Lo scorso mercoledì la United Auto Workers International (UAW), il sindacato del settore dell’automotive negli Stati Uniti, ha annunciato che ha iniziato il processo di sindacalizzazione in tutte le aziende automobilistiche in cui non era ancora presente la UAW.
Si tratta del più ampio sforzo organizzativo dalla fondazione del sindacato negli Anni Trenta del secolo scorso e riguarda una dozzina di case automobilistiche, presenti con propri stabilimenti in dodici Stati, per un totale di circa 150 mila lavoratori.
Si tratta delle nuove case automobilistiche nate con i veicoli elettrici (Tesla, Rivian, Lucid), quelle nipponiche e coreane, e le tedesche, tra le altre.
Tutte hanno macinato profitti record, ed aumentato il prezzo delle auto vendute, senza avere migliorato gli standard salariali e complessivi della propria forza lavoro.
Per dare un ordine di grandezza, bisogna ricordare che sono 146 mila i lavoratori iscritti all’UAW nelle Big Three (General Motors, Ford Motor e Stellantis), che dopo circa un mese e mezzo di lotta – per la prima volta contemporaneamente in tutte e tre le case automobilistiche – hanno ottenuto una vittoria storica, firmando contratti con clausole abbastanza vicine alle richieste iniziali dei blue collar e perciò ratificati a maggioranza dai lavoratori.
70% dei consensi a Stellantis, 69% alla Ford e 55% alla Ford.
Percentuali importanti, considerato che la vittoria della nuova leadership riformatrice aveva uno stretto margine nei confronti della vecchia burocrazia rinunciataria e corrotta della UAW, e la corrente uscita sconfitta dalla prima elezione “one man, one vote” della storia della Union non gli aveva certo reso la vita facile.
In passato i tentativi di entrare in stabilimenti non sindacalizzati, presenti soprattutto nel Sud, non erano generalmente andati a buon fine.
Ma oggi il contesto è differente e la battaglia si gioca a tutto campo.
La UAW ha una nuova leadership, con il carismatico Shan Fain che ha impostato in maniera totalmente differente la battaglia contrattuale con le Big Three.
Gli elementi vincenti della nuova dirigenza “riformatrice” sono stati: un processo organizzativo capillare che ha preceduto la lotta, una strategia di lotta “in crescendo” che ha colpito contemporaneamente tutte e tre le case automobilistiche, “risparmiando” di volta in volta l’azienda più incline a venire incontro alle richieste dei lavoratori, scioperi a gatto selvaggio in grado di bloccare improvvisamente nel giro di qualche minuto i maggiori stabilimenti del paese, un puntuale resoconto dello stato dell’arte delle trattative e la ratifica degli accordi.
E non ultimo una capacità comunicativa efficace in grado di parlare a, ed influenzare, tutta la working class, con un consenso maggioritario e trans-partitico tra la popolazione.
Un mix di democrazia sindacale reale, mobilitazione costante della base del sindacato, e capacità di colpire là dove fa più male, mettendo le aziende della controparte una contro l’altra, che ha riportato la UAW ad essere un soggetto credibile nei confronti dei propri iscritti e fortemente appetibile per i lavoratori che, con standard notevolmente inferiori, lavorano in aziende non-sindacalizzate del settore.
In generale la UAW è ora ridiventata l’avanguardia del movimento di classe dei lavoratori, come lo fu negli Anni Trenta e successivamente durante la “prima” gestione di Walter Reuthner, nell’immediato secondo dopoguerra.
A guidarla vi è un ex elettricista di Kokomo che una quindicina di anni fa aveva combattuto la gestione sindacale della crisi del settore automobilistico contro un gruppo dirigente che aveva rinunciato a tutte le conquiste storiche del settore.
In un video postato su FB, il presidente della UAW ha affermato: “Il lavoratori attraverso il paese, dal West al Midwest e specialmente nel Sud, stanno entrando in contatto con noi per unirsi al nostro movimento ed aderire alla UAW”.
Neal E. Boudette, in un articolo sul New York Times, ricorda che “U.A.W. Announces Drive to Organize Nonunion Plants” ha contattato alcune delle aziende obiettivo di questo tentativo di organizzazione – Honda e Hyundai – che hanno in maniera diversa fatto le stesse affermazioni.
