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Trivulzio, le verità monche della commissione regionale

Il 22 luglio protesta USB alla Regione Lombardia per chiedere verità e giustizia.

Molti elementi risultano analizzati in modo parziali e spesso non connessi con il contesto regionale, omettendo la necessità emersa molto chiaramente con l’epidemia di una totale revisione del sistema socio -assistenziale regionale

Nel leggere la relazione presentata oggi dalla Commissione incaricata di far luce su quanto avvenuto al Pio Albergo Trivulzio durante le fasi acute dell’epidemia (così come in tutte le strutture del sistema socio assistenziale regionale, aggiungiamo noi) si ha la netta sensazione che manchi qualcosa capace di correlare in modo logico e comprensibile cause ed effetti.

E’ come, infatti, se l’elenco di criticità individuate – cui bisognerà aggiungerne altre – sia avulso dal contesto e non riconducibile a responsabilità chiare.

Così come colpisce (ma non sorprende) che l’accento sia posto da più parti, a partire dai media, sul personale, accusato di “assenteismo”, quasi a voler dare in pasto all’opinione pubblica un colpevole facilmente individuabile e sul quale (ancora una volta) fare ricadere – su base emotiva – la rabbia e le critiche dei cittadini.

Partendo proprio dal personale, va sicuramente ricordato che, ancora in piena epidemia, non vi era alcuna possibilità di approvvigionamento di DPI per quello delle RSA.

Più volte abbiamo denunciato l’atteggiamento della regione che per lunghe settimane ha ignorato del tutto le strutture RSA rispetto alla fornitura di DPI, tanto che siamo stati costretti a scrivere più volte alla ATS e, infine, al Prefetto e al Sindaco di Milano per segnalare la situazione drammatica dell’altra ASP cittadina, la Golgi-Redaelli, e che solo in seguito a quella segnalazione sono stati forniti i primi DPI da parte della Regione e della Protezione Civile. 

Bisogna solo immaginarsi con che stato d’animo, il personale poteva recarsi al lavoro in totale assenza di protezioni, ben sapendo quali fossero i rischi per la propria salute e per quella dei propri familiari.

Ci sentiamo di assicurare che se nelle due ASP cittadine – Trivulzio e Golgi Redaelli che sono strutture pubbliche – la situazione del personale è stata drammatica, nelle RSA più piccole si sono registrati episodi davvero criminali, con i lavoratori che ci segnalavano la totale assenza, oltre che di DPI, anche di controlli e la frequente richiesta da parte dei datori di lavoro di recarsi al lavoro pur in presenza di sintomi e, in qualche caso, pur nella certezza della positività al virus dei lavoratori stessi.

Una condizione resa possibile dalla situazione di ricatto, determinata dalla precarietà delle condizioni di lavoro che domina l’universo delle RSA in Lombardia. 

Ad aggravare la situazione, il fatto che il personale delle ditte operanti in appalto presso le grandi strutture sanitarie e socio sanitarie (pubbliche e private), si è ritrovato in una situazione di assoluta mancanza di controllo, niente DPI per mesi, niente controlli sanitari.

Se si pensa che molto di questo personale  – ad esempio quello delle pulizie – stazionava regolarmente nelle camere di degenza, è facile capire come nel sistema socio assistenziale lombardo si siano contati circa 10.000 decessi (è una nostra proiezione sulla base dei dati parziali forniti dall’ISS).

E poi, c’è la questione dei tamponi che sono risultati quasi inesistenti fino ad aprile inoltrato, sia per i pazienti che per il personale.

Sulla base di questa semplice osservazione – ovvero la mancanza di controlli attraverso tamponi – confermata anche dagli “esperti” della commissione, ci chiediamo come siano riusciti ad avere dei numeri che possano essere ritenuti affidabili: centinaia di lavoratrici e lavoratori sono stati a casa con sintomatologia compatibile con il covid, ma fino a che non saranno effettuati i test sierologici a tappeto non sapremo mai quanti operatori si sono davvero ammalati e quanti essendo stati positivi e asintomatici, hanno continuato a lavorare,contribuendo in questo modo, inconsapevolmente, alla strage nelle RSA della nostra regione.

Giusto per analizzare un dato reale, per molte settimane all’ASP Golgi Redaelli ci sono stati 350 operatori in malattia e molti di questi, malgrado i sintomi, non hanno mai saputo, e spesso ancora non sanno, se sono stati positivi.

E’ la fotografia impietosa di un sistema regionale costruito delegando quasi del tutto ai privati una rete di strutture e servizi che dovrebbe prendersi cura proprio dei soggetti che già da dicembre si sapeva fossero quelli più fragili rispetto al virus: anziani e con pluripatologie!

Vale a dire esattamente la popolazione che si trova all’interno delle RSA. Sulla base di questa considerazione, è facile argomentare come proprio sulle RSA andava costruita una rete di controllo molto fitta per garantire la salvaguardi degli ospiti ricoverati.

Una cosa che non si è potuta fare – ma neppure pensare – se si considera che il 95% di queste strutture (più di 700) è affidata del tutto alla fame di profitto di soggetti privati, grazie anche alla legge regionale 1/2003 che ha dato la possibilità a tutte le II.PP.A.B. di trasformarsi in fondazioni, cosa che è puntualmente avventa, con qualche rara eccezione come, per l’appunto, le due ASP cittadine e poco altro.

Di certo, per preservare la vita di molti anziani non è stato utile l’attuale strutturazione del sistema sanitario e ospedaliero che è stato in grado di accogliere solo 2,2 anziani per ciascuna RSA (dati ISS); questo, tradotto, vuol dire che i pazienti venivano lasciati morire dentro le RSA dove non potevano essere prestate loro le cure necessarie: un’altra situazione che si legge tra le righe della relazione della commissione e che andava esplicitata in modo più chiaro, rimarcando come l’attuale impostazione del sistema socio-sanitario-assistenziale regionale sia stato, insieme al virus, il vero killer in questa emergenza.

In questo senso, il paragone con quello che è successo in Veneto, che invece ha deciso di mantenere sotto il controllo pubblico molte delle strutture RSA, è molto indicativo, con la Lombardia che registra un tasso di decessi (in percentuale) nelle RSA triplo rispetto alla regione confinante che è molto simile per numero di strutture.

Certo, il finale è amaro ed è reso ancora più duro da accettare dal “consiglio” dei commissari di diminuire i posti letto ed aumentare il personale: ci voleva un’epidemia per una osservazione tanto banale quanto evidente?

Da anni chiediamo alle amministrazioni e alla regione un revisione dei 901 minuti di assistenza settimanale per paziente. Da anni chiediamo un giusto riconoscimento economico per le prestazioni effettuate nelle strutture RSA e, soprattutto nelle ASP, capaci di rendere servizi riabilitativi di altissimo livello. Limiti e criticità riconosciuti da tutti ma che nessuno, a partire dai Direttori Generali, si è mai sentito di porre ed imporre con forza alle amministrazioni ed agli assessori regionali che si sono succeduti.

Una condizione assurda determinata dal sistema di nomina dei Direttori Generali che, rispondendo solo alle logiche politiche che determinano le loro nomine, spesso si “dimenticano” di assumersi quelle responsabilità che sarebbero importantissime per la Salute dei cittadini. Pure a fronte di una pandemia epocale, dagli esiti altamente drammatici.

D’altronde in una regione che grottescamente ha costruito il proprio sistema socio-sanitario attorno alle logiche del profitto e non della Salute, tutto ciò oggi appare normale e rischia di ritornare a morire nell’indifferenza alimentata dall’abitudine.

Come normale appare che Maroni ed Alfano siano rispettivamente membro del CdA e Presidente del più grande gruppo della sanità privata italiana: ecco, questo racconta in modo semplice ma evidente come nel nostro paese la sanità privata ha impoverito la sanità pubblica e con essa la nostra salute.

Per tutte queste ragioni, abbiamo deciso di indire un’iniziativa (probabilmente il  22 luglio) presso la sede di Regione Lombardia, per mettere insieme tutti coloro che sono stati danneggiati e beffati da quanto accaduto nelle RSA. Un’iniziativa capace di mettere insieme lavoratrici e lavoratori con i parenti dei tanti ospiti deceduti.

Una sorta di consorzio per chiedere verità e giustizia per quanto accaduto e una modifica radicale di questo sistema che ha dimostrato tutti i suoi limiti durante l’epidemia. Un sistema che si è pure rivelato beffardo verso i lavoratori che non hanno nemmeno ricevuto alcuna premialità, al contrario del personale ospedaliero, per aver dovuto affrontare in condizione difficilissime l’emergenza covi

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