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#8m. Attacco al diritto di sciopero e alle donne in lotta

#8m: quando l’attacco al diritto di sciopero passa dall’attacco alle donne in lotta e porta la firma dei sindacati confederali sulle pagine del Corriere della Sera. Narrazione tossica e tracotanza per mettere la museruola a chi lotta.

Uno sciopero globale femminista proclamato in oltre 70 Paesi nel modo, che ha messo al centro la violenza come fenomeno strutturale dentro e fuori i luoghi di lavoro, che ha portato nelle piazze centinaia di migliaia di donne. Uno sciopero in direzione ostinata e contraria, in un contesto di norme liberticide e repressive nei posti di lavoro, proclamato per dare copertura sindacale e appoggio alle iniziative e alle rivendicazioni della rete internazionale Non una di meno.

Uno sciopero per denunciare il dato spaventoso delle molestie e dei ricatti sessuali sul lavoro: sono un milione 404 mila le donne che nel corso della loro vita lavorativa hanno subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro; sono un milione 173 mila (il 7,5%) le donne che nel corso della loro vita lavorativa sono state sottoposte a qualche tipo di ricatto sessuale per ottenere un lavoro o per mantenerlo o per ottenere progressioni nella loro carriera.

Uno sciopero per rivendicare la congiunzione imprescindibile tra i diritti civili che nutrono la libertà di autodeterminazione delle donne e i diritti sociali in cui la libertà trova espressione concreta: contro la violenza maschile sulle donne, contro la mancanza di finanziamenti e riconoscimento dei Centri Antiviolenza, contro la chiusura degli spazi delle donne, contro l’obiezione di coscienza nei servizi sanitari pubblici; per il diritto ad un welfare universale, al reddito di autodeterminazione, alla casa, al lavoro, alla parità salariale, all’educazione scolastica, a misure di sostegno per la fuoriuscita dalla violenza, per denunciare il dato spaventoso delle molestie e dei ricatti sessuali sul lavoro.

Uno sciopero, proclamato dentro un sistema produttivo che precarizza, marginalizza, demansiona e crea uno stato di ricattabilità permanente, in tutt*, ma nelle donne in particolare, il cui lavoro domestico continua a essere lontano da un effettico riconoscimento.

Uno sciopero non solo della produzione ma sociale e politico.

Ragioni incontrovertibili, messe in piedi da Non una di Meno dopo decine di assemblee territoriali e nazionali. Ragioni poi trasfuse in un documento di proclamazione dello sciopero generale da parte di alcuni sindacati di base, tra cui il mio, a fianco da sempre con le donne in lotta e da subito parte attiva dentro Non una di meno. E poi. E poi arriva l’ombelico del mondo, italiano, milanese nello specifico.

L’operazione di depotenziamento e narrazione tossica inizia il giorno prima dello sciopero lotto marzo, quando qualche giornalista inizia a creare la contrapposizione tra scioperanti e resto del mondo puntando tutto sul paternalismo verso chi non riuscirà a muoversi.

La contrapposizione avviene con una immediata distorsione: scompare lo sciopero generale e si parla solo di sciopero dei trasporti. Già giorni prima de lotto marzo, prima ancora che iniziasse lo sciopero sono annunci di disagio, città in tilt, commenti sui social di persone fomentate contro la scelta dello sciopero.

Ancora una volta si usa la tecnica del divide et impera per mettere in contrapposizione chi sciopera e scende in piazza con il resto del mondo. Si fanno le gerarchie morali tra chi deve andare a lavorare e chi alza la testa. Come se anche noi non fossimo lavoratrici, precarie, disoccupate, in corsa tra la spesa e il bambino da prendere all’asilo. Come se i nostri fossero capricci da radical chic.

Divide et impera per contrapposizione. Si ricalca il meccanismo della contrapposizione tra categorie, nello specifico tra persone, cittadine e scioperanti, quel meccanismo di lavaggio del cervello per il quale l’esercizio del diritto di qualcuno è il freno al diritto di qualcun altro, in una fisica dei vasi comunicanti al ribasso.

Chi lo decide il conflitto necessitato e il conflitto immeritevole? Chi lo decide che la violenza fisica, psicologica, economica, istituzionale, mediatica contro le donne non valga la pena di una giornata dove tutto si ferma?

Poco importa che Non Una di meno abbia redatto un piano femminista in un enorme laboratorio di scrittura collettiva, spiegato le ragioni dello sciopero in un appello dove già metteva in guardia sulle norme liberticide in Italia (quella sulla franchigia elettorale e non solo) rivendicato lo sciopero come strumento da mettere in pratica e la natura solidaristica della sua azione. Nulla.

Il giorno prima dello sciopero si fomenta la gente agitando rischi per la circolazione, il giorno dopo si scopre che i mezzi di trasporto vanno e si ridimensiona il tutto.

