ma soprattutto una potente arma nelle loro mani per far tornare i dirigenti a più miti consigli. L’efficacia di quest’arma, che in troppi negli ultimi anni si sono sforzati di decretare “spuntata” se non addirittura “inutile”, è dimostrata dalla paura stessa di Fincantieri che i lavoratori possano incrociare le braccia, tanto da volersi premunire raccogliendo l’impegno per iscritto degli operai a rinunciarvi.

Per di più, come sottolinea la FIOM in un suo comunicato, questa “proposta” aziendale arriva in un cantiere che non si può dire versi in uno stato florido. Poche commesse e paura continua dei lavoratori di poter perdere il posto, anche a causa del pesante ricorso alla cassa integrazione. In una città come Palermo che non si distingue certo per il basso tasso di disoccupazione. In questo contesto la “proposta” aziendale rischia di assumere i tratti di un “ricatto”: o il diritto allo sciopero o il lavoro. Un aut-aut irricevibile, ma davanti al quale non bastano l’indignazione e le parole. Servono organizzazione ed una strategia di lotta volta a rimandare al mittente l’attacco al diritto alla protesta. Una strategia che non può rimanere relegata ai confini del cantiere, perché quello di Fincantieri è solo l’ultimo atto di un’opera in cui aziende private, aziende pubbliche e governo agiscono all’unisono. E chissà che a qualcuno non venga in mente di inserire anche la cantieristica navale tra i servizi pubblici essenziali, così come già accaduto per i “beni culturali”…

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