Dal fronte giudiziario emergono in queste settimane tante piccole ‘Eternit’ sparse sul territorio nazionale.
Il pm milanese Maurizio Ascione ha chiuso le indagini, in vista della richiesta di rinvio a giudizio, a carico di 7 ex funzionari pubblici dell’Enel, che hanno ricoperto cariche direzionali nella centrale termoelettrica di Turbigo, in provincia di Milano, in relazione a 10 casi di lavoratori morti o che si sono gravemente ammalati a causa della ingente presenza dell’amianto nello stabilimento lombardo.
I sette ex dirigenti dell’Enel – che, tra gli anni ’70 e la fine degli ’80, hanno avuto ruoli di direzione nell’impianto (la cui prima attività risale alla fine degli anni ’20) o sono stati tra i componenti del Cda di Enel, che all’epoca era una società pubblica – sono accusati di omicidio colposo e lesioni colpose, con l’aggravante della violazione delle normative sulla sicurezza.
Le indagini – il primo esposto risale al 1986, ma le prime indagini interne realizzate dagli operai addirittura al 1979 – hanno accertato la correlazione tra una quarantina di casi soprattutto di morti – tredici i decessi finora – per mesotelioma pleurico, e la respirazione delle polveri di amianto durante il lavoro nella centrale. Secondo l’accusa i 7 indagati (per i quali è attesa a breve la richiesta di processo) non avrebbero predisposto le necessarie misure di sicurezza per tutelare la salute dei lavoratori.
E’ la prima volta in Italia che a rispondere di reati di questo tipo vengono chiamati ex funzionari pubblici e non manager privati. «Quando sostenevamo questo pericolo venivamo ridicolizzati – ricorda Emidio Pampaluna, un tempo sindacalista nella centrale, intervistato a gennaio da La Repubblica – non si riusciva a credere che un ente pubblico sottovalutasse il pericolo dell´amianto, lasciando che i lavoratori corressero questo pericolo. Ci furono addirittura delle riunioni nelle quali ci fu raccomandato di non usare la parola amianto nelle bolle di lavoro, preferendo espressioni meno allarmanti come ‘coibente’ o ‘calciosilicato’». Comunque la si chiamasse, la sostanza killer era presente in quantità massicce nei tubi, nei serbatoi e nelle coperture dei macchinari. «Bastava guardare per aria e vedere tutta quella polvere che volava. E tossivamo come matti…», ricordava Pampaluna. «Quando c’era qualche guasto si spaccava l’amianto a martellate e si soffiava via la polvere con l’aria compressa. C’era polvere ovunque» racconta a un sito di informazione locale Valentino Gritta, ancora oggi lavoratore della centrale divenuta nel frattempo privata.
Intanto, sono ancora aperte le indagini, sempre del pm Ascione, per altri casi di morti e malattie che si sono verificati, nel corso degli anni, nello stabilimento dell’Alfa Romeo di Arese e in quello della Ansaldo a Legnano, sempre in provincia di Milano.
Giovedì prossimo intanto riprenderà il processo a carico di 11 ex dirigenti della Pirelli, accusati di omicidio colposo e lesioni colpose, per 20 casi di lavoratori deceduti e quattro casi di operai che si sono ammalati di forme tumorali causate anche in questo caso dal contatto con le fibre di asbesto. Gli stessi ex manager sono indagati per altri 21 casi di mesotelioma in un filone di inchiesta ancora aperto con al centro non solo l’amianto, ma anche altre due sostanze pericolose, l’Ipa e l’Ammine che, secondo l’accusa, sarebbero state utilizzate nelle procedure di lavorazione degli pneumatici nonostante se ne conoscessero i rischi.
Ancora aperta, infine, anche l’inchiesta per lesioni aggravate, relativa ai casi di ex dipendenti dell’Azienda di trasporto milanese Atm che, venuti a contatto con l’amianto, si sarebbero ammalati.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa