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Diario di una lotta esemplare. Il caso della Prosus

La provincia di Cremona ha registrato in una sola settimana l’evento di tre contemporanei momenti di conflitto, nei quali è stato impegnato il Settore Logistica di Usb, tre casi che rappresentano una olografia della fase attuale dello scontro di classe in questo paese.

In ognuna delle distinte e differenti realtà, in ogni frammento, è possibile intravvedere un’immagine completa delle caratteristiche comuni di una particolare e rinnovata aggressività delle forme di sfruttamento da parte di una classe padronale scatenata, consapevole del fatto che leggi che governano il mercato del lavoro, dell’ordine pubblico unitamente all’indecente collaborazionismo delle altre sigle sindacali le consentono di andare all’attacco.

In un caso però, quello del macello Prosus di Vescovato, le condizioni esistenti hanno consentito di far valere rapporti di forza favorevoli ai lavoratori non concludendo, ma aprendo dinamicamente scenari interessanti.

In questo particolare teatro della lotta di classe emergono con evidenza fenomenica questi fattori:

  • lo sfruttamento, i ritmi, sono brutali e ormai insostenibili,

  • i lavoratori sono in larghissima parte migranti, maschi, sikh,

  • una parte consistente subisce gli effetti del sistema degli appalti in quanto dipendente di cooperative fasulle ed ha vissuto l’esperienza della sottrazione di stipendi, TFR ecc. nei vari cambi di gestione,

  • il ruolo di comando asfissiante di capi e capetti sta producendo un po’ in tutti i reparti una diffusa incazzatura.

In questo contesto 27 lavoratori interinali a tempo determinato non accettano che ad uno di loro non venga rinnovato il contratto e che il loro gruppo venga frammentato su una serie di cantieri diversi, organizzano un sciopero con USB e pertanto tutti vengono lasciati a casa.

Sono persone che hanno una storia lavorativa in questo impianto vecchia di parecchi anni, alcuni lavorano lì da 15, conoscono il mestiere, ma nonostante tutto ciò continuano a restare precari, precari a vita, appesi alla speranza del rinnovo ogni due/tre (a volte anche uno solo) mesi.

Sfidano l’agenzia interinale a riconfermarli al lavoro tutti o nessuno; il gruppo deve restare unito, perdono la sfida.

Nelle varie sedi di trattativa USB si è sentita dire che i 27 avevano sbagliato a non accettare le condizioni poste, che erano stati ingenui, che per uno solo non valeva la pena…

L’intransigenza dei 27 potrebbe essere bollata come ingenuità o mancanza di senso tattico – e sicuramente una quota di ciò è ravvisabile in quel comportamento – ma quello che ha colpito il sindacato è la pregnanza di due altri aspetti su cui ha costruito il percorso di lotta.

I 27 compagni punjabi applicano due paradigmi positivi: praticano la solidarietà per uno di loro, ragionano come comunità, piccola, limitata, ma comunità; non pensano come individui atomizzati, ma come un gruppo unitario.

A questo punto siamo noi, è USB, che gioca la carta della sfida, riusciremo a costruire un po’ di movimento attorno a loro e a questi valori?

Dentro questo macello lavorano circa 400 persone, più o meno medesimi lavori, ma con tipologie contrattuali diverse; una maggioranza è assunta direttamente dal consorzio, gli altri sono suddivisi tra 3 cooperative, un’agenzia interinale e una ditta che gestisce in autonomia una linea di produzione (niente busta paga ai dipendenti da mesi e stipendi forfettari a singhiozzo – il tutto segnalato ad un dormiente ITL).

C’è chi lavora la carne (macellazione/sezionamento delle parti) e chi supporta tale produzione, la forbice degli stipendi è però molto più ampia dello spettro delle mansioni svolte perchè sono applicati due diversi contratti quali quello degli alimentaristi e il multiservizi, così come sono diversi a seconda della parte datoriale i benefit.

Ebbene in questa stratificazione in cui appartenere alla “ditta” o a una delle varie cooperative significa avere non privilegi o certezze, ma un differente grado di precarietà e ricatti, avviene un primo miracolo: tutti quelli delle coop si mettono assieme, “fanno” il sindacato dentro l’impianto e schierano USB al fianco dei fratelli interinali di fatto licenziati.

Comincia così la lotta, una lotta che coinvolge anche i lavoratori delle medesime coop, ma impiegati in un altro macello gemello: il Pini di Castelverde.

La cadenza temporale degli scioperi è calibrata sui picchi giornalieri (in certi giorni la “macellata” è più ampia…), e ai “soci cooperatori” che vengono chiamati in sostituzione di chi si astiene dal lavoro non viene impedito l’accesso, ma si chiede la solidarietà, la condivisione dei fini; anche chi ha paura di disobbedire al padrone si lascia facilmente convincere e nessuno tenta di entrare.

In più, lo sciopero indetto contemporaneamente nei due impianti gemelli rende difficoltoso alle coop organizzare lo spostamento di personale a cui accennavamo sopra.

Nelle assemblee sindacali si apre una discussione sull’efficacia delle forme di lotta, “non spaventiamo abbastanza le cooperative e il padrone”, questa è la sensazione diffusa, come fare?

La criminalizzazione del conflitto pone dei limiti seri e allora la riflessione si focalizza su due aspetti: il rallentamento della produzione e la costruzione di quella massa critica che può contrastare la forza del padrone.

