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Ancora morte sui posti di lavoro

Le leggi 626 del 1994 e la 81 del 2008 hanno portato un decisivo passo in avanti nella giurisdizione italiana nel campo della normativa sugli infortuni e morti sui posti di lavoro. Queste hanno mostrato quale comportamento deve tenere il lavoratore nel suo specifico campo lavorativo e hanno segnalato tutti i possibili pericoli che si potrebbero evitare con corrette messe in sicurezza delle macchine utilizzate nel processo produttivo.

Secondo queste direttive, gli incidenti si manifestano per incuria del lavoratore, che dimentica di mettere una protezione appositamente indicata nei cartelli posti nei cantieri e nelle macchine di officina, senza preoccuparsi delle reali condizione di vita di tutti quei salariati, donne, giovani e immigrati, considerati soggetti deboli del mercato del lavoro, privi di tutele e destinati a essere le vittime sacrificali della logica del profitto.

Certamente ci sono casi dove il datore di lavoro, per incuria, per risparmiare sui costi di produzione e per aumentare i ritmi di lavoro non si attiene alle normative mettendo in pericolo la vita degli operai della sua azienda. I lavoratori, soprattutto delle piccole e medie aziende, sono giovani precari sottoposti al ricatto del mancato rinnovo alla scadenza del contratto.

Le regolamentazioni poco hanno inciso li dove regna il lavoro a cottimo, il lavoro flessibile e il precariato poiché determinano insicurezza e aumento dei ritmi lavorativi e, perché, sono i maggiori responsabili degli infortuni e delle morti nei posti di lavoro. Le normative, nulla possono, nelle fabbriche e nei cantieri edili dove l’operaio ultra sessantenne è ancora obbligato a lavorare grazie alla legge sulle pensioni voluta e votata da tutto l’arco parlamentare supino alle esigenze aziendali e alle normative volute dall’Europa e, sottoscritte dai sindacati confederati.

Il lavoro flessibile, il precariato, l’interinale aumenta l’incertezza occupazionale, economica e sociale che in Italia colpisce soprattutto giovani, donne e immigrati, molto spesso in possesso di alti titoli di studio.

Al lavoratore, si richiede un continuo adattamento alle condizioni lavorative, rese esasperatamente flessibili da contratti a tempo indeterminato facendolo cadere in uno stato psicologico che lo sottopone a una sorta di stressante angoscia determinata dall’oggettiva precarietà lavorativa.

Il lavoratore temporaneo è costretto ad accettare ogni tipo d’imposizione dettata dalla volontà padronale, con la speranza che dopo un periodo di precariato sia assunto a tempo indeterminato, lasciandosi definitivamente alle spalle l’incertezza di una vita costruita sulla mancanza di qualsiasi progettualità.

I lavoratori interinali hanno contratti di lavoro di quattro mesi rinnovabili alla scadenza, questo tipo di contratto li costringe a non protestare mai sulle loro condizioni lavorative pena, la perdita del lavoro alla fine del contratto. Sono senza riposo e senza salario nei mesi estivi e nei periodi festivi in cui le fabbriche chiudono. Sottoposti a una continua sottomissione, con la minaccia di perdere il lavoro, non possono avere prospettive di costruire il loro futuro; ai precari viene impedito di fare programmi  a lungo e a breve termine  a causa della mancanza di sicurezza economica. Si trovano non solo privi di garanzie sul piano della stabilità salariale, ma hanno anche scarse possibilità di attingere a tutte quelle normative e a tutti quei benefici conquistati dai lavoratori con i precedenti anni di lotta, giungendo all’età pensionistica con un misero sussidio appena sufficiente alla loro sussistenza.

La flessibilità la precarietà del lavoro, prima della messa in vigore dello statuto dei lavoratori, era considerata prassi normale nell’organizzazione lavorativa delle aziende italiane. Soltanto le lotte operaie dell’autunno caldo riuscirono a conquistare diritti sino ad allora calpestati da parte padronale. Proprio quei diritti duramente conquistati, oggi sono stati annullati da normative accettate supinamente dai sindacati confederati.

