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In trincea senza difese: il massacro degli operatori sanitari ai tempi del coronavirus

2.629 operatori sanitari, cioè medici ed infermeri, contagiati. Parliamo dell’ 8,3% dei casi totali. Un numero altissimo di professionisti che, oltre a mettere a rischio la propria salute e la loro vita, viene così anche sottratto alla cura dei sempre più numerosi pazienti. Questo dato va aggiunto al numero di medici di base che si ammalano: addirittura uno su cinque a Bergamo. Un massacro.

Anche perchè i medici muoiono anche: due soltanto negli ultimi giorni. E’ un aspetto di questa emergenza coronavirus da analizzare con attenzione, perché rientra in un quadro generale che va tenuto in considerazione. Perché è una realtà che dopo questo disastro non potremo più permetterci di accettare, in Italia.

I medici e gli infermieri che si ammalano, e qualcuno muore anche, non sono vittime soltanto del virus. Che è aggressivo, contagiosissimo, maledetto: ma che, di fronte al giusto contenimento, non passa. O deve fare fatica, almeno. Ed è questo il problema: che molti operatori sanitari, in questa trincea, sono stati lanciati senza elmetto.

E con poche armi: perché un altro dato che dobbiamo conoscere è quello che riguarda i medici cinesi. In quanti sono stati – ad oggi – contagiati nel caos dell’epidemia esplosa a Wuhan? Meno della metà che in Italia. Fortuna? Capacità? Non crediamo. E’ più probabile che sia una questione di dotazioni, di attrezzatura a disposizione, di presidi a tutela della salute che lo stato dovrebbe fornire a piene mani a chi è nell’occhio del ciclone.

Eppure non è così: e non lo diciamo noi. Lo hanno detto i medici di base, richiedendo dotazioni di sicurezza con lettere aperte in una fase già avanzata della pandemia. Lo hanno detto i medici e gli infermieri “in prima linea”, lamentando la mancanza di posti in terapia intensiva, di respiratori per i pazienti ma anche di mascherine e strumenti idonei a tutelarsi per loro. Lo ha descritto coraggiosamente una infermiera su queste pagine con una lettera aperta, in cui ha detto la verità che è alla base di questo dramma.

Perché è vero che c’è un virus sconosciuto e violento: ma c’è anche un sistema sanitario ridotto ai minimi termini che è stato travolto da una piena incontenibile. Gina De Angeli, questo il nome dell’infermiera che ha avuto la forza (e forse la giusta quantità di frustrazione) per mettere nero su bianco la realtà: “l’irritazione” che mi deriva dalle parole dei vari ministri, presidenti delle regioni, direttori ospedalieri, politici di destra e di sinistra, su questa trasformazioni in angeli, oserei aggiungere dell’inferno nel quale continuamente ci costringono a lavorare. Io non ci sto!!! Io non ci sto ad essere trasformata in un angelo, quando fino a ieri e proprio grazie a quelle scelte, oggi ci troviamo nella cosi detta “merda” di fronte all’emergenza coronavirus. Per anni si e lavorato sistematicamente per distruggere la sanità pubblica, privatizzando, chiudendo ospedali, diminuendo posti letto, dirottando il pubblico verso il privato”.

Distruggere la sanità pubblica è significato, in Italia, ridurla talmente piccola da sottrarle le forze per opporsi alla tempesta che, dai e dai, è arrivata. La professionalità, la dedizione ed il coraggio di tantissimi operatori sanitari sta permettendo di tenere faticosamente botta, ma i numeri non mentono mai. L’8,3% dei malati sono medici ed infermieri. Alcuni sono anche morti. Significa che non sono stati messi in condizone di proteggersi, nonostante loro lo abbiano chiesto.

Lo chiedeva, ad esmepio, l’Anaoo-Assomed dell’Emilia Romagna: era il 24 febbraio. “Le protezioni vanno garantite, vi riterremo responsabili dei danni fisici al personale” diceva Ester Passetti, rappresentante di quel sindacato. “Negli ospedali dell’Emilia-Romagna è “inadeguata” la dotazione dei dispositivi di protezione per gli operatori sanitari, in assenza dei quali ci troviamo nella impossibilità di operare in sicurezza”.

Parole che oggi pesano come pietre: e parliamo dell’Emilia Romagna, una delle regioni più ricche d’Italia. Lo ribadiscono i medici di base, con una diffida nei confronti della Regione Lombardia (altra regione in cui “la sanità funziona”): “Entro 72 ore erogazione a tutti  di kit completi e in numero adeguato di dispositivi di protezione di qualità  idonei a contenere il rischio”.

Atto d’accusa più grande non c’è: il coronavirus sta spazzando tutti gli alibi e le balle raccontate per anni dalla nostra classe dirigente. Non sarà più possibile ridurre un bene primario come la sanità pubblica in questo modo. Perché i medici e gli infermieri che si sono ammalati e sono morti, e quelli che si ammaleranno e moriranno, qualcuno ce l’ha sulla coscienza.

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