A guardare coi propri occhi i risultati dello sfruttamento intensivo dei lavoratori migranti nelle terre di Puglia. Tra baracche di fortuna e container, monnezza e isolamento. Quella filiera agricola che assicura che i prodotti arrivino sulle nostre tavole.
Siamo a Torretta Antonacci, frazione di San Severo in provincia di Foggia. Sono anni che qui si è stabilita una folta comunità di lavoratori africani.Alcuni intermittenti, altri più stanziali. Rimedi di fortuna per offrire poiforza lavoro per la raccolta dei prodotti di campo. Lavoro duro, turni massacranti, bassi salari.
Tanto lavoro nero e grigio. Parecchi sono qui per le varie crisi aziendali succedutesi negli ultimi anni. Operai manifatturieri in fabbriche del nord ed ora manovalanza agricola. Altri invece sono passati dai Centri di prima accoglienza direttamente a qui.
Una popolazione ad oggi di circa 2.000 persone di cui solo 400 vivono in containers. Messi a disposizione dalla Regione Puglia dopo una delle tante lotte che i lavoratori sono riusciti a mettere in campo negli anni scorsi.
Ancora pochi, ovviamente, anche perché ci si aspetta che dalla maggiore istituzione regionale vengano messe in campo soluzioni più efficaci e strutturali che dei cubi metallici che sono per loro natura emergenziali.
La maggioranza della popolazione di questo insediamento è giovane e di sesso maschile. Poche le donne e pochi i capelli bianchi. Serve vigoria fisica per un lavoro svolto per ore sotto il sole cocente, con flessioni del corpo continue e a ritmo forsennato.
L’umanità però circola comunque in queste baracche con tetti di metallo, tendaggi, con giovani che scherzano e ridono come è normale per giovani della loro età. Hanno lasciato territori dilaniati da guerre e colonialismo per ritrovarsi nelle moderne baraccopoli del lavoro salariato in Italia. Che somigliano tanto a quelle di un secolo fa. Quando a sputare il sangue erano i nostri nonni.
Qui però da qualche anno ha fatto capolino la lotta di classe e le cose sono un pò migliorate. Grazie sopratutto alla Usb che da qualche anno ha acceso i riflettori su quello che era diventato un autentico girone infernale dantesco. Organizzando i lavoratori e allertando l’opinione pubblica.
Per un po’ di tempo tanti giornalisti sono venuti qui, hanno fatto i loro servizi e poi se ne sono andati. Per sempre probabilmente. Nessuno che si sia più interessato alle sorti di questa forza-lavoro, ai diritti loro negati, all’imprenditoria criminale nel settore agricolo.
Per dire: la mancanza ricorrente dell’acqua qui è una costante. Viene qui portata in grosse cisterne ma in dimensioni molto ridotte rispetto al fabbisogno generale. Anche l’immondizia viene portata via molto raramente.
Cittadini di serie b. Anche nel disbrigo delle pratiche amministrative lamentano ritardi e lungaggini infinite, con tutto il corollario di problemi connessi ai rapporti di lavoro e alla carta di soggiorno.
Ma oggi (sabato 9, ndr) qui, in queste terre dimenticate dallo Stato, è giorno di festa. La Festa del Raccolto e della Semina. Infatti i lavoratori hanno occupato 3000 ettari di campagna demaniale, a ridosso degli accampamenti.
Per oggi è possibile vedere un solo ettaro coltivato, con zucchine, pomodori e insalata in bella vista. Un domani chissà quanti saranno.
Lo hanno fatto con il sostegno dell’Usb ma anche con il decisivo supporto della Associazione Terra e Libertà, presente sul territorio da anni. In nome di Di Vittorio ovviamente. L’ex manovale agricolo in grado di diventare un gigante sindacale di quella Cgil che era combattiva e coriacea, al contrario dell’oggi.
Con questa occupazione vogliono per l’immediato assicurarsi autonomia alimentare, e in divenire, diventare una iniziativa imprenditoriale autogestita. Con proprietari e lavoratori a coincidere.
Per domani, certo, staremo a vedere, però oggi intanto tira aria di riscatto (parola tanto abusata di questi tempi) e di unità. Sì, perché da Piacenza c’è una rappresentanza di lavoratori della logistica. Anche lì forza lavoro a quasi totalità di origine straniera.
E c’è, dicevamo, la festa vera e propria. Sotto i tendoni del ‘Ministero dell’interno’. Con sound system e buffet. Preceduta da una mini-assemblea. In cui si alternano interessanti interventi.
Uno dei ragazzi a prendere il microfono ricorda il colonialismo di fatto che ancora vige in tanti stati africani. Si alzano gli applausi, si leva in alto qualche pugno.
Tra gli altri da segnalare l’accorato intervento di Giorgio Cremaschi, che è sopratutto un ringraziamento per questi lavoratori che lottano e che ci mostrano che un futuro migliore è ancora possibile.
Quando tutto finisce, sulla via del ritorno i sentimenti sono binari. C’è la gioia di una giornata di festa, di individui in lotta, di diritti strappati coi denti, ma c’è anche la rabbia per un posto che non dovrebbe neanche esistere e che invece esiste.
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