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I caratteri della sfida sindacale

Un decennio fa – il 24 maggio 2010 – con una manifestazione pubblica al Teatro Capranica a Roma nasceva l’Unione Sindacale di Base. Il processo che ha condotto a tale risultato politico era stato un complesso lavorio di confronto, di socializzazione delle esperienze e di approfondimenti politico/pratici tra alcune delle organizzazioni del sindacalismo di base di quel periodo: le RdB, l’SdL ed alcuni pezzi dell’allora CUB.

Ci sembra di ricordare che le ragioni che spinsero per la concretizzazione del processo di costruzione dell’USB furono molteplici. Una forte spinta all’unità tra quanti volevano costruire una alternativa autorevole al collaborazionismo sindacale di Cgil, Cisl e Uil e ritenevano esaurita la spinta propulsiva del sindacalismo di base e la consapevolezza che – particolarmente con l’esplodere della crisi economica globale del 2007-2008 – si erano ristretti e consumati i margini economici e sociali di quel “compromesso dinamico” tra capitale e lavoro che ancora garantiva un tasso compatibile di redistribuzione.

Dopo dieci anni, che bilancio fai dell’attività dell’USB sul versante del consolidamento di una forma sindacale autonoma ed indipendente nel nostro paese?

La scommessa intrapresa in una fase di crisi come quella che stavamo attraversando credo di poter dire che sia stata vinta, almeno fino ad oggi. Certo ci vuole molto di più e dovremo fare molto di più, però credo di poter dire che aver attraversato la crisi del 2008 e le sue conseguenze riuscendo a crescere e a consolidare le tre gambe principali dell’USB, il Lavoro Privato, il Pubblico Impiego e la più recente Federazione del Sociale sia sicuramente un risultato da considerare come decisamente positivo.

In particolare, il risultato va misurato, oltre che in relazione alla nostra crescita, anche in relazione al lento declino delle esperienze del sindacalismo di base e della “sinistra Cgil”, che sono letteralmente scomparse dal panorama sindacale, oppure di qualche “new entry” che si è collocata su un terreno che non condividiamo e con un modello sindacale che non intendiamo praticare né frequentare.

In questi ultimi giorni – in una condizione generale complicata e con esplicite torsioni autoritarie in atto – si sono prodotte due mobilitazioni importanti in cui l’USB svolge un compito di primo piano. (lo Sciopero dei Braccianti e l’indignazione operaia dei siderurgici di Taranto contro i criminali di Arcerol Mittal).

Che contributo può dare l’Unione Sindacale di Base, da qui a prossimi mesi, alla costruzione di un nuovo movimento operaio capace di generalizzare, articolare e – soprattutto – unificare i diversi settori, oggi frammentati, del blocco sociale?

Vorrei partire, se permetti, dal successo dello sciopero generale del 25 marzo. In quell’occasione a pochi giorni dello scoppio della pandemia del Covid 19 ci siamo presi la responsabilità di indire e praticare uno Sciopero Generale, nonostante la Commissione di Garanzia lo avesse esplicitamente vietato e, in conseguenza della nostra scelta di praticarlo comunque, oggi rischiamo multe di parecchie migliaia di Euro.

Il successo dello Sciopero – che ovviamente nei settori legati alla salute e sicurezza è stato solo simbolico – ha avuto il merito di aprire una fase di generalizzazione delle lotte intorno alla parola d’ordine “prima la salute”, che si è poi articolata in scioperi e mobilitazioni di categoria, prima virtuali e poi praticati “in presenza” come quello dei braccianti per la regolarizzazione dei migranti e la fine dello sfruttamento imposto attraverso la formazione dei prezzi dalla grande distribuzione organizzata, dei lavoratori dell’Ilva di Taranto contro il continuo gioco “prendi i soldi e scappa” di Arcelor Mittal e contro lo scambio infame diritto al lavoro versus diritto alla salute, dell’igiene ambientale e che proseguirà il prossimo 29 maggio con la mobilitazione nazionale della Sanità.

Un lavoro confederale che ha consentito mobilitazioni di categoria o di settore per dare subito il segnale che le risultanze della crisi non possono caricarsi, di nuovo, sui lavoratori, i ceti popolari, i migranti, le donne.

Riteniamo che solo un processo unitario di rilancio delle mobilitazioni e delle lotte dei settori produttivi storici ma anche, e forse con ancor più rilievo, dei lavoratori di nuova generazione rimasti completamente senza tutele sul piano economico e lavorativo durante i mesi del lockdown, sia determinante nella prossima fase in cui si giocherà la partita su chi dovrà pagare il conto della crisi.

