Lo scorso 31 gennaio, al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali le parti sociali hanno raggiunto l’accordo sui nuovi minimi tabellari – quelli che in Italia sostituiscono il salario minimo per legge – relativi al lavoro domestico, minimi retributivi aggiornati, si legge nella nota rilasciata martedì, alla variazione del costo della vita.
“Minimi” di nome e di fatto, viene da dire leggendo le cifre su cui i rappresentanti delle associazioni padronali (Fidaldo e Domina) e quelli dei maggiori sindacati confederali (CiglCislUil e Federcolf) hanno apposto le loro firme. Infatti a nessun collaboratore familiare (da cui l’acronimo “colf”) che venisse oggi regolarmente assunto, indipendentemente dal livello di competenze o di anzianità raggiunti e di orario di lavoro considerato, sarebbe garantito un salario minimo al di sopra di quei 9 euro orari rivendicati dall’Unione Sindacale di Base, e sostenuti da Potere al Popolo!, come soglia pavimento a partire da cui considerare una impiego, a questo livello di prezzi, “adeguatamente retribuito”.
Come si vede nella figura estratta dalla nota del Ministero, per esempio un collaboratore inquadrato nel livello A, descritto da Ccnl come «non addetto all’assistenza di persone, sprovvisto di esperienza professionale o con esperienza professionale (maturata anche presso datori di lavoro diversi) non superiore a 12 mesi» può ricevere non violando la legge un compenso inferiore anche alla soglia psicologica dei 5 euro l’ora (4,62€). Sono gli addetti alle pulizie, alla cucina, o che svolgono interventi di piccola manutenzione.
Ma se anche fossimo in presenza di un lavoro di grande responsabilità, il minimo orario necessario all’assunzione di un lavoratore sarebbe di sole 8,22€ l’ora, in situazione di non convivenza e di orario diurno. Questo è il limite inferiore retributivo per il livello D super, riconosciuto al personale «formato» che assiste persone non autosufficienti, con responsabilità che arrivano fino la ruolo di «direttore di casa, [con] mansioni di gestione e di coordinamento relative a tutte le esigenze connesse all’andamento della casa».
Insomma, un vero schiaffo alla dignità del lavoratore o della lavoratrice, la cui sola garanzia che avrebbe nel sottoscrivere un contratto del genere sarebbe quella di non poter arrivare a fine mese, specie nei grandi centri urbani dove il costo della vita semplicemente non è affrontabile a questo livello di reddito.
Non è un caso inoltre che la maggior parte di coloro che ricoprono queste mansioni sono donne e persone provenienti da altri paesi, le due “classi”, assieme ai giovani, più in difficoltà nel mercato del lavoro italiano.
Ancora una volta i maggiori sindacati si rendono protagonisti dell’impoverimento della classe lavoratrice di questo apese, in piena sintonia con le associazioni datoriali che dell’aumento dello sfruttamento del lavoro fanno da un cinquantennio a questa parte (ma per molto poco ancora) la base dei loro profitti.
Il lavoro domestico aspetta il rinnovo del Contratto collettivo dal 31 dicembre 2016, anno in cui scadde quello firmato il primo luglio del 2013. Lo scorso settembre, due settimane dopo l’insediamento, il nuovo governo Conte aveva affermato che avrebbe messo fine alla lunga attesa entro la fine del 2019. Ma evidentemente anche questa promessa è andata disattesa.
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