L’Organizzazione del lavoro in nero caratterizza non solo piccole e medie aziende legalmente riconosciute ma soprattutto contraddistingue tutte quelle aziende cosiddette “fantasma”, dove il lavoratore è completamente privo di diritti e le basilari norme sulla sicurezza lavorativa non sono prese minimamente in considerazione.

Alle rilevazioni statistiche sfuggono tutti quei lavoratori, costretti, per esigenze prettamente economiche, ad accettare il lavoro nero e irregolare. In questo caso, per contraddire la statistica sugli infortuni divulgata dai mas media, si devono prendere in considerazione le statistiche sulle morti sul lavoro che, a differenza degli infortuni, non possono essere facilmente nascoste. Proprio da queste ultime rilevazioni si nota che il maggior numero di morti sul lavoro si ha in quelle regioni nelle quali le piccole e medie aziende usufruiscono delle prestazioni lavorative in nero e dove maggiormente sono presenti le cosiddette aziende fantasma.

Sempre più spesso vediamo che al momento opportuno, ci sono estintori scarichi, macchinari senza protezioni e apparecchiature modificate determinate dalla noncuranza delle aziende alla salute dei lavoratori causando invalidità e morte tra i lavoratori.

Tra gli immigrati troviamo non solo condizioni di lavoro senza contratto e senza alcuna protezione, in molti casi si verificano rapporti lavorativi schiavistici, ma anche situazioni infernali al di fuori dei campi di lavoro; gli immigrati devono tornare dopo le ore di lavoro in baracche e vivere in situazioni abitative disumane. Condizione che non può non favorire gli incidenti sul lavoro.

Nel 2006 la polizia polacca denunciava la scomparsa di più di cento lavoratori dopo essere partiti per la raccolta di pomodori Nello stesso periodo la polizia italiana apriva un’indagine su lavoratori polacchi trovati morti bruciati, affogati e investiti in una delle zone agricole d’Italia dove i lavoratori vengono chiamati per la raccolta di pomodori. Gli immigrati continuano ad essere immessi nel circuito lavorativo come manovalanza a bassissimo costo, nelle lavorazioni più pesanti esponendoli maggiormente a subire incidenti.

Altro problema è quello relativo gli appalti al massimo ribasso. La  ditta vincitrice dell’appalto, prende il lavoro al ribasso del 40%; il profitto che viene a mancare lo pagano i lavoratori percependo stipendi al limite della sopravvivenza, accettando lavoro al nero e costretti, pena licenziamento, a lavorate in un ambiente dove si è investito poco sulla sicurezza.

Altri incidenti sui posti di lavoro sono dovuti ai subappalti. Le imprese appaltatrici danno in subappalto il lavoro a ditte che spesso risultano senza lavoratori a carico. I loro dipendenti lavorano tutti al nero e visto che la consegna dei lavori è subordinata da penali quando il lavoro non viene consegnato nei tempi stabiliti dal contratto, si fanno lavorare gli operai al cottimo pagandoli l metro lavorato non a paga settimanale facendo, in questo modo, lievitare le ore di straordinario e, inevitabilmente, gli infortuni e le morti.

La mancata formazione è un altro elemento che incide, ogni anno, nelle statistiche degli incidenti lavorativi. Il personale inesperto, non qualificato e non formato inavvertitamente mette in pericolo la propria vita. Si cade dagli edifici perché si cammina sui tetti in amianto da dismettere, senza sapere che l’amianto tende a spaccarsi di schianto se sottoposto alla pressione del peso dell’operaio. Si rimane folgorati perché nessuno dice di stare lontani, almeno sei metri, dai cavi dell’alta tensione. Incidenti mortali che si potrebbero evitare se le aziende fossero propense a investire adeguatamente sulla formazione del personale.

E’ ora di dire basta a 1300 morti all’anno e ad oltre un milione di feriti.

Bibliografia: Marco Rovelli: Lavorare uccide – Grazia Moffa La resistibile ascesa del lavoro flessibile: Incidenti e morti sul lavoro

 

 

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