In Sicilia diciamo: fanu manichi e quattara.

Il giorno dopo ancora, oggi 10 marzo, succede una cosa gravissima. Prendendo come spunto il cosiddetto effetto annuncio, dalle pagine del Corriere della Sera, giornale reso edotto della differenza sostanziale tra sciopero generale e sciopero dei trasporti da due telefonate e pure per iscritto, si lancia un attacco frontale al mio sindacato, la USB per aver indetto e udite udite! comunicato lo sciopero.

Lo fa tramite le dichiarazioni tronfie dei sindacati confederali e la radiografia dei numeri degli iscritti. Leggere qua per credere. http://milano.corriere.it/

Un attacco frontale che colpisce il sindacato come capro espiatorio, che invisibilizza del tutto sia il soggetto collettivo, Non una di meno, che le ragioni dello sciopero, che tramuta un diritto in capo alle lavoratrici e ai lavoratori in un diritto di un sindacato azionabile solo tramite le sue iscritte e i suoi iscritti ( sulla falsa riga dei boicottaggi e dei procedimenti disciplinari gia messi in pratica lo scorso anno), che banalizza la scelta di sostenere i movimenti, che punta a dividere il fronte delle donne, che toh, vedi un po’ mira a qualche filtro sullo sciopero (!) e a circoscrivere il diritto di sciopero tagliando fuori i sindacati disubbidienti.

Tutto questo accade, ma sarà una coincidenza per carità, il giorno dopo in cui CGIl CISL E UIL firmano con Confindustria un accordo programma per la riduzione dei salari impedendo di chiedere aumenti nei contratti nazionali e legando rigidamente quelli aziendali ai massimi profitti dell’impresa.

Tutto ciò consente, ma sarà un caso per carità, ad Arrigo Giana, direttore generale di Atm, di entrare dentro le norme sulla regolamentazione del diritto di sciopero, non in veste di dg di Atm, ma da neopresidente dell’Agenzia confederale dei trasporti e servizi che rappresenta gli interessi del settore nel sistema di Confindustria e oltre ad Atm associa Fs, Trenord, Cotral, Atac e altre aziende dei trasporti.

http://milano.corriere.it/

L’attacco al diritto di sciopero oggi avviene direttamente dai sindacati, genuflessi ai potentati politici ed industriali, firmatari di accordi al ribasso e in pieno smantellamento di Stato Sociale tramite la partita della previdenza complementare integrativa entrata nero su bianco nei peggiori contratti collettivi firmati nella Storia della Repubblica.

L’attacco fatto alla USB è un attacco a tutte le donne in lotta, è un attacco al diritto di sciopero, è un attacco chi alza la testa e si organizza per rivendicare diritti. Pur di mettere la museruola a chi disubbidisce si passa sopra qualsiasi cosa: pure il corpo delle donne e la loro marea in movimento.

Foto di Patrizia Cortellessa

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Il disagio provocato dall’annuncio dello sciopero dei mezzi ha innescato polemiche che CISL e UIL hanno utilizzato per attaccare i sindacati di base che l’hanno proclamato (Unione Sindacale Di Base, Usi Unione Sindacale Italiana, Slai Cobas Sial Cobas, CUB).

Non una di meno Milano esprime solidarietà a questi sindacati che, proclamando lo sciopero, hanno permesso alle lavoratrici e ai lavoratori – comprese quelle e quelli dei trasporti – di partecipare allo sciopero politico.

I sindacati che hanno indetto lo sciopero dell’8 marzo lo hanno fatto in accordo con la decisione dell’assemblea nazionale della rete NON UNA DI MENO, rete alla quale partecipano e che coinvolge decine di migliaia di donne.

E in decine di migliaia in Italia – milioni nel mondo – l’8 marzo siamo scese in piazza, per denunciare il gap salariale, l’esclusione dal mercato del lavoro quando desideriamo diventare madri, il carico di lavoro di cura non retribuito, le molestie sul lavoro. Abbiamo scioperato per reagire alla violenza economica, allo sfruttamento e alla precarietà. Rivendichiamo la scelta di questo strumento perché i diritti delle donne hanno pari dignità di tutte le altre lotte rivendicate attraverso lo sciopero.

Donne non viste e non ascoltate da dirigenti sindacali come Danilo Margaritella, segretario generale della UIL Milano e Lombardia, che mentre sottolinea la scarsa rappresentanza di Usb nel settore dei trasporti, dimentica che per scioperare non è necessario essere iscritte/i al sindacato che ha indetto lo sciopero.

A questi rappresentanti chiediamo perché, invece di attaccare i sindacati che hanno indetto lo sciopero, non si mettano a fare il loro lavoro: difendere le lavoratrici e i lavoratori. Forse allora potremmo vedere quello che è accaduto in Spagna, con cinque milioni di persone a scioperare. Un risultato che, probabilmente, questi sindacati temono di raggiungere.

 

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