Tra i punti programmatici del progetto sindacale dell’Unione Sindacale di Base vogliamo evidenziare l’elaborazione (e le forme pratiche sperimentali) a proposito di quello che comunemente viene definito “Sindacalismo Metropolitano” e/o “Confederalità Sociale”. Dallo scorso Congresso è stata varata anche una categoria specifica della Confederazione, la Federazione del Sociale, per meglio scandagliare e provare ad organizzare le molteplici forme dello sfruttamento, dell’oppressione e della crisi urbana che si manifestano fuori dai tradizionali luoghi di lavoro.

A che punto è questo lavoro dell’USB e come si integra con l’azione generale dell’attività confederale?

La scelta operata nell’ultimo Congresso del Tivoli di formalizzare la nascita della Federazione del Sociale, a cui aderiscono, l’ASIA (Associazione Inquilini e Abitanti), la Federazione dei Pensionati e lo SLANG (Sindacato Lavoratori di nuova generazione), ha avuto una genesi piuttosto lunga in cui ci siamo interrogati attraverso quale strumento consentire a chi non aveva un posto di lavoro, o a chi viveva i drammi della metropoli in tema di diritto all’abitare e di vivibilità nei territori, o a chi era costretto a fingersi lavoratore autonomo mentre era un classico dipendente come le nuove partite Iva, i Rider, i lavoratori del turismo stagionale e tante altre figure della frammentazione del lavoro di entrare in una relazione virtuosa con altri soggetti che avevano necessità di uno strumento di tutela collettiva e di organizzazione della propria condizione.

Oggi la Federazione del Sociale è già attiva in un gran numero di città italiane, principalmente nelle province più grandi e nelle aree metropolitane ed è diretta da strutture principalmente giovanili che si stanno rivelando anche una preziosa risorsa sul piano del necessario ricambio dei gruppi dirigenti del sindacato.

L’USB è parte del WFTU (Federazione Sindacale Mondiale) e tu stesso hai avuto incarichi importanti in questa organizzazione mondiale. Ricordiamo, ai nostri lettori, che anche una figura di primo piano del movimento sindacale del nostro paese, Giuseppe Di Vittorio, ebbe responsabilità centrali, subito dopo il secondo conflitto mondiale, nella Federazione Sindacale Mondiale.

A fronte della crescente competizione internazionale in atto e dell’azione antisociale del nostro imperialismo (che si configura nella forma dell’Unione Europea) quale ruolo può assolvere un riqualificato e rinnovato movimento sindacale internazionale e, quindi, l’intervento attivo di una organizzazione multinazionale dei lavoratori?

Subito dopo il congresso fondativo del 2010 decidemmo di entrare a pieno titolo nella Federazione Sindacale Mondiale il cui percorso seguivamo già con molta attenzione fin dagli anni 80 come RdB. Ci ha convinto l’approccio con cui, dopo alcuni anni di crisi dovuti alla fine dell’URSS, con il Congresso dell’Avana, a cui abbiamo partecipato come osservatori, i compagni Cubani, gli Indiani e, in Europa, i compagni greci del PAME hanno ripreso in mano le sorti dell’FSM e ne hanno guidato un rinnovato rilancio.

Ne è nato un sindacato mondiale internazionalista con caratteristiche nuove e certamente più dinamiche che si è strutturato con successo sul piano regionale, aprendo uffici regionali in tutti i continenti, e su quello delle categorie che hanno cominciato un importante lavoro di proselitismo e di diffusione a livello mondiale.

Non sto a raccontarvi il lavoro di contrasto e di contenimento della nostra crescita operato, con ogni mezzo disponibile, da parte della CSI, la Confederazione Sindacale Internazionale, la vecchia “CISL Internazionale” a cui aderiscono tutti i sindacati collaborazionisti tra cui le Cgil, Cisl, Uil.

Nonostante questo, oggi la FSM ha 100 milioni di aderenti in 102 Paesi in ogni continente. Oggi ci poniamo, con la nostra presenza all’interno della Segreteria Regionale Europea, l’obbiettivo di riportare la FSM in tutti i Paesi e ad avere un peso nella denuncia e nel contrasto della funzione imperialista dell’Unione Europea.

Su questo terreno stanno crescendo importanti ed inaspettate relazioni in particolare con consistenti parti della CGT che al congresso del 2019 hanno vinto una importante battaglia congressuale contro la segreteria generale del sindacato approvando un significativo Ordine del Giorno che impegna tutta la CGT a riaprire relazioni con la FSM anche se formalmente aderisce ancora alla CSI.