In sostanza per il management “le maestranze stanno benissimo”, non sono interessate a sindacalizzarsi, “il sindacato non è la soluzione” (sembra di sentire la Meloni che parla del salario minimo)…
La Subaru non ha voluto fare commenti sul processo di sindacaliizzazione, ricordando gli aumenti salariali e il pacchetto di benefits già concesso; mentre altre, come Rivian e Volkswagen, si sono trincerati dietro un “no comment”, ed altre ancora non hanno risposto in alcun modo.
Segno di un certo nervosismo…
Elon Musk, direttore esecutivo di Tesla – cioè una delle aziende più note per la propria attività anti-sindacale – è stato piuttosto netto: “Se Tesla diventa sindacalizzata, lo sarà perché ce lo meritiamo e in qualche modo sarebbe un fallimento”. Ha reiterato la propria opposizione al sindacato, dicendo che “non è buono avere delle relazioni conflittuali” tra gruppi all’interno di un’azienda.
I lavoratori, come documenta un’inchiesta operaia condotta da L. F. Leon per Labor Notes, “Auto Workers Direct Momentum Toward Organizing Plants Across the US”, la pensano però diversamente.
Vogliono alzare la testa perché sottopagati, spremuti con orari massacranti e costretti ad una produttività usurante ,spesso foriera di infortuni e malattie professionali, con un turnover elevato.
Sanno che il sindaco è ridiventato lo strumento del proprio riscatto.
É un fatto che alcune aziende del settore automotive, dopo gli aumenti strappati dalla UAW – che si aggirano attorno ed oltre il 25% – sono state costrette a loro volta ad incrementi salariali, una contromossa per cercare di impedire che il sindacato attecchisca nei propri stabilimenti.
Toyota ha “promesso” di aumentare a gennaio gli stipendi dei propri dipendenti del 9%, Honda li incrementerà dell’11% e Hyundai del 14% il prossimo anno. Arriverà al 25%, ma solo nel 2028!
Ma il differenziale tra aziende sindacalizzate o meno, alla luce dei recenti accordi, si mantiene elevato. Il massimo della paga oraria nelle prime supera i 40 dollari, mentre nelle seconde non raggiunge i 30. La differenza media si aggira ormai sui 20 dollari l’ora.
Ma sono le condizioni complessive, lì dove i lavoratori non hanno voce in capitolo, che sono nettamente peggiori in termini di tempo di lavoro – con turni massacranti reiterati -, condizioni di sicurezza e garanzie complessive…
Gli step organizzativi fissati dalla UAW, che in questo processo di sindacalizzazione sta investendo tempo e risorse, anche in termini di militanti inviati in loco, sono:
A) Il raggiungimento del 30% degli iscritti al sindacato per stabilimento, che avviene per via informatica, di modo che l’attività organizzativa della UAW possa emergere pubblicamente.
Un risultato che sembra già essere stato raggiunto in alcuni stabilimenti.
B) Quando verrà raggiunta la soglia del 50%, i lavoratori faranno dei rally fuori dai cancelli con i propri colleghi, con le famiglie, i vicini ed i leader della comunità locale.
Una strategia di pubblicizzazione vincente che abbiamo già visto all’opera nelle settimane di sciopero, e nella lotta contrattuale dei Teamsters.
C) Quando verrà raggiunto il 70% degli iscritti, e si sarà costituito un comitato specifico per ogni turno e mansione, verrà richiesta la votazione per il riconoscimento del sindacato, necessario per garantire l’attività sindacale dentro l’azienda e la possibilità di firmare un contratto.
Se l’azienda rifiuta, i lavoratori chiederanno all’ente pubblico che si occupa delle relazioni industriali a livello federale, il National Labor Relations Board, di poter comunque tenere delle votazioni su questo punto.
Nell’adottare questa strategia è chiara l’influenza della SBWU, che in due anni è riuscita a sindacalizzare 360 stores della catena di ristorazione Starbucks.
Il primo banco di prova, come annunciato in una conferenza stampa dalla UAW, sarà lo stabilimento Toyota di Georgetown, in Kentucky, dove lavorano 7.800 lavoratori che producono il Camry, la sport utility Rav4 e la lussuosa Lexus Es.
Questo inedito processo organizzativo è un segnale della vitalità del nuovo movimento operaio americano.
Per riprendere le parole di Fain, che chiarisce come il fine sia abbracciare tutta la working class, ossia milioni di salariati, ed ha invitato i leader dei sindacati a far scadere i contratti collettivi il 1 maggio del 2028 per rimettere al centro quella storica data del movimento operaio:
“É come mangiare un elefante: un pezzo alla volta. Dobbiamo avere quel tipo di filosofia, facendolo, è possibile, e lo faremo”.
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