E’ in questo frangente che si fa largo l’idea di partire dalle famiglie, dalla rappresentazione simbolica della sofferenza a cui vengono sottoposte anche persone estranee a quel ciclo produttivo.

Per due giorni, notte compresa, mogli, madri e figli dei 27 licenziati mettono i loro corpi inermi davanti alle ribalte dentro il magazzino consapevoli e determinate.

Fuori dai cancelli gli operai delle cooperative iniziano lo sciopero in solidarietà, legandolo anche alle rivendicazioni che riguardano le loro precarie ed insalubri condizioni di lavoro.

E’ una lotta che comunica disperazione, ma anche condivisione, dagli altri posti di lavoro vengono a fare visite, portano da mangiare, guardano quei sari indiani coloratissimi e quelle bambine e bambini tutto sommato felici di stare assieme ai loro genitori 24 h. su 24.

C’è un elemento di novità portato da queste lotte, le donne diventano protagoniste, votano e sono trainanti nel decidere se continuare lo sciopero ben oltre le 8 ore.

E’ questa alchimia che muove le cose anche dentro il macello tra quegli operai che hanno la “fortuna” di essere stati assunti “fissi” da Prosus.

Se le donne dimostrano concretamente questa forza e determinazione, se queste famiglie sono così compatte e non solo per convenzione culturale, ma perchè vogliono il diritto al lavoro, se queste famiglie sono unite anche ad altri gruppi con un sindacato che le sostiene vale la pena di mettersi in gioco.

E’ così che un nucleo di lavoratori Prosus, esce e chiede un incontro col sindacato, vuol sapere come può fare per migliorare le proprie condizioni (non sembri una domanda ingenua), dichiara apertamente ammirazione per la lotta delle donne e si mette a disposizione per dare una mano.

Non sono ancora pronti allo sciopero, vogliono misurare bene USB, ma nessuno tocchi le donne e i bambini che fanno assemblee e votano e decidono insieme ai loro mariti.

Così quando le forze dell’ordine decidono che i camion devono uscire e si preparano caschi, scudi e manganelli perchè l’assemblea di lotta decide che non si indietreggia di un millimetro, allora gli uomini Prosus escono e fanno da scudo umano consentendo la svolta in una vertenza molto complessa.

Oggi USB ha una cinquantina di iscritti in più (ma il virus è in espansione) perchè quelli assunti direttamente dal consorzio hanno dichiarato tre cose:

  • USB è un sindacato che non ha paura di fare lotte molto decise, mica come la CGIL alla quale hanno prospettato i loro problemi, ma non ha fatto nulla,

  • economicamente loro stanno meglio di quelli delle cooperative e degli interinali, ma i capi li trattano malissimo e il lavoro è troppo massacrante,

  • se si mettono insieme tutti quelli del macello si ha la forza necessaria per ottenere dei miglioramenti.

In questo quadro ancora in movimento ci permettiamo alcune sommarie considerazioni.

Le forme del conflitto, l’efficacia nel rompere davvero il processo di accumulazione, producono soggettività; il riuscire a fermare le merci sancisce la rottura di quel rapporto paternalistico molto diffuso nelle fabbriche e nei magazzini in base al quale bisogna cooperare alla produzione perchè vi è un interesse comune, si è in una grande famiglia dove i fratelli maggiori (i capetti) sono magari severi e cattivelli, ma il papà (il capo o il padrone) mette a posto tutto.

Lo sciopero, quello vero, fa saltare la “famiglia”, rende “adulto” il “figlio” – lavoratore, genera la sua autonomia.

In questo senso diviene fondamentale la nostra riflessione sulle forme di lotta: i blocchi “non stradali”, i tetti, le famiglie (quelle vere), l’autodeterminazione dei ritmi, le tecniche di rallentamento, la conoscenza scientifica della produzione e la loro sperimentazione pratica.

Altro elemento importante è lo studio delle comunità migranti, dei valori culturali, degli spazi su cui praticare elementi di meticciato senza pregiudizi anche da parte nostra, delle nostre storie politico-sindacali.

C’è poi la questione delle donne, USB ha avviato un percorso di discussione sul loro coinvolgimento nelle lotte assieme ai figli che non è per nulla concluso e nemmeno pacifico, però è partito.

Quando le mogli occupano la sede centrale della GLS o bloccano i tir diventano protagoniste, rubano la scena ai capi famiglia, votano e decidono la declinazione delle lotte, praticano un femminismo di classe più primitivo forse dell’affermazione della differenza di genere propria del movimento femminista occidentale, ma che con esso richiede una sintesi. In questo le compagne di USB dovrebbero dare una mano.

Infine vi è il tema della precarietà e del potere, fortemente connessi tra loro.

Sempre più il ricatto del rinnovo del contratto e l’arroganza del capetto sono fonte di disagio e conflitto.

Negli anni ’70 il consolidamento del nuovo movimento operaio dopo la ricostruzione post bellica e il boom economico è passato attraverso la creazione di forme di contropotere consigliare, in qualche modo, nella differenza dei tempi dobbiamo fare una cosa simile.

Campagna sul sistema degli appalti, campagna contro i contratti a tempo determinato e lavoro in somministrazione, autodeterminazione e “potere operaio” diventano il compito a casa che la scuola di classe ci impone in questa fase.

Al lavoro.

*coordinatori Usb Logistica

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