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Eternit. Schmidheiny accusa: processo irregolare

Una sentenza «incomprensibile». Un’accusa che «non esiste nel Codice penale italiano». Un processo che in Svizzera sarebbe stato subito sospeso per «gravi violazioni di procedura». Stephan Schmidheiny parla così del processo Eternit che, a Torino, gli è costato sedici anni di carcere. Il miliardario elvetico lo scrive in una nota apparsa sul suo sito internet, che lo presenta come un paladino dell’ecologia e dello sviluppo sostenibile grazie al suo sostegno (tutto da verificare) ad associazioni, comitati e fondazioni.

Il comunicato di Schmidheiny promette battaglia in appello, riassume i punti principali della tesi difensiva dello svizzero (l’assenza di incarichi decisionali in Eternit Italia, i 60 milioni di franchi investiti dalla casa madre per la sicurezza nelle fabbriche, gli sforzi compiuti negli anni ’70 per modernizzare la produzione, la scelta della comunità scientifica e dell’Organizzazione mondiale della sanità di ammettere «l’uso controllato» dell’amianto nell’industria) e se la prende con l’impostazione del processo. Alcuni esempi: «l’accusa di ‘non avere preso iniziative per eliminare un disastro’ non è menzionata nel Codice penale italiano e sembra che sia stata inventata». Ce la si prende anche con il drastico taglio dei testimoni deciso dai giudici per evitare che il processo si allungasse a dismisura, con il calendario degli interventi che «ha penalizzato la difesa», con l’assenza di un’indagine epidemiologica sui singoli casi di malattia o morte. «L’amianto – dice Peter Schurmann, portavoce di Schmidheiny – è una tragedia mondiale e dare la colpa a singoli individui dopo 25 anni è assurdo e disonesto».

Opposto naturalmente il giudizio sulla sentenza di lunedì degli aderenti e dei simpatizzanti dell’Afeva, l’associazione familiari vittime dell’amianto, che ieri si sono riuniti in assemblea a Casale. «Per la prima volta, dopo quarant’anni di lotte, ci siamo fatti un applauso. Ce lo siamo meritato» ha detto un loro esponente.

Intanto ieri il procuratore di Torino Raffaele Guariniello ha ribadito che, insieme ai colleghi Sara Panelli e Gianfranco Colace, intende fare un processo bis per omicidio (forse addirittura per omicidio volontario) non solo per i morti di Casale, ma anche per quelli di Bagnoli e Rubiera, in parte cancellati dalla prescrizione nel processo principale. 

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