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La sfida dei pastori, tra nuove forme di lotta e prospettive di movimento

Fuori dall’impressionismo senza spiegazioni dei tg, uno sguardo “da dentro” il mondo e l’economia sarda. Due articoli da https://lafuriarossa.noblogs.org

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Ieri ad Abbasanta, durante la protesta spontanea dei pastori contro il basso prezzo del latte, c’era un’assenza molto evidente. Mancavano le bandiere blu e gialle che, negli anni scorsi, hanno caratterizzato tutti i momenti di mobilitazione degli allevatori: quelle del Movimento Pastori Sardi.

Non stiamo parlando di un’associazione di categoria di quelle che fa sempre il lavoro del pompiere, stiamo parlando di un gruppo che negli anni scorsi ha messo in campo una capacità di mobilitazione che talvolta è stata davvero impressionante. Ieri però l’MPS non c’era, la manifestazione che ha bloccato per ore la statale 131 all’altezza di Abbasanta è nata da una convocazione sviluppatasi sugli smartphone dei pastori nel tardo pomeriggio.  

Al di là del significato di questa assenza, non si può negare che questo sia il dato politico più rilevante: ieri in Sardegna abbiamo avuto un assaggio diretto di cosa possano essere le mobilitazioni del XXI secolo. Sorprendenti – perché nessuno se l’aspettava, tantomeno le forze di polizia che in altre occasioni, quando cioè l’MPS minacciava i blocchi stradali, si facevano sempre trovare pronte – diffuse e spesso difficili da controllare per le organizzazioni tradizionali.

Su quei pastori rischia di calare la scure di una repressione giudiziaria e poliziesca che si è rafforzata con i provvedimenti di questo autunno targati Salvini. Questo ci permette di segnare un piccolo promemoria: la Lega è nemica dei sardi e del cambiamento della nostra isola in meglio. Ma ci costringe anche a fare una riflessione: dobbiamo fare di tutto perché la vicenda dei pastori non sia trattata come una semplice questione di ordine pubblico. Si tratta di una questione intrinsecamente politica, ma lo Stato italiano e i suoi servi isolani proveranno ad affrontarla con il codice penale.

No. Non possiamo permetterlo. Altro che dispiacere per il latte versato, qua rischiamo di trovare persone con la vita rovinata da processi: persone che lottano per vedere riconosciuto un diritto fondamentale e assoluto, veder pagato il proprio lavoro a un prezzo degno.

Come fare? La questione è la stessa di quando sfrattano gli occupanti da una casa o denunciano i lavoratori che fanno un picchetto o i cittadini che occupano un terreno per impedire una speculazione: bisogna politicizzarla. A nessun altro, se non ai pastori, spetta la parola su come portare avanti la lotta per un prezzo giusto del latte. Ma a tutti spetta la parola su come difenderli dall’attacco che fra poco arriverà, perché il loro problema è solo un aspetto di una grande questione più generale.

La questione è che la Sardegna è schiacciata da due enormi macigni: il rapporto coloniale con l’Italia e il capitalismo. Mentre in Europa crescono movimenti che mettono in discussione sia gli stati nazionali ottocenteschi che il capitalismo, qua siamo ancora al palo. In realtà qualcosa si muove, soprattutto sul piano culturale, ma i tempi rischiano di essere davvero stretti. Non è allarmismo: i dati macroeconomici e gli sviluppi della politica europea ed internazionale fanno temere una grossa crisi – politica in primo luogo – in tempi non troppo lunghi e noi rischiamo di essere impreparati.

Quindi ci sono due piani da prendere in considerazione per quanto riguarda le ultime mobilitazioni dei pastori sardi: il primo è quello della lotta dei lavoratori, che nessuno si deve permettere di sovradeterminare. Certo, la si può criticare quando lo si ritiene opportuno e la si deve sostenere, ma il principio deve essere che il modo in cui portare avanti la loro lotta lo decidono i pastori.

L’altro piano è quello che ci interessa di più: se consideriamo la società come un campo attraversato da un’infinità di fratture, ogni volta che una si accentua, anche le altre diventano più sensibili. In parole povere, se la protesta dei pastori dovesse allargarsi e svilupparsi nei prossimi giorni, si aprirebbero degli spazi paralleli perché anche altre contraddizioni della società sarda vengano portate vicine al punto di rottura. Attenzione, sia chiaro che nessuno si augura che la questione del prezzo del latte non si risolva, così da alimentare la rabbia dei pastori: si deve risolvere immediatamente. Ma qualsiasi soluzione immediata sarà emergenziale, l’unica risposta strutturale è la duplice liberazione della Sardegna dalle catene coloniali e da quelle del capitalismo.

Ora, c’è un punto interrogativo enorme con cui dobbiamo fare i conti: la capacità di mobilitazione generale dei movimenti sociali sardi. Occupazione militare, contrazione del diritto alla salute, speculazioni energetiche, disoccupazione: le fratture ci sono, questo è fuori discussione, ma siamo in grado di allargarle?

