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La Marelli chiude la fabbrica di Crevalcore. Lavoratori in presidio permanente

Le conseguenze della transizione verso la mobilità elettrica e il relativo stop alla vendita di nuove auto a benzina o diesel iniziano a manifestarsi concretamente E’ il caso della Marelli, storica società di componentistica automobilistica (un tempo del gruppo Fiat) oggi controllata dal fondo investimento Kkr.

La proprietà ha deciso di chiudere all’inizio del 2024 la fabbrica di Crevalcore (Bologna), e dichiarare come “esuberi” i 230 lavoratori che producono collettori di aspirazione e pressofusi di alluminio per motori a combustione interna. La Marelli è un campione nazionale della componentistica automotive ma, come altre industrie strategiche, è stata acquisita dal fondo Kkr nel 2019 attraverso la controllata giapponese CK Holdings.

E’ doveroso rammentare che l’arrivo dei fondi di investimento sulle attività produttive è delle principali cause del calvario occupazionale e industriale del nostro paese.

La Marelli in Italia conta 11 stabilimenti produttivi con oltre 7.200 addetti. La decisione di chiudere la fabbrica di Crevalcore, nel Bolognese, nasce in un contesto industriale del settore automotive, stressato dalla transizione verso la mobilità elettrica. “Chiediamo  a Marelli – si legge in una nota congiunta dei sindacati dei metalmeccanici – di rivedere la sua decisione e al governo di convocare immediatamente un tavolo istituzionale di confronto. È da tempo difatti che chiediamo riconversioni per le fabbriche legate al motore termico, senza le quali la chiusura di Crevalcore sarà solo la prima di una lunga serie”.

Per oggi è stato convocato uno sciopero generale di otto ore in tutte le fabbriche del gruppo Marelli. Da due giorni a Crevalcore i lavoratori sono in presidio permanente ai cancelli della fabbrica per impedire che vengano portati via i macchinari.

L’azienda vorrebbe infatti trasferire la produzione dello stabilimento di Crevalcore in quello di Bari (mille addetti), dove si produce anche per Porsche e Maserati. Qui si concentrano le produzioni legate al Powertrain, tradizionale ed elettrico. Ma anche a Bari i lavoratori ritenuti in “esubero” saranno 162 l’anno prossimo. Nello stabilimento di Sulmona sono previsti 90 esuberi nel 2024.  Anche nell’impianto di Melfi sono previsti 80 esuberi.

“Le speculazioni finanziare nel settore dell’industria e del manifatturiero non hanno freni a causa dell’assenza di un piano industriale nazionale che metta dei veri paletti a salvaguardia dell’occupazione, dello sviluppo e l’unicità della qualità produttiva e dello stato sociale. Per fare ciò bisogna porre come obiettivo politico la nazionalizzazione dei settori strategici nonché di tutti quei marchi che hanno fatto grande la storia di questo paese, quale appunto la Marelli” scrive l’Usb in un comunicato sottolineando che quanto accade alla Marelli e quanto accaduto per Fiac, ex SaGa Coffee, Titan e tante altre sul territorio, accadrà ancora e sempre più spesso e a pagarne le conseguenze saranno sempre e solo le lavoratrici ed i lavoratori.

La decisione di chiudere la fabbrica di Crevalcore, è stata attribuita dalla direzione al risultato economico negativo (per quest’anno è prevista una perdita di 6 milioni di euro a causa dei rincari energetici) e alla dinamica negativa delle attività sui motori endotermici (il tasso di utilizzo della capacità produttiva è al 45% ed è destinato a calare fino al 20% nel 2027). La direzione aziendale della Marelli ha deciso di trasferire la produzione di collettori a Bari e di esternalizzare quella di pressofusi.

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1 Commento


  • . Binazzi Sergio

    l’unica proposta sensata quella della usb, solamente la nazionalizzazione potrebbe risolvere queste situazioni a favore dei lavoratori. fa scappare da ridere la posizione dei confederali quando chiedono alla direzione di rivedere le sue posizioni, c’è già l’elenco dei futuri esuberi in italia che seguiranno i lavoratori di Crevalcore e non credo proprio che la direzione ci ripensi. ormai anche la fiom è purtroppo entrata nei ranghi, mi dispiace tanto entrai nella fiom nel lontano 68 e da ex militante debbo dire che era un altra cosa. altri tempi.

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