Lettera aperta a Gianantonio Stella in risposta all’articolo “Cassaintegrazione extralusso per Piloti e Hostess” apparso sul Corriere della Sera il 24 dicembre 2015
Gentile Dott. Stella,
La vigilia di Natale i Piloti e gli Assistenti di Volo hanno trovato sotto l’albero un suo nuovo articolo di forte denuncia contro il trattamento di evidente vantaggio delle cassaintegrazioni e mobilità percepite, alimentate da una tassa sui biglietti aerei a carico della collettività, appena rinnovata nella legge di stabilità seppur con aliquota ridotta rispetto agli anni passati.
Dato che ho dovuto usufruire di questo trattamento per anni, posso essere d’accordo nel ritenermi fortunato rispetto ad altri lavoratori, ma c’è qualcosa che non torna proprio nel suo ragionamento.
Per prima cosa, devo segnalarle che c’è un grossolano errore nel suo articolo perché il trattamento integrativo, da lei definito come “extralusso”, non è riservato solo a quei privilegiati dei Piloti e degli Assistenti di Volo, ma a tutto il personale del trasporto aereo: dallo staff agli impiegati di scalo, dagli operai, ai tecnici specializzati e i manutentori aeronautici. Tutte insieme formano quelle circa 12.000 (dodicimila) persone che sono state obbligate a usufruire degli ammortizzatori sociali perché licenziati o perché coinvolti in pesanti ristrutturazioni aziendali, praticamente quasi un lavoratore su cinque.
Oltre ad aspettare la doverosa rettifica da parte sua, mi auguro che questa dimensione faccia comprendere la portata e la trasversalità del fenomeno che ha impattato su tutto il personale del settore e non solo su una categoria disegnata – da lei – come privilegiata.
In seconda battuta, dare in pasto alla pubblica opinione questi lavoratori come se fossero una casta che si fa le vacanze a spese del povero contribuente è qualcosa che non solo è molto lontano dalla realtà delle cose, ma è un’offesa a una storia dolorosa che merita maggiore attenzione se non rispetto.
Qui stiamo parlando di gente che nel 99% dei casi non ha avuto scelta, lavoratori che hanno perso il proprio posto di lavoro o lo stanno difendendo tra mille difficoltà, professionalità elevate “gettate nel cesso”, vittime sacrificali di un sistema complessivo che ha prodotto danni enormi per loro e per tutto il paese.
Da una parte, i governi che si sono succeduti hanno abdicato da almeno 15 anni ad avere un propria politica di sistema di un presidio strategico per un Paese come il nostro, lasciando spazio alla più sfrenata liberalizzazione del mercato e omettendo persino di imporre regole uguali per tutti gli operatori. Non sappiamo se è stata una vera e propria scelta piuttosto che una resa; fatto sta che altri paesi europei si sono visti bene dall’aprire il loro mercato in questo modo così ampio e sregolato (siamo arrivati ad avere il 70% del mercato controllato da interessi al di fuori dei nostri confini). Basta dare uno sguardo a cosa sta accadendo in queste settimane all’aeroporto di Cagliari con RyanAir per capire bene cosa sto dicendo.
Il risultato finale è che il personale delle compagnie aeree e degli aeroporti di questi paesi, pur non passandosela benissimo, lavora, mentre quello delle aziende italiane, uno su cinque, non più.
Dall’altra parte, ci troviamo davanti la miseria industriale del settore composta da manager e da imprenditori che, risparmiandoci aggettivazioni assai più crude, possiamo solo dire che non sono stati minimamente all’altezza della situazione.
Come potrei definire altrimenti la sequela di piani industriali disastrosi basati spesso sulla logica perdente dell’abbattimento dei costi piuttosto che l’aumento dei ricavi; oppure gli appalti e la cessione di attività a terzi, comprese aziende controllate o addirittura compagnie straniere, mentre si metteva i propri dipendenti in cassaintegrazione e mobilità; per non parlare dei fallimenti di compagnie e aziende uno dietro l’altro, compreso di quelle in cui il costo del lavoro era quasi il più basso di Europa.
Queste non solo questioni di cattiva gestione aziendale, ma è roba su cui sono in corso indagini da parte di diverse Procure mentre è arrivata a settembre la sentenza di condanna in primo grado degli amministratori delegati di Alitalia per dissipazione del patrimonio aziendale a quasi 10 anni di distanza dai fatti.
Quindi, a mio modesto avviso, denunciare scandalizzati come sono trattati questi lavoratori omettendo di spiegare i motivi per i quali si è arrivati a questa situazione suona come il dottore che misura la febbre senza accorgersi della polmonite che corrode l’organismo del paziente.
Il vero scandalo non è quanto prende un pilota o un impiegato o un tecnico quando viene messo in cassaintegrazione o in mobilità, piuttosto per quale oscuro motivo, proprio in virtù del costo economico a carico della collettività che lei denuncia in modo così vigoroso, non si sia impedito che ciò accadesse. Anzi, come tutto questo faccia apparire questa situazione come una precisa quanto nefasta scelta strategica per tamponare – se non per agevolare – gli effetti della decisione di non decidere. Anche perché, tuttora, non si fa praticamente nulla per recuperare al proprio lavoro queste persone nel più breve tempo possibile in un settore che non ha mai conosciuto una vera e propria crisi di produzione e che cresce a botte del 6% negli ultimi due anni.
Se cercava uno scandalo per allietare il Natale dei propri affezionati lettori, questo avrebbe avuto uno spessore davvero maggiore anche se andava a disturbare quei manovratori finora lasciati indisturbati.
Eppure tutto quanto sopra è stato ripetutamente denunciato agli organi di stampa negli ultimi anni ed è stata persino inviata la quinta richiesta d’intervento su questo situazione a tutte le istituzioni del Paese.
Perché nessuno dei piloti o degli assistenti di volo gode di vitalizi dorati; da pochi mesi già migliaia di licenziati da Alitalia Lai hanno perso non solo il lavoro ma anche qualsiasi tipo di reddito.
La speranza è sempre l’ultima a morire, ma sappiamo che una opera di questo genere è assai più impegnativa che la semplice caccia al privilegiato.
Per ultimo una considerazione rispetto agli utenti del trasporto aereo che sono i destinatari della sua denuncia.
La tassa dei 2,50 a biglietto (3,00 fino al 31 dicembre) vale molto meno della diminuzione delle tariffe permessa dalla liberalizzazione selvaggia, dalla precarizzazione imperante del lavoro nel settore, dai licenziamenti massicci di personale spesso colpevole di essere solo più anziano e tutelato, pertanto come utenti non hanno molto di cui lamentarsi:
Come cittadini, invece, si dovrebbero chiedere se questo disastro porterà loro e il paese in cui vivono da qualche parte. Ma questa è un’altra storia.
Concludo invitandola un confronto aperto sullo stato del settore e sulle richieste di invertire la rotta, sul bisogno di ricollocare le persone al lavoro e interrompere il ciclo vizioso delle espulsioni.
Proprio perché tutto questo non accada mai più; seppur con visioni diverse, su questo tema potremmo trovarci d’accordo.
28 dicembre 2015
Francesco Staccioli
Disoccupato Alitalia e sindacalista USB
Mail: f.staccioli@usb.it
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