La risposta non si può dare su due piedi, forse è un po’ come nel ciclismo, dove il corridore capisce la sua condizione fisica solo dopo che prova a forzare un po’ il proprio organismo.

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La lunga mano della lega sulla lotta dei pastori

I tumulti nel mondo della pastorizia sarda si intrecceranno inevitabilmente con le ultime settimane di campagna elettorale per la Regione e c’è un partito che ha una carta pesante da giocare: la Lega che controlla il ministero dell’Agricoltura. Ieri il ministro Centinaio lo ha annunciato: «A giorni sarò in Sardegna» e fin qui nulla di strano, il ministro dell’Agricoltura in carica non può far finta che non stia succedendo nulla. Probabilmente però Centinaio arriverà sbandierando la soluzione definitiva all’ormai decennale problema del prezzo del latte ovino, e qua sorge il problema.

Chiunque conosca la situazione del settore ovino dell’isola, sa che il problema del latte pagato pochi spiccioli è strutturale e non può essere risolto in qualche giorno. Ciò che bisogna fare adesso è risolvere l’emergenza. Come? Non lo sappiamo ma permetteteci di dire, associandoci a molti altri, che contributi e sussidi non ci disgustano, considerando che lo stato paga ogni giorno milioni di euro in contributi e sussidi a qualsiasi tipo di industria. Sul piano strutturale, beh, noi la nostra la abbiamo detta: solo una Sardegna libera e non capitalista è in grado di garantire un trattamento dignitoso ai lavoratori, pastori compresi.

Tornando al discorso Lega, però, è inevitabile che una forza politica che ha compiuto un tale investimento sulla politica sarda punti alla strumentalizzazione di quello che sta accadendo questi giorni. Che la Lega sia al ministero dell’Agricoltura non è certo un caso: il settore agricolo nel Nord Italia muove fatturati da milioni e milioni di euro e, contestualmente, muove milioni di voti. Nel 2018 è poi arrivata la svolta di Coldiretti, la principale associazione di categoria degli agricoltori italiani, che, dopo aver sostenuto per qualche anno il Pd di Renzi – promuovendo il Sì al referendum costituzionale – è passata, armi e bagagli, nel campo di Salvini, che dal canto suo ha sposato le principali rivendicazioni dell’associazione di categoria giallo-verde (ah, i casi della vita!).

L’impressione che si ha da fuori, rispetto a quello che sta succedendo nel mondo dei pastori, è che c’è un forte rimescolamento delle carte, con il Movimento Pastori Sardi che è stato colto di sorpresa dalle esplosioni di rabbia degli ultimi giorni. Insomma, se c’è un movimento spontaneo di rabbia popolare, come sembrerebbe che stia succedendo nel mondo dei pastori, qualcuno cercherà sicuramente di sovradeterminarlo e questo è quello che, probabilmente, i settori più vicini alla Lega cercheranno di fare nei prossimi giorni.

L’MPS, che da settimane dice chiaro e forte che non appoggerà nessun partito, ha parato il colpo, con un bel comunicato in cui non prende le distanze da quanto successo nelle strade e chiama i pastori all’unità e alla lotta senza bandiere (e senza quartiere). La prossima settimana è molto probabile che si muoveranno altri pezzi nello scacchiere, e mosse pesanti potrebbero arrivare appunto dalla Lega – non da sola, ovviamente, ma supportata da alcune associazioni e settori all’interno del mondo pastorale -, con l’unico obiettivo di capitalizzare la protesta e raccogliere più voti possibili.

La Lega può proporre soluzioni strutturali? Impossibile. Non può perché lei deve fare determinati interessi, quelli che nascono nel Nord dove prende – ancora adesso, nonostante sia diventato un partito italiano – la maggior parte dei suoi voti e la maggior parte dei suoi soldi. È lo stesso discorso per cui è impossibile che la Lega faccia gli interessi dei sardi nell’ambito della Sanità: quanti soldi e quanti voti arrivano agli ex secessionisti padani dal mondo della sanità privata lombarda? Tantissimi. E figuratevi se, in una terra come la nostra, dove la sanità pubblica è stata devastata dalle politiche scellerate del centrosinistra, i big della sanità privata lombarda non sentono il profumo dei soldi!

Il rischio, insomma, è quello che le proteste di questi giorni vengano strumentalizzate e che il mondo dei pastori cada, per l’ennesima volta, nelle trappole elettorali dei partiti italiani e dei loro intermediari sardi. Solo il tempo potrà far capire se questo rischio si concretizzerà o se la lotta dei pastori avrà la maturità per restare libera da condizionamenti esterni e strumentalizzazioni. Cosa possiamo fare noi da fuori? Sostenere, solidarizzare, e, perché no?, provare ad aprire altri fronti.

 

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