Voglio ricordare che la CGT, insieme alla CGL, senza la “I”, fu nel 1945 tra le organizzazioni fondatrici della FSM e che, come la CGIL, ne uscì per aderire alla CSI alla fine degli anni 70 quando si era consumata tutta l’involuzione politica di queste organizzazioni.

L’improvvisa – ma non troppo – esplosione della Crisi Pandemica (in Italia siamo nella cosiddetta Fase 2) ha mostrato, drammaticamente, lo stato di smantellamento a cui è stata ridotta la Sanità e i sistemi di Welfare mentre inizia a prospettarsi un presente di disoccupazione, di nuove povertà e, allo stesso tempo, di inedite modalità di sfruttamento come lo Smart Working.

Come si attrezza teoricamente ed organizzativamente l’Unione Sindacale di Base ad una congiuntura temporale dove ai fattori immanenti della crisi economica si sommano, inevitabilmente, le questioni epocali attinenti alla palese crisi del modello sociale dominante?

Anche noi, come tutti, ci stiamo interrogando sul futuro derivante dal Covid 19. È evidente ormai a chiunque che ad uscire con le ossa rotte da questa durissima prova che sta uccidendo centinaia di migliaia di persone è il sistema capitalistico che ha dimostrato di essere incapace di assicurare un futuro all’umanità.

Soprattutto sono venuti al pettine, nel giro di qualche settimana, i risultati di politiche di rapina delle risorse e di smantellamento di ogni sistema di tutela collettiva che, nel nostro Paese, ma più in generale in tutto il mondo, si erano affermate grazie alle lotte del movimento dei lavoratori dopo la fine della II Guerra mondiale e, sostanzialmente, fino alla caduta dell’URSS.

Ora è chiaro che si apre una lotta durissima per impedire che l’uscita dalla crisi pandemica, che da crisi sanitaria è già diventata crisi economica e sociale, sia a carico delle classi lavoratrici e che sia l’occasione per modificare ancora in peggio i rapporti di forza tra capitale e lavoro ad esempio attraverso la modifica in peggio del sistema contrattuale o che con l’introduzione dello Smart Working si introduca ulteriore flessibilità e aumento del tempo e dei carichi di lavoro.

La partita che stanno giocando i “prenditori” nostrani e le multinazionali è che il capitale si appropri delle risorse disponibili riuscendo così a passare pressoché indenne una crisi che in larga parte è frutto della sua criminale gestione del potere. L’enormità delle risorse che l’Europa e i Governi dei Paesi coinvolti stanno tirando fuori è impressionante e dovrebbero rendere chiaro a tutti che le politiche di austerità a cui i governi e l’UE hanno costretto milioni di persone per anni, strangolando intere economie e massacrando la vita della gente comune, sono il frutto di scelte economiche e non di reale mancanza di risorse.

Lo scontro in atto, a cui è necessario partecipare, è quindi quello di determinare dove e a chi dovranno essere rivolte le risorse messe in campo e come lo Stato debba tornare a svolgere una funzione generale e determinante nella gestione di queste risorse e, in definitiva nell’economia. È chiaro che il sistema imprenditoriale, memore dei fasti del capitalismo assistito all’italiana, cerchi in ogni modo di assicurarsene la fetta più consistente.

Abbiamo quindi due compiti fondamentali, quello del rendere patrimonio comune l’analisi di quanto sta accadendo, di quali sono le cause reali e questo a cominciare dal nostro tessuto organizzativo affinché possa arrivare in ogni luogo di lavoro, in ogni quartiere attraverso un largo e approfondito lavoro di formazione dei quadri, l’altro è quello di tenere assieme le lotte che certamente saranno la cifra dei prossimi mesi ed anni.

È ovvio che le conseguenze economiche e sociali del dopo Covid non colpiranno tutti allo stesso modo, anche se tutti ne porteranno cicatrici profonde per molto tempo. Compito di una organizzazione di classe è quello di tenere assieme sul piano confederale tutte le spinte alla lotta che si presenteranno, orientandole e dirigendole affinché il giochetto classico delle classi dominanti di mettere uno contro l’altro gruppi di interesse diversi per impedire una forte capacità di impatto alle lotte non riesca ancora una volta.

In questi dieci anni abbiamo attraversato situazioni difficili e complicate ma l’organizzazione è sempre stata capace di uscirne grazie alla capacità di analisi, inchiesta e previsione e grazie alla strutturazione organizzativa che ci siamo dati. Ritengo che anche in questa fase l’USB tutta sarà capace di occupare gli spazi politici che si aprono e di ingaggiare con successo la battaglia che abbiamo di fronte.

* da Rete dei Comunisti

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