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Gomma Plastica. “Il contratto va respinto, modificato, ridiscusso”

In questi giorni e entro il 30 settembre, nelle aziende italiane oltre 50.000 lavoratori sono chiamati ad approvare o respingere la nuova proposta di contratto nazionale Confapi nel settore Gomma e Plastica. Una trattativa iniziata a novembre 2015, che nei fatti non è mai decollata e che ha visto poi una quantomeno strana ed improvvisa chiusura proprio gli ultimi giorni di lavoro di luglio 2016.

Schierati nella trattativa i tre sindacati confederali che in nome della loro unità hanno mediato il rapporto con le controparti lasciando ancora una volta su tavolo della trattativa, briciole di diritti pesanti come macigni. A fronte poi, come ormai da tempo è avvenuto con i contratti delle altre categorie, di una miserrima offerta economica.

Proprio a partire da questa, per esempio, non è prevista nessuna quota per i sette mesi di “vacanza contrattuale”. Motivazione edotta da Confapi, dalla “pari e patta” con la loro necessità di recuperare dai lavoratori, i 70€ calcolati come differenza già erogata nei tre anni precedenti, a fronte di un tasso d'inflazione stimato ma, causa la crisi, mai raggiunto. Ma allora cosa hanno previsto per i prossimi tre anni? Un aumento di €.75 lordi al V livello (inquadramento medio alto) in tranche così suddivise: 30€ al 31/01/17; 30€ al 31/01/18 e 15€ al 31/10/18. Peccato però che l'unica quota certa che i lavoratori percepiranno in busta, sarà solo la prima perché le altre due, anche questa volta, sono state vincolate al tasso d’inflazione stimato al 2,5%. In pratica solo a giugno di ogni anno i lavoratori sapranno la quota reale del successivo aumento che, dato lo stato di crisi esistente, sarà difficilmente raggiungibile. In questo contratto poi, non sono stati dimenticate le nuove generazioni e i nuovi assunti a cui sarà sottratto l’indennizzo mensile di Cottimo (€7/mese) mentre per quelli già in forza, tale quota verrà riassorbita con i prossimi aumenti.

Sorpresa anche per gli apprendisti dei “livelli bassi” a cui sono stati aumentati i mesi di apprendistato (da 20 mesi a 36) e sempre nel campo campo occupazionale, è stata aumentata la possibilità di assumere lavoratori a tempo parziale o precario dal 15% al 25% sul totale in forza presso l’azienda. Percentuale ampiamente superabile per le piccole aziende (sotto i 10 dipendenti) che possono assumere sino a 50% dei lavoratori precari.

Dal momento che non erano già a sufficienza i contratti da schiavo proposti e protetti dal Jobs Act, si è pensato di “migliorare”, per fornire ulteriore flessibilità alle aziende, la gestione dei lavoratori a tempo parziale (par-time). Ovvero al datore di lavoro è concesso di andare in deroga all’orario pattuito comunicandolo al lavoratore solo 5 giorni prima (erano 7) e gli è concessa la possibilità di inserire clausole diverse dalla semplice riduzione d'orario. E’ vero che le clausole di favore possono essere momentaneamente sospese da entrambe le parti ma se il lavoratore si rifiuta a tale spostamento, per esempio se è costretto ad andare a lavorare con vaucher da un altro padrone per poter mangiare sino a fine mese, deve giustificarsi presentando specifica documentazione. Alla faccia della legge sulla privacy. Inoltre, la variazione dell’orario concordato sarà retribuito con +10% mentre nel precedente contratto era al 20%.

Dato che gli imprenditori erano tanto interessati al nostro tempo libero hanno pensato bene di rivolgersi poi alla questione ferie, spinoso argomento da anni attaccato. E cosa hanno ottenuto? L'aumento, per impiegati e operai, di 1 anno di attesa per la maturazione della settimana in più di ferie da utilizzare. In pratica, con effetto immediato, gli impiegati e gli operai, dovranno attendere rispettivamente 11 anni e 19 anni di azienda, invece di 10 e 18, per ottenerla usufruire.

Un sospiro di sollievo si poteva sperare quando si è sbandierata come una vittoria la possibilità dell'esigibilità del contratto. Ovvero la precedenza del posto di lavoro ai licenziati «a termine» se viene assunto un altra persona a pari livello o mansione. Peccato però che questo può avvenire solo se vengono superati i 36 mesi con medesime mansioni negli ultimi 5 anni.

Ci sono anche alcuni punti favorevoli come l'aumento di 1€/ora del lavoro notturno e un altro aumento del FONDAPI (fondo integrativo pensionistico) dello 0,2% a favore di solo i lavoratori iscritti (0,10 datore dal 1/1/17 e + 0,10% dal 1/1/18 se + 0,10% del lavoratore). Operazione questa che insieme al futuro SANAPI (fondo sanitario di categoria previsto teoricamente per il 2019) contribuisce al progressivo smantellamento futuro di pensioni e sanità pubbliche.

Altra curiosa questione è quella dell'aver aggiunto un ulteriore permesso di 1 giorno per la nascita del figlio (così totale sarebbero 3:1 di legge +1 ROL +1 aggiunto) ma, di contro, sarà usufruibile solo se si ha consumato tutti i permessi. Praticamente impossibile da utilizzare perché tutti i papà o mamme sanno e hanno nove mesi di tempo, per organizzarsi e risparmiare i giorni di ferie o permessi proprio in previsione del loro futuro nascituro.

Questi sono solo alcuni degli aspetti principali della discordia con cui si stanno preparando a votare contro alcune aziende del paese. E speriamo lo facciano in molti. Come del resto hanno fatto aziende come l'ARAG di Rubiera (Reggio Emilia) con 280 dipendenti dove il 77% si è espresso contrario a tale accordo. Un voto reso pubblico nonostante la presenza del dirigente nazionale FILTCEM Sonia Pauloni, il segretario Provinciale Reggio Emilia  FILTCEM Vittorio Venezia e il funzionario di zona Daniele Belli.

Il problema reale è che questa impostazione contrattuale da troppo tempo, non tutela il potere salariale dei lavoratori e delle giovani generazioni a cui non è permesso non solo avere una retribuzione decente e consona a garantire un futuro ai propri figli ma la possibilità di poter vivere la propria esistenza libera dal dominio della produttività e delle compatibilità aziendali. Così non è più possibile andare avanti. Va rilanciata una nuova fase contrattuale nazionale che non veda le organizzazioni sindacali confederali in passività rispetto le proposte avanzate e spesso sostenute anche da questo governo, ma sia realmente rivendicativa. E' ora di cominciare, pena la sopravvivenza stessa del sindacato e del ruolo sociale e democratico che da tempo ha scordato.

* Delegato Rsu dell’Arag ·        

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