Condannato ad anni di carcere e poi assolto. I carabinieri crearono il colpevole, la magistratura avallò tutto, anche le torture.
Era il 27 gennaio 1976 quando un commando assaltò la casermetta di Alcamo Marina e uccise due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta. Da Palermo arrivò una squadra di investigatori guidata dal colonnello Giuseppe Russo, che l’anno dopo sarà ucciso dalla mafia a Ficuzza nel Corleonese. Seguendo la pista “terroristica”, fermarono Giuseppe Vesco, un giovane anarchico che aveva perso una mano maneggiando esplosivo. Vesco fu costretto, con le torture, a confessare la partecipazione alla strage (un atto “rivoluzionario”) e ad accusare un gruppo di giovani che frequentava: Giuseppe Gulotta, Giovanni Mandalà e due all’epoca minorenni, Vicenzo Ferrantelli e Gaetano Santangelo. Furono tutti arrestati mentre Vesco, alcuni mesi dopo, fu trovato impiccato in cella: non è stato mai chiarito se si sia trattato davvero di un suicidio. Nel corso di un lungo iter processuale, Ferrantelli e Santangelo sono stati prima condannati e poi assolti. Ora vivono in Sud America. Mandalà è morto. Gulotta è stato condannato a 27 anni e, tra una carcerazione e l’altra, ha cercato di formarsi una famiglia. Dal luglio 2010 era tornato in libertà vigilata perché intanto un maresciallo in pensione, Renato Olino, che faceva parte del gruppo guidato dal colonnello Russo, ha confermato la storia delle torture. Alle violenze fisiche si univano anche quelle psicologiche. “Mi puntarono – racconta Gulotta – anche una pistola in faccia e mi dissero: se non confessi ti uccidiamo”. La testimonianza di Olino non solo ha fatto riaprire il processo ma ha indotto la Procura di Trapani a promuovere una nuova indagine sulla strage “contro ignoti” e a iscrivere nel registro degli indagati quattro degli investigatori che avrebbero estorto le false confessioni. La prescrizione coprirà tutto. E’ passato troppo tempo. Sono stati celebrati nove processi, la verità è rimasta nell’ombra e l’unica certezza era finora la condanna dell’Italia davanti alla corte europea per i diritti dell’uomo per l’estrema lunghezza della giustizia. Per sentirsi restituire l’innocenza soffocata dalle torture Giuseppe Gulotta ha aspettato 36 anni. Ne aveva 18 quando fu arrestato e accusato di avere partecipato alla strage di due carabinieri nella caserma di Alcamo Marina (Trapani). Fu l’inizio di un incubo che finalmente si scioglie, nell’aula della Corte d’assise di appello di Reggio Calabria, quando al termine del processo di revisione del processo viene letta la sentenza. Anche se l’esito è annunciato da una richiesta di assoluzione da parte dell’accusa, Gulotta non trattiene le lacrime. Abbraccia la moglie Michela, il figlio William di 24 anni e si accascia su una sedia. “Ora posso dire – riesce a sussurrare – che giustizia è stata fatta. La mia vita era stata bruciata. Ora è come portare indietro l’orologio di 36 anni. Chi potrà mai restituirmi quello che mi é stato tolto?”. Da uomo libero, che ha passato in carcere 21 anni, cerca di riannodare almeno gli affetti familiari. La prima persona a cui telefona, per annunciare l’esito del processo, è la sorella Maria che vive ad Alcamo mentre lui da tempo ormai si è stabilito a Certaldo, in provincia di Firenze.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa