Emanuele Bertini della Manutenzione Infrastrutture di Firenze, 23 anni, è stato investito presso la stazione di Tombolo, tra Pisa e Livorno, nella mattinata del 22 dicembre scorso, riportando gravi ferite ad un braccio e ad altre parti del corpo.
Chi lavora in mezzo ai binari sa benissimo il perché di questi avvenimenti, ma la dirigenza aziendale immancabilmente indirizza verso il basso tutte le responsabilità e continua ad ignorare il contesto in cui questi incidenti avvengono.
Il paradosso è che sul piano virtuale, anche grazie alle prescrizioni dell’ANSF, la normativa per la sicurezza nelle attività di manutenzione è molto rigida, ma in RFI sempre più spesso si impongono modalità operative non corrispondenti al riscontro cartaceo. I lavoratori conoscono bene i metodi aziendali, le pressioni (più o meno velate), che garantiscono lo svolgimento di attività spesso in contrasto con la normativa.
É assolutamente necessario non scordare l’elevato numero di morti, di infortuni e tenere presente i campanelli d’allarme di incidenti scampati solo per caso; dati che da alcuni anni rappresentano la contabilità in crescita della Manutenzione Infrastruttura. Allo stesso tempo va curata in RFI quella che appare come una sorta di “Sindrome di Stoccolma” con i ferrovieri portati a giustificare chi li spinge ad operare in certe condizioni.
Certo, contrastare questi fenomeni non è facile, questo è il paese in cui il diritto alla vita, alla dignità, alla sicurezza dei lavoratori, è subalterno alle esigenze dell’impresa, un paese che a fronte di un bilancio dei morti sul lavoro paragonabile a quello di una guerra, non esita a legiferare per indebolire ulteriormente gli strumenti normativi che dovrebbero servire per arginare i rischi a cui i lavoratori vengono sottoposti. Un paese che dimostra una particolare attenzione per le ragioni di impresa nel trasporto marittimo, aereo, ferroviario, al punto da immaginare normative più attente a mettere al sicuro le responsabilità dei datori di lavoro che a tutelare i lavoratori.
Questa strategia trova non solo un enorme consenso bipartisan a livello parlamentare, ma vede in sovrappiù i sindacati “riconosciuti”, impegnati, quando va bene, in un silenzio complice che di certo non aiuta i lavoratori, ma spiega bene il perché della difesa di un tale modello di sindacalismo da parte di governi e padronato.
Il silenzio che ha caratterizzato quest’ultimo incidente e la superficialità con cui si continua a trattare la materia deve far comprendere, ai lavoratori tutti, che a questo stillicidio occorre contrapporre una forte resistenza; non si può continuare affidandosi alla fatalità del caso, aspettare il prossimo episodio… e poi magari il prossimo ancora.
A questo scopo serve un organizzazione dei ferrovieri che determini la rottura degli attuali equilibri politico sindacali nelle società del Gruppo FSI e stronchi la logica dello scambio e delle clientele che, a garanzia di una non conflittualità permanente, baratta diritti e tutele dei ferrovieri come merce da quattro soldi, costi quello che costi.
Usb, Lavoro privato
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