Gli operai del gruppo Whirlpool oggi sono scesi in piazza a Roma per recarsi al Ministero dello Sviluppo Economico e avere, finalmente, delle risposte chiare sul futuro del loro lavoro.
Sono arrivati dai vari stabilimenti che la multinazionale statunitense ha rivelato negli anni precedenti in Italia. Da Napoli, Siena, Varese, Melano (FI), Fabriano. Con loro anche una delegazione dei lavoratori della ex Embraco di Chieri vicino Torino (anche questa per un periodo di proprietà del gruppo Whirlpool) che proprio ieri hanno avuto un incontro, deludente, al Ministero e riconvocato per il 23 ottobre prossimo.
Sulle sorti degli stabilimenti Whirlpool è uscita dal cilindro la “proposta” di un gruppo svizzero, la Prs Solutions attiva dal 2013 ma un capitale sociale talmente ridotto da non promettere affatto bene sulle sue capacità reali di rilevare uno stabilimento industriale. Sul tappeto c’è il progetto di riconvertire la produzione da lavatrici a container refrigerati, ma le garanzie occupazionali per gli operai sono labili, troppo labili.
Ne abbiamo parlato in piazza con un operaio della ex Embraco di Chieri rilevata dal gruppo Ventures, il quale la prima cosa che ha fatto è stata quella di distribuire subito bonus e superbonus ai propri dirigenti mettendo le mani sul fondo che invece è destinato ai lavoratori. Non solo. La Whirlpool a Chieri ha già portato via tutte le linee di produzione e oggi lo stabilimento è vuoto.
La manifestazione di oggi è apparsa ancora carica di combattività e aspettative, soprattutto tra gli operai campani, ma la sensazione è che al Ministero, come per tutte le altre crisi industriali, non verranno fuori soluzioni che diano certezza.
E’ il calvario che abbiamo visto in tutti questi anni, dove il cannibalismo industriale delle multinazionali straniere e la deindustrializzazione derivata da chiusure, delocalizzazioni, spacchettamenti produttivi, hanno portato alla perdita di migliaia di posti di lavoro e capacità produttive.
Dai governi e dai tavoli sulle crisi industriali (oggi ce ne sono ancora 160 aperti che riguardano 220mila lavoratori) che si sono succeduti in questi anni, è emerso tutta la perfidia della totale ritirata dello Stato dalla politica industriale del paese e la totale consegna delle sorti in mano ai privati, in particolare di multinazionali straniere o di gruppi di avvoltoi e avventurieri pronti a gettarsi sulle fabbriche in crisi per ricavarne finanziamenti pubblici, macchinari da vendere, marchi e quote di mercato da sfruttare.
E per i lavoratori la soluzione diventano sempre prepensionamenti dove possibile, cassa integrazione fino ad esaurimento, ricollocazione solo per alcuni e licenziamenti per altri.
Lì dove il lavoro ancora c’è spesso si paga un prezzo altissimo. E’ accaduto tre giorni alla Fca di Cassino dove un operaio è morto al reparto presse. Come stanno le cose ce le racconta un operaio della Fca venuto a solidarizzare con i lavoratori della Whirlpool. La fabbrica è praticamente ferma e gli operai sono in cassa integrazione. Si lavora solo alle presse a caldo, dove si lavora sempre, non c’è cassa integrazione e magari si chiede di andare a lavorare proprio lì perché si lavora a tempo (e salario) pieno. Ma alla Fca di Cassino le pause, sono state ridotte, i lavoratori occupati sono diminuiti, si lavora sei giorni su sette riducendo i riposi, ma la produzione deve sempre essere mantenuta, anche con meno operai. E allora può accadere che per stanchezza si muoia sotto una pressa gigantesca, per “errore umano” dicono in azienda.
Ma così non muoiono solo i lavoratori, muore anche la possibilità di un paese di diventare “altro” rispetto al deserto industriale e alla riduzione ad un parco giochi per i turisti. Appare ormai evidente che senza un pianificazione industriale pubblica e innovazioni tecnologiche adeguate, non ci sono soluzioni durature alle crisi industriali. Andrebbero rovesciati molti parametri, ma di questo non si vede traccia nei governi in carica.
“Napoli non molla, la Campania non si tocca” gridano gli operai della Whirlpool. Qualcuno segnala che ci sono anche gli operai degli altri stabilimenti e lo slogan si converte rapidamente in “Il gruppo non si tocca” e “la gente come noi non molla mai”. Ci sono gli striscioni delle varie fabbriche di tutta Italia, le bandiere della Fiom e della Usb che mette in guardia dal “pacco svizzero” (ossia la Prs Solutions). Uniche forze politiche presenti Potere al Popolo e Pcl. Il corteo parte verso via Veneto diretto al Ministero. Vedremo quali saranno i risultati.
Quello che appare urgente e indubbio è che sulle crisi industriali occorre in qualche modo rovesciare i tavoli e mettere in campo terapie d’urto. In primo luogo impedire che chi se ne va o chiude possa prendersi i macchinari (la proprietà privata entra in conflitto con gli interessi collettivi); in secondo luogo nazionalizzare le fabbriche a rischio chiusura e garantire l’occupazione; in terzo luogo un fondo speciale pubblico per la riconversione industriale e le necessarie innovazioni tecnologiche. Affidare ancora le sorti ai privati e alle multinazionali ormai è un suicidio, certificato.
Le foto sono di Patrizia Cortellessa
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