Un giornata di sciopero e un appuntamento a piazza SS Apostoli. E’ questa la risposta del comparto della ricerca ai progetti indicati nel Pnrr dal governo Draghi.
La ricerca pubblica, in particolare quella di base, vero motore della conoscenza rivolta a tutta la collettività, subisce un violento attacco da parte del Governo Draghi e della ministra dal Ministero dell’Università e Ricerca (MUR) Maria Cristina Messa, con una sempre più evidente riedizione del dicastero Gelmini.
Se da una parte, per la prima volta si stanziano fondi per riavvicinare i salari dei ricercatori italiani agli standard europei, dall’altra si vincolano alla messa in esaurimento del III livello contrattuale, indirizzandoli solo agli enti vigilati dal MUR escludendo circa 3400 ricercatori di enti come l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istat, Enea o l’Ispra che abbiamo imparato a conoscere per le crisi sanitarie o ambientali. L’intenzione è quella di ripercorrere la vicenda fallimentare delle migliaia di ricercatori universitari bloccati in un ruolo ad esaurimento. Stiamo parlando di circa l’80% dei ricercatori di enti come INFN, INAF o CNR condannati a restare sino alla pensione con salari molto più bassi di quelli di molti altri paesi europei.
I provvedimenti previsti condannano gli enti di ricerca ad essere terreno di conquista del baronato universitario che vuole collocare il personale che non riesce a trovare sfogo nelle università. Si prevedono infatti percorsi privilegiati di carriera introducendo logiche concorsuali che sono spesso oggetto di inchieste per clientelismo a fronte di sistemi di reclutamento aperti e meno legati a fenomeni di corruzione che caratterizzano sinora gli stessi enti di ricerca.
Il tutto fa perno sul tentativo di cambiare il sistema di reclutamento in atto nel DDL 2285 al Senato e di bloccare le stabilizzazioni.
Un intero articolo della legge di bilancio da mandato al Presidente del CNR Maria Chiara Carrozza, affiancata da cinque esperti (Supervisory Board) di nomina politica, e alla ministra Messa di riorganizzare il CNR. La volontà politica tracciata anche da quanto previsto nel PNRR è quella di ridurre il più grande ente di ricerca italiano a mero ‘dispensatore’ di fondi, con funzione anche di agenzia interinale per la fornitura di ricercatori e tecnici alle imprese, eludendo in questo modo i sistemi di controllo pubblici. Nel PNRR, infatti, è previsto che il CNR possa trasferire a sedicenti ‘centri di eccellenza’, strutture ancillari, conoscenze e fondi che diverranno brevetti scientifici per l’impresa, peraltro, con la marginalizzazione di importanti pezzi di ricerca come quella dal settore umanistico-culturale.
A rimanere instradati verso il licenziamento sono circa 700 precari in possesso dei requisiti di stabilizzazione fissati al 2017 della legge Madia ai quali si aggiungono altre 1500 unità che hanno maturato gli stessi requisiti in virtù delle successive proroghe alla stessa legge.
Per USB PI Ricerca, la ‘sanatoria’ salariale e di carriere deve includere tutti gli enti e tutto il personale, senza esclusioni, eliminando precarietà, sotto inquadramento e blocco di carriere pluriennali. Gli investimenti, fortemente insufficienti e parziali nel loro indirizzo, vanno almeno triplicati. Necessaria anche l’istituzione di un comparto di contrattazione che ridefinisca l’ordinamento riconoscendo in senso europeo salari più alti e rideterminazione della carriera.
Tutte queste istanze saranno portate in parlamento per correggere la legge di bilancio. Intanto per un principio di equità abbiamo presentato allo stesso parlamento una proposta di emendamento al decreto fiscale e del lavoro A.S. 2426 che preveda per gli E.P.R. lo sgravio IRAP la cui copertura troverebbe copertura proprio dall’azione di recupero delle somme indebitamente incamerate dalle imprese che millantano attività di ricerca che non sono state accertate tali. Ma anche un comparto di contrattazione molti più fondi per le carriere e le assunzioni.
È assolutamente da respingere il tentativo di svilire gli enti di ricerca a terreno di pascolo dei baroni universitari così come fatto per i piani di privatizzazione della ex ministra Maria Stella Gelmini che purtroppo in gran parte passarono per l’università. Il personale prenderà in mano il proprio futuro lavorativo nonostante la rivendicata concertazione di CGIL-CISL e